Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Figli non matrimoniali: rito e impugnazioni (di Gabriella de Strobel, Avvocata in Verona, Segretario Nazionale AIAF)


Prendendo le mosse dall’enunciato della l. 10 dicembre 2012, n. 219 e il d.lgs. n. 154/2013 che ha definitivamente abrogato la distinzione tra “figli legittimi” e “figli naturali”, l’autrice analizza il profilo processuale della crisi della famiglia di fatto e di come quest’ultima si veda negare l’accesso alla negoziazione assistita e possa unicamente richiedere l’applicazione del rito camerale ex art. 38 disp. att. c.c. L’autrice pone l’accento sulla vexata quaestio dei provvedimenti provvisori ed urgenti nel giudizio camerale della loro impugnabilità e conclude con l’a­nalisi della sentenza della Corte di Cassazione 17 aprile 2019, n. 10777 che ha ritenuto – finalmente – ammissibile il reclamo in Corte d’Appello.

Inspired by the content of Law 10 December 2012, n. 219 and Legislative Decree n. 154/2013, which definitively abrogated the distinction between “legitimate” and “natural” children, the author analyzes the procedural profile of the crisis of the de facto family, and how the latter is denied access to facilitated negotiation and can only request application of chamber proceedings pursuant to art. 38 of the implementation provisions of the Italian Civil Code. The author emphasizes the vexata quaestio of provisional and urgent measures in the chamber judgment subject to appeal, and concludes by analyzing the decision of the Italian Supreme Court of Cassation (Corte di Cassazione) 17 April 2019, n. 10777 which, finally, deemed the complaint to the Court of Appeal admissible.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il profilo processuale della crisi della famiglia di fatto: il rito camerale - 3. I provvedimenti provvisori - 4. Reclamo contro i provvedimenti provvisori - 5. Nuove aperture giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. I, 17 aprile 2019, n. 10777 - NOTE


1. Premessa

La l. 10 dicembre 2012, n. 219 e il d.lgs. n. 154/2013 hanno definitivamente abrogato la distinzione tra “figli legittimi” e “figli naturali”, distinzione presente sino ad allora nell’ordina­mento italiano, affermando il principio di unicità dello stato giuridico dei figli. Le nuove norme hanno eliminato le discriminazioni ancora esistenti tra figli naturali, legittimi e adottivi ed hanno riformato le competenze dei tribunali ordinari e dei tribunali dei minorenni in materia di procedimento di affidamento dei figli, oltre a ciò si è sostituita la nozione di “potestà genitoriale” con “responsabilità genitoriale” e sotto il profilo processuale, l’art. 3, l. n. 219/2012 ha sottratto diversi procedimenti di competenza del Tribunale dei Minorenni, previsti dall’art. 38 disp. att. c.c. Mentre il Tribunale dei Minorenni si vede sottrarre la competenza per i seguenti provvedimenti: ·    di amministrazione del fondo in presenza di figli minori in caso di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (ex art. 171 c.c.); ·    divisione dei beni della comunione con eventuale costituzione di usufrutto a favore di uno dei coniugi, negli interessi della prole (ex art. 194, 2° comma, c.c.); ·    riconoscimento dei “figli naturali” (ex art. 250 c.c.); ·    affidamento del “figlio naturale” e il suo inserimento nella famiglia legittima (ex art. 252 c.c.); ·    provvedimenti in ordine all’assunzione del cognome da parte del figlio naturale (ex art. 262 c.c.); ·    decisioni in ordine all’impugnazione del provvedimento di riconoscimento da parte del riconosciuto (ex art. 264 c.c.); ·    dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale rispetto ad un figlio minore (ex art. 269, 1° comma); ·    provvedimenti in caso di contrasti sull’esercizio della responsabilità dei genitori (ex art. 316 c.c.); ·    decisioni in ordine all’esercizio della responsabilità sul figlio naturale (ex art. [continua ..]


