Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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La difesa dei soggetti deboli nell'attuazione dei principi costituzionali. L'amministrazione di sostegno (di Mario Rosario Ciancio (Presidente della sezione tutelare del Tribunale di Roma))


SOMMARIO:

1. La tutela preventiva: interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno - 2. La scelta e la nomina dell’amministratore di sostegno - 3. Poteri e doveri dell’amministratore di sostegno - 4. Il consenso alle terapie - 5. Alcune indicazioni, anche pratiche, sul procedimento


1. La tutela preventiva: interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno

Le misure dell’interdizione ed inabilitazione, a seguito dell’entrata in vigore della l. 9 gennaio 2004, n. 6, sono state affiancate dall’istituto dell’amministrazione di sostegno, misura più duttile e più rispettosa della persona. Presupposto per la pronuncia dell’interdizione (art. 414 c.c.) è lo stato di abituale infermità di mente che rende incapaci di provvedere ai propri interessi; presupposto per l’inabilitazione (art. 415 c.c.) è lo stato di infermità di mente, non così grave da dar luogo all’interdizione, ovvero la prodigalità o l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti, che espongano il soggetto a gravi pregiudizi economici; l’amministrazione di sostegno è la misura di protezione delle persone che, per effetto di una infermità o menomazione fisica o psichica, siano nell’impos­sibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. Come emerge dalle definizioni ed ancor più dalla regolamentazione del codice, mentre l’inter­dizione e l’inabilitazione hanno dei presupposti e delle conseguenze tipizzate, non è così per l’am­ministrazione di sostegno, nella quale si punta l’attenzione sulle esigenze della persona in difficoltà, con l’obiettivo di limitare l’intervento dell’amministratore di sostegno alla rappresentanza od assistenza solo per gli atti per i quali esiste l’esigenza di protezione. Del resto, la disposizione dell’art. 404 c.c. va letta insieme a quella dell’art. 1 della l. n. 6/2004, in base al quale tale istituto ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente. Gli istituti dell’interdizione e l’inabilitazione hanno una maggiore attenzione agli aspetti della tutela economica, mentre l’istituto dell’amministrazione di sostegno non esclude la tutela economica, ma è in primo luogo finalizzato alla cura della persona. Quindi, primariamente, l’interesse è rivolto al luogo in cui la persona vive, alla sua salute e alla necessità di terapie od ad altri bisogni che riguardano le scelte importanti della [continua ..]


2. La scelta e la nomina dell’amministratore di sostegno

Il criterio principale per la scelta dell’amministratore è enunciato nell’incipit dell’art. 408 c.c.: Il giudice deve scegliere una persona che sia idonea alla cura ed agli interessi del beneficiario. E, nell’ordine, la disposizione prevede la designazione dell’amministratore da parte dello stesso beneficiario, attraverso un atto precedente al procedimento, che non coinvolge il giudice tutelare; l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata. O anche con la designazione nella richiesta di apertura che il beneficiando può fare personalmente e, in tal caso, la designazione si inserisce nel procedimento dinanzi al giudice tutelare. La designazione può anche essere fatta, in alcune circostanze, dai genitori, con atto pubblico, scrittura privata o testamento. Il giudice, peraltro, può disattendere la designazione per gravi motivi, che evidentemente riguardano la circostanza che la persona designata non sia la più idonea a salvaguardare la cura e gli interessi del beneficiario, ad esempio per la presenza di conflitti, o per sua incapacità. Subentrano a questo punto le priorità indicate dalla legge al giudice tutelare, ovvero il coniuge o convivente, i genitori e gli ascendenti, i figli e discendenti, i collaterali ed i parenti entro il quarto grado. Passando alle figure extra familiari, la norma esclude che siano nominati amministratori di sostegno i soggetti del servizio pubblico o privato che si prendono cura della persona, per non far coincidere la figura del controllore con quella del controllato. È rilevante il fatto che, a tali soggetti, la legge (art. 406 c.c.) ha invece conferito la legittimazione attiva per l’instaurazione del pro­cedimento di amministrazione, per rendere più concreti e reali i principi costituzionali di protezione dei soggetti deboli, nel rispetto dei doveri di solidarietà sociale sanciti dall’art. 2 Cost.; e per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana di cui all’art. 3, 2° comma della Carta costituzionale. La disposizione prevede inoltre la possibilità che siano nominati amministratori i rappresentanti di fondazioni od associazioni, con o senza personalità giuridica; rappresentanti che a loro volta possono delegare il compito ad un componente dell’associazione o della fondazione. È im­portante che comunque il compito sia [continua ..]


