Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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La sottrazione internazionale tra convenzione dell'Aja del 1980 e reg. n. 2201/2003 (di Maria Caterina Baruffi (Professore ordinario di Diritto Internazionale nell’Università degli Studi di Verona. Avvocato in Milano))


SOMMARIO:

1. Il contesto internazionale ed europeo - 2. La Convenzione dell’Aja del 1980 - 3. Il Reg. n. 2201/2003 - 4. Conclusioni - NOTE


1. Il contesto internazionale ed europeo

Con l’apertura dei confini nazionali [1] – e la conseguente maggior circolazione dei cittadini da un paese all’altro dell’Unione europea [2] – il fenomeno delle famiglie transnazionali è in costante aumento. Si è pertanto reso necessario un intervento a livello sovrannazionale al fine di armonizzare o uniformare, laddove indispensabile, le normative statali o convenzionali [3], soprattutto al fine di tutelare i diritti delle parti più deboli, vale a dire i minori. Sempre più frequentemente si assiste infatti al verificarsi nella prassi [4] di quelle situazioni patologiche relative a trasferimenti o trattenimenti illeciti di minore rispetto al luogo della residenza abituale da parte del genitore o, comunque, del titolare della responsabilità genitoriale che non abbia la capacità di decidere unilateralmente il luogo in cui stabilire la residenza del minore stesso [5]. Di tale fenomeno non poteva non interessarsi il diritto internazionale [6], prima, con la Convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori [7], ritenuta «il principale strumento internazionale» in materia [8] e, più recentemente, l’Unione europea, con il Reg. n. 2201/2003 [9], soprattutto al fine di tutelare l’interesse superiore del minore [10], inteso quale parte debole del rapporto familiare, i cui diritti devono prevalere in un eventuale giudizio di bilanciamento con altri diritti eventualmente contrapposti. Il Regolamento, seppur limitatamente al suo oggetto (competenza giurisdizionale e riconoscimento ed esecuzione delle decisioni [11] in materia, tra l’altro, di responsabilità genitoriale), completa le disposizioni della Convenzione dell’Aja del 1980, cercando di porre rimedio ai problemi riscontrati nella prassi applicativa di quest’ultima. Mentre la disciplina della Convenzione si prefigge, come meglio si vedrà, l’obiettivo di riportare materialmente il minore nel luogo di sua residenza abituale precedente all’evento illecito, il Regolamento detta norme di natura processuale con riguardo, per quanto qui rileva, all’individuazione del giudice competente e all’esecuzione delle decisioni in materia di sottrazione internazionale di minori, «al fine di dissuadere i genitori dal commettere simili [continua ..]


2. La Convenzione dell’Aja del 1980

Scopo principale della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 è quello di assicurare la restituzione immediata del minore che sia stato introdotto o trattenuto in un paese contro la volontà del genitore che esercita la potestà o cui il minore è stato affidato. Essa prescinde dunque dall’esistenza di un titolo giuridico [18] al riguardo, avendo come scopo esclusivo la tutela dell’affi­damento (“droitsde garde” o “rights of custody” nelle lingue ufficiali) [19], quale situazione di mero fatto, da reintegrare con l’immediato ritorno del minore nel proprio Stato di residenza abituale (art. 1). L’organo giurisdizionale competente non deve infatti limitarsi a ristabilire la «situazione corrispondente all’affidamento legale», ma deve verificare che «il richiedente il rimpatrio esercitasse concretamente il diritto di affidamento sul minore», essendo questa la situazione di fatto tutelata dalla Convenzione [20]. In altre parole, il rientro del minore presuppone «non solo la residenza abituale in una determinata località estera, ma anche l’esercizio di fatto in quel luogo del diritto di custodia da parte del titolare ed è proprio tale esercizio di fatto che va ripristinato» [21]. Non contenendo la Convenzione alcuna definizione della nozione di residenza abituale, fondamentale è stato l’apporto della giurisprudenza. In particolare, al fine di stabilire l’illiceità del comportamento, per «residenza abituale» deve intendersi «il luogo in cui il minorenne – per qualsiasi motivo e, normalmente, grazie ad una durevole e stabile permanenza, ancorché di fatto – trova e riconosce il baricentro dei suoi legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua quotidiana vita di relazione» [22]. Inoltre, nel caso di plurimi trasferimenti del minore, ai fini della determinazione della residenza abituale, non può essere dato «rilievo preminente all’ultimo trasferimento (...) quando sia prossimo all’accertamento della lamentata sot­trazione internazionale ed abbia caratteristiche temporali e di radicamento quantitativamente e qualitativamente molto inferiori alla situazione fattuale anteriore» [23]. La residenza del minore deve comunque essere [continua ..]


