Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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La psicologia e le persone fragili (di Enrica Maria Fusaro (Psicologa, psicoterapeuta. Docente presso la Scuola Adleriana di Psicoterapia, Consulente presso il Tribunale di Torino))


SOMMARIO:

1. Introduzione: diventare esperti di relazione - 2. Competenze di base nella relazione: la percezione e la comunicazione - 3. L’approccio alla persona fragile - 4. Il gruppo multi-professionale: strumento cardine della cura


1. Introduzione: diventare esperti di relazione

Qualunque attività svolta con le persone richiederebbe alcune conoscenze di base dei fenomeni che sottendono l’incontro con l’altro, ma la relazione di cura o relazione di aiuto rappresenta una modalità particolare di essere in rapporto, che per sua natura richiede una chiarezza interiore e sociale delle responsabilità connesse. Prendersi cura equivale infatti ad un interessamento attivo e solidale, come pensiero, responsa­bilità ed attività concreta per le esigenze materiali e non materiali di una o più persone. Vediamo qui in sintesi, il ruolo di chi si prende cura, alcuni riferimenti scientifici che sostengono la ricerca e la riflessione metodologica in ambito relazionale, per poi addentrarci nell’analisi del funzionamento che sostiene ogni relazione.   I ruoli relazionali La teoria del ruolo ci ricorda che chiunque ricopra un determinato ruolo si presta ad eseguire delle azioni, dei compiti che prescindono dalle sue caratteristiche e che sono previsti da quel ruolo specifico. Ci ricorda però, che i compiti da svolgere sono solo una piccola parte del ruolo e che sia le caratteristiche degli altri, complementari al ruolo, sia le proprie concorrono a determinare il modo specifico con cui quel ruolo verrà interpretato. Via via che ci spostiamo però da ruoli che possono essere descritti in modo preciso attraverso le attività che comportano (si pensi a ruoli tecnici, amministrativi), verso ruoli il cui contenuto fondamentale è la relazione (attività commerciale ad esempio), più la possibilità di sapere a priori come ci si dovrà comportare diminuisce. Questo perché se il ruolo è relazionale, molta parte del modo con cui sarà gestita la situazione dipenderà dall’interlocutore e dal contesto. Osserviamo così che più un ruolo è relazionale, più lo strumento di lavoro non è una procedura, bensì la personalità stessa di chi ricopre il ruolo. Questi utilizzerà certo delle metodologie, ma dovrà via via scegliere i tempi e i modi per rispondere alle aspettative ed alle modalità dell’altro implicato nell’attività. Facendo un’ulteriore precisazione notiamo che i ruoli di cura spesso prevedono che i due interlocutori siano un soggetto capace o esperto in qualcosa ed un altro che si trova in una qualche [continua ..]


2. Competenze di base nella relazione: la percezione e la comunicazione

La percezione e la comunicazione sono i due processi che ci mettono in contatto con la realtà e in particolare ci permettono di relazionarci con gli altri. 2.1. La percezione   La percezione è un fenomeno attivo attraverso cui noi entriamo in contatto con la realtà. Non si tratta solo di recepire degli stimoli e delle sensazioni provenienti dall’esterno, bensì di organizzarle in un atto percettivo già dotato di senso. Non è possibile per le persone percepire qualche cosa che non sia già organizzato e dotato di significato. Le leggi principali della percezione che riguardano sia gli oggetti sia le persone sono poche e fondamentali. La percezione è frutto di un processo di selezione. Non tutti gli stimoli presenti in una realtà raggiungono la persona, perché devono essere sufficientemente intensi da superare gli sbarramenti sensoriali. Inoltre, devono rispondere ad alcune caratteristiche: l’essere umano è governato da un sistema neurologico molto affinato, in grado però di gestire solo un limitato numero di informazioni per volta. La prima difesa attivata dal genere umano per ridurre il bombardamento degli stimoli esterni ed interni viene chiamata “soglia differenziale”. Uno stimolo deve avere re­quisiti di forte contrasto e di elevata intensità senza i quali non verrebbe recepito dal sistema nervoso centrale. Le persone inoltre tendono a essere orientate dai bisogni del momento, dalle motivazioni a cogliere più facilmente alcuni stimoli od a difendersi da altri. Ciò che vediamo, sentiamo è quindi il risultato di una selezione che noi operiamo tra le migliaia di stimoli sensoriali provenienti dall’esterno e provenienti dall’interno del corpo. Pochi dati raggiungono il sistema nervoso centrale e vengono completati attraverso l’esperienza del soggetto, attraverso alcuni organizzatori di base che favoriscono la costruzione ad esempio di forme simmetriche, armoniche, complete. Se disponiamo tre punti in fila o se li disponiamo su tre righe diverse, noi avremo con buona probabilità la percezione di una riga nel primo caso, e di un triangolo nel secondo, perché il numero infinito di punti che completano lo spazio verrà aggiunto dall’esperienza e dall’organizzazio­ne in buone forme, per dare origine a un’immagine dotata di [continua ..]


3. L’approccio alla persona fragile

Esaminati i presupposti di ogni relazione, possiamo comprendere meglio cosa accada quando ci occupiamo di una persona fragile. Un intervento di cura è un intervento rivolto a chi si trova in difficoltà. Evidenziamo qui la differenza tra un approccio che pone al centro della cura la persona e un approccio che pone al centro della cura il protocollo di attuazione. Se la persona è il centro dell’interesse, l’intervento viene costruito e personalizzato tenendo presente le componenti individuali, oltre che le risorse ed il contesto: è, come abbiamo evidenziato a proposito dei presupposti epistemologici, il dominio della soggettività. Per attuare un intervento corretto non ci si potrà affidare alle consuetudini, bensì si dovranno scegliere metodologie e criteri interpretativi che guidino la comprensione e l’analisi di quella specifica realtà e che hanno il loro fondamento in una teoria dell’uomo a cui ci si riferisce. L’intervento non avrà pertanto la forma di un’applicazione sistematica di una serie di prassi: assumerà la forma circolare, a spirale, di un processo progressivo che, a partire da un’analisi delle caratteristiche della persona, si raccorda alle conoscenze, prevede una fase di progettazione, una fase di attuazione. Quest’ultima avrà una valenza anche di ulteriore conoscenza della persona, attraverso il rilevare il modo in cui l’intervento concorre al miglioramento della situazione. Di conseguenza osserveremo un ampliamento del processo di conoscenza che comporterà una revisione del progetto pensato e una conseguente rivalutazione delle prassi attuate. Se invece si sceglie una modalità che non pone la persona al centro dell’intervento di cura, ci si potrà affidare a dei protocolli la cui validità è accertata da criteri di tipo scientifico tradizionale: questi possono garantire l’uniformità degli interventi, ma diminuiscono in modo drastico la per­sonalizzazione della cura. Trattandosi di persone però, sappiamo che la componente relazionale, soggettiva, rappresenta una variabile fondamentale affinché il processo di cura si possa attuare. In una modalità che privilegia un protocollo applicato in modo un po’ acritico, il messaggio che si trasmette alla persona che riceve la cura è che la stiamo trattando “come un [continua ..]


4. Il gruppo multi-professionale: strumento cardine della cura