2. Il profilo processuale della crisi della famiglia di fatto: il rito camerale

La crisi della famiglia di fatto è regolata in maniera diversa dalla coppia coniugata, nonostante la modifica dell’art. 38 disp. att. c.c., che come visto precedentemente ha attribuito la competenza delle tutele dei figli non matrimoniali al Tribunale ordinario. Di fatti, la fine del rapporto della coppia coniugata è ben disciplinata rispetto a quello della coppia non coniugata: mentre la prima può richiedere l’intervento di un giudice o la negoziazione assistita, la seconda si vede negare l’accesso alla negoziazione assistita e può unicamente ed eventualmente richiedere l’applicazione del rito camerale. Nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, le questioni relative all’affidamen­to e al mantenimento dei figli sono trattate dinanzi al Tribunale ordinario, con un rito nel quale è espressamente prevista l’emissione di provvedimenti provvisori, reclamabili dinanzi alla Corte d’Appello, sempre reclamabili o modificabili dai giudici di merito. Per ciò che concerne i figli non matrimoniali, invece, l’art. 38 disp. att. c.c. si limita a specificare che nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano le disposizioni sui procedimenti in camera di consiglio e detti procedimenti si svolgono secondo il rito camerale. Le norme che regolano il rito camerale, comprese negli artt. da 737 c.p.c. a 742 bis c.p.c., risultano destrutturate sul piano processuale e rispondono ad una logica totalmente differente e distinta dal procedimento contenzioso. Il procedimento risulta privo di termini per la comparizione delle parti, privo di termini tra il deposito del ricorso e la fissazione dell’udienza, e privo di termini istruttori o finali. Non è chiara infine se la collegialità della trattazione debba riguardare solo la parte finale del procedimento, ovvero tutta la durata del processo. Sul piano istruttorio la norma si limita a prevedere che il “giudice” può assumere informazioni. Il giudice risulta svincolato dalle iniziative istruttorie delle parti, e da un lato può procedere con ampi poteri inquisitori, dall’altro la eventuale mancata estensione dell’indagine istruttoria non determina alcuna lacuna nel procedimento o inosservanza di norme procedurali e sul punto le decisioni del giudice procedente, se ben motivate, risultano incensurabili in [continua ..]


3. I provvedimenti provvisori

Si è dibattuto a lungo sulla possibilità per il giudice del rito camerale di emettere provvedimenti provvisori ed urgenti, alla stregua dei provvedimenti provvisori del giudice della separazione e del divorzio. L’emissione, infatti, di provvedimenti provvisori ed urgenti anche in tema di famiglie di fatto, eviterebbe che il giudice investito del procedimento sia costretto ad emettere il decreto finale dopo l’istruttoria, con una dilatazione dei tempi processuali che, in situazioni di conflitto e per­manenza della convivenza di fatto dei genitori, potrebbe divenire intollerabile. Dopo una prima iniziale titubanza del giudice di merito, la giurisprudenza è pervenuta alla conclusione dell’ammissibilità di tale strumento, quantomeno per uniformità di trattamento tra i figli nati fuori dal matrimonio e i figli di coppia coniugata. L’ammissibilità di tali provvedimenti è stata rinvenuta, ora, nell’art. 710 c.p.c. che disciplina le modifiche della separazione – con rito camerale– dove è espressamente prevista per il giudice regolare in via provvisoria le questioni urgenti in attesa del provvedimento finale, ora con riferimento all’art. 336 c.c. che nell’ambito dei giudizi di responsabilità genitoriale, consente al giu­dice di adottare anche d’ufficio provvedimenti temporanei nell’interesse dei figli in caso di urgenza, provvedimenti sempre modificabili e revocabili [1].