3. Il Reg. n. 2201/2003

Al pari della Convenzione dell’Aja, il Regolamento non poteva non considerare quelle situazioni patologiche che portano al trasferimento o al trattenimento di un minore in un paese diverso da quello della sua residenza abituale. Tuttavia esso disciplina quegli aspetti processuali “trascurati” dalla Convenzione. In via generale, il Regolamento, al fine di garantire la realizzazio­ne dell’interesse superiore del minore, prevede regole molto rigide di competenza giurisdizionale del giudice che deve regolamentare affidamento e diritto di visita, volte ad individuare co­me competente un unico giudice, alla cui giurisdizione è possibile derogare in un numero estre­mamente limitato di situazioni, e una procedura semplice ed uniforme sul riconoscimento ed e­secuzione delle decisioni. Sotto il primo profilo, oggetto specifico del presente lavoro, una delle ipotesi alla quale il Regolamento dedica ampio spazio è proprio quella della sottrazione del minore onde verificare se il suo trasferimento in un paese diverso da quello della residenza abituale può comportare la competenza del giudice del paese di trasferimento. Sotto il secondo profilo, solo attraverso un sistema veloce ed efficiente di esecuzione dei provvedimenti stranieri può essere garantito il ritorno del minore nel suo paese di residenza [51]. Il Regolamento, come la Convenzione, non contiene alcuna definizione della locuzione di residenza abituale. Si è così fatto riferimento in un primo momento proprio alla giurisprudenza formatasi in merito con riferimento alla Convenzione dell’Aja del 1980 [52], cui il Regolamento si ispira. A fare chiarezza sul punto è poi intervenuta più volte la Corte di Giustizia [53] che, anche in tal caso, ha ribadito la necessità di procedere ad una interpretazione «autonoma ed uniforme, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi» [54], vale a dire in particolare del superiore interesse del minore, che si traduce nel criterio della vicinanza, e l’impossibilità di trasporre la «giurisprudenza della Corte sulla nozione di residenza abituale relativa ad altri settori del diritto dell’Unione europea» [55]. La Corte ha quindi specificato come la presenza fisica del minore in un determinato luogo costituisca [continua ..]


4. Conclusioni

Nella prassi ancora troppo frequentemente accade che in caso di rottura del rapporto di coppia siano i minori, trasferiti da un paese ad un altro, ad essere privati del loro diritto fondamentale ad una crescita sana ed equilibrata da un punto di vista psico-fisico, mantenendo rapporti con entrambi i genitori. Gli strumenti approntati in ambito internazionale e, in particolare dell’U­nione europea, hanno contribuito a far sì che in tali situazioni il trasferimento del minore non comporti automaticamente il radicamento nel nuovo paese della vita del minore, ma essi non sono sempre sufficienti o adeguati. Troppo frequentemente si verificano infatti situazioni nelle quali i genitori si danno battaglia chiedendo entrambi l’affidamento dei figli, ma a giudici di paesi diversi. Tipico esempio è il caso Povse, relativo ad una bimba abitualmente residente in Italia con i genitori e trasferita dalla madre in Austria, suo paese di origine. Il caso, che ha visto i genitori darsi battaglia giudiziale basandosi sia sul Regolamento sia sulla Convenzione dell’Aja, ha portato ad una pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia [94] e a due sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo [95]. Nella seconda delle decisioni, del gennaio 2015, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che le autorità austriache non si erano attivate in modo sufficientemente rapido, in particolare nel procedimento doveva essere data esecuzione alla decisione di ritorno della minore emanata del Tribunale per i minorenni di Venezia. Inoltre, sempre ad avviso dei giudici di Strasburgo, il complesso sistema procedurale basato su due testi normativi differenti, non ha facilitato un rapido ed effettivo procedimento di ritorno della minore, con conseguente lesione del diritto del padre al rispetto della vita familiare sancito dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Benché il Reg. 2201/2003 sia intervenuto per ovviare agli inconvenienti cui ha dato vita nella prassi la Convenzione, il risultato tuttavia non pare soddisfacente, tanto da richiedere una modifica delle sue disposizioni la cui applicazione comporti particolari difficoltà [96]. A tale proposito il Parlamento europeo, nello studio commissionato dalla commissione sulle libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) [97] ha suggerito delle modifiche da apportare al [continua ..]


NOTE