3. Poteri e doveri dell’amministratore di sostegno

I poteri sono in genere poteri di rappresentanza (o assistenza). Nel diritto esiste una rappresentanza volontaria ed una rappresentanza per legge. Nella tutela e nell’amministrazione di sostegno, il potere di rappresentanza è conferito dalla legge. Nell’amministrazione di sostegno in particolare si limita tale potere alle situazioni di effettiva incapacità della persona protetta, ad es.: gestione del conto in banca; ritiro della pensione; pagamenti in nome e per conto dell’amministrato; gestione di eventuali beni immobili (ad es. ritirare l’affitto e versarlo sul conto dell’amministrato); gestione dei suoi interessi personali o patrimoniali; ad es.: presentare la domanda per ottenere la pensione o indennità di accompagnamento a nome dell’amministrato; chiedere il rilascio di un documento d’identità, chiedere certificati medici o cartelle cliniche; chiedere estratti conto bancari o postali; presentare la dichiarazione dei redditi. Per tutto ciò che supera l’ordinaria amministrazione o non è già previsto nel decreto di nomina, l’amministratore di sostegno deve chiedere l’autorizzazione al giudice tutelare (artt. 374, 375, 411 c.c. – ad es. accettare un’eredità; vendere una casa per sostenere le spese ingenti o i debiti accumulati; effettuare una divisione concordata di beni con altri parenti; investire soldi dal conto corrente in titoli od in altri mezzi finanziari; affidare l’incarico ad un avvocato per la difesa in giudizio; spostare il beneficiario che non può fare liberamente la scelta, da una abitazione ad un luogo di cura). I doveri dell’amministratore di sostegno riguardano in genere la cura della persona e l’ammini­strazione dei beni. Abbiamo accennato all’amministrazione dei beni, per la cura della persona vengono in rilievo ad esempio l’eventuale ricerca del luogo in cui la persona deve essere alloggiata o ricoverata e l’attenzione agli aspetti medico-terapeutici, con le questioni relative al consenso alle terapie, di cui si parlerà di seguito. Vi è un dovere generale dell’amministratore di tenere conto delle esigenze e dei bisogni del­l’amministrato: l’art. 410, 1° comma e 2° comma, c.c. richiede, per quanto possibile, di instaurare un dialogo con l’amministrato per renderlo partecipe, anche se poi non tutto può [continua ..]


4. Il consenso alle terapie

In linea generale la Costituzione italiana prevede, in virtù del principio del rispetto dei diritti fondamentali della persona e della sua dignità, previsto dall’art. 2, dell’inviolabilità della libertà personale (in cui è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo, tutelata dall’art. 13) e della salute, come fondamentale diritto dell’individuo (con la previsione che i trattamenti sanitari obbligatori sono circoscritti e previsti dalla legge ex art. 32 Cost.) che l’intervento medico deve essere consentito dal paziente, previa informazione sui suoi effetti e rischi, salve le eccezioni previste dalla legge. In applicazione di tali principi, anche in esecuzione di Convenzioni Internazionali (Convenzione del Consiglio d’Europa sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina, fatta ad Oviedo il 4 aprile 1997 e ratificata dall’Italia con l. 28 marzo 2001, n. 145), la legge italiana (l. 23 dicembre 1978, n. 833) stabilisce che i trattamenti sanitari sono volontari, e che gli interventi nel campo della salute possono essere effettuati solo se il paziente abbia espresso il proprio consenso libero ed informato. Certo, il nostro ordinamento non ritiene lecito né il suicidio né l’eutanasia, per cui sanziona chi a tale gesto istiga o ad esso dà aiuto (art. 580 c.p. – art. 35 del codice deontologico dei medici); tuttavia, il principio del consenso informato prevede la facoltà oltre che di scegliere tra i trattamenti medici, anche di rifiutare le terapie e di interromperle in tutte le fasi della vita (Cass. 16 ottobre 2007 n 21748, caso Englaro). Esclude la Corte di Cassazione, con indirizzo unanime, espresso nella citata ed in altre sentenze, che il principio di autodeterminazione incontri in questo senso un limite, allorché ne possano derivare gravi conseguenze, anche eventualmente il sacrificio della vita. E nel caso di pazienti disabili o la cui volontà sia inficiata da problemi psichici? In tali situazioni la legge riconosce la facoltà del legale rappresentante (tutore o amministratore di sostegno) di prestare il consenso ai trattamenti sanitari a beneficio del paziente che sia impossibilitato a formare ed esprimere una propria volontà consapevole, in base al principio che tali rappresentanti devono occuparsi della cura della persona del [continua ..]


5. Alcune indicazioni, anche pratiche, sul procedimento