4. Reclamo contro i provvedimenti provvisori

Per quanto concerne la reclamabilità dei provvedimenti provvisori urgenti emessi nei procedimenti camerali nei confronti dei figli non matrimoniali, esiste un ampio dibattito giurisprudenziale. Ed invero tali provvedimenti, pur astrattamente connotati dall’assenza di decisorietà e di definitività tali da “giustificare” la mancanza di uno strumento di impugnazione, devono in realtà essere rapportati al caso e questioni concrete che vanno a disciplinare. Soprattutto in relazione alla loro idoneità a produrre già evidenti pregiudizi. È corretto chiedersi altresì, se alla stregua dell’art. 708, 4° comma, c.p.c., i provvedimenti provvisori urgenti emessi dal Tribunale nella forma di decreto, nei procedimenti relativi alla famiglia di fatto, siano immediatamente (10 gg., ovvero 6 mesi) reclamabili? La tesi che propende per la non reclamabilità, si fonda sul presupposto che tali provvedimenti hanno natura provvisoria e non definiscono il procedimento. Invero, dovendo poi emettersi un provvedimento definitivo che dovrà adeguarsi nel tempo ai mutamenti sopravvenuti nel corso del giudizio [2], si esclude l’applicabilità dell’art. 708, 4° comma, c.p.c. poiché tale articolo si riferisce solo espressamente ai provvedimenti provvisori e urgenti adottati dal Presidente, si esclude, del pari, l’applicabilità dell’art. 739 c.p.c. che presuppone una decisione definitiva. Così, anche, un recente provvedimento della Corte d’Appello di Bologna che respingendo il reclamo immediato, motivava il rigetto sul presupposto della non definitività del procedimento. La Corte «nell’ambito di un giudizio per l’affidamento e il mantenimento di un figlio di genitori non coniugati, emetteva un provvedimento provvisorio di collocamento etero familiare del minore, disponendo una seconda consulenza tecnica di carattere psichiatrico sulla madre, riservandosi l’emissione di un provvedimento definitivo all’esito» [3]. Peraltro, avverso tali provvedimenti non è nemmeno esperibile il rimedio ex art. 669 terdecies c.p.c., poiché si ritiene, per pacifica giurisprudenza, che le norme del procedimento cautelare uniforme non si applichino ai procedimenti di separazione, divorzio e figli non matrimoniali.


5. Nuove aperture giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. I, 17 aprile 2019, n. 10777

La tesi sopra delineata non convince: ed invero non ammettere la reclamabilità dei provvedimenti provvisori urgenti in sede di procedimento camerale nei riguardi dei figli non matrimoniali, sul presupposto del carattere provvisorio e non definitivo di tali provvedimenti, non può essere dirimente, atteso che tale caratteristica è tipica anche dei provvedimenti provvisori urgenti, emessi dal Presidente del Tribunale nella fase preliminare dei giudizi di separazione e divorzio. È vero, peraltro, che sul piano processuale difetta lo strumento impugnatorio previsto solo espressamente (sic!) ex art. 708, 4° comma, c.p.c. per i procedimenti di separazione e divorzio. Un possibile spiraglio giurisprudenziale si intravede nella sentenza della Corte di Cassazione 17 aprile 2019, n. 10777 [4], che con riferimento ad un provvedimento del Tribunale dei Minorenni che aveva collocato i minori in comunità, sospendendo la responsabilità genitoriale e incaricando i servizi sociali per la ricerca di una famiglia affidataria e fissando poi udienza per la prosecuzione del giudizio, ha ritenuto – finalmente – ammissibile il reclamo in Corte d’Ap­pello, tenuto conto del fatto che il provvedimento ablativo o limitativo della responsabilità genitoriale incide su diritti di natura personalissima di primario rango costituzionale e che il persistente collocamento dei figli minori presso una comunità, pur se adottato nell’ambito di un procedimento in corso, è già idoneo a produrre effetti pregiudizievoli per i minori e per il genitore, in ragione delle sue immediate ripercussioni sulla relazione parentale e su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale. È pur vero che tale sentenza si riferisce alla re­clamabilità di un provvedimento provvisorio emesso dal Tribunale dei minori in un procedimento di responsabilità genitoriale ex art. 330, ma la ratio su cui si fonda l’ammissibilità del reclamo, è la medesima rinvenibile nei provvedimenti provvisori urgenti emessi dal Tribunale ordinario nella famiglia di fatto. La Corte di Cassazione così argomenta «tutti i procedimenti c.d. de potestate, ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, emessi dal giudice minorile ai sensi artt. 330 e 336 c.c., [continua ..]


NOTE