Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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L'amministrazione di sostegno. Tutela della persona affetta da patologie psichiche e dipendenze (di Francesca Paulucci Baroukh (Avvocato in Roma. Presidente dell’Associazione Mediazione e Tutela dei Diritti – Centro Studi Epikeia))


SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il “diritto al sostegno” - 3. Le disabilità - 4. Il ruolo fondamentale dell’amministratore di sostegno: il potere di cura - 5. Il consenso informato - 6. Conclusioni


1. Introduzione

Le riforme che si sono susseguite dal 1942 ad oggi, in materia di diritto di famiglia e della persona, sono state tutte epocali perché, seppure con ritardo rispetto ai mutamenti sociali, hanno rappresentato delle tappe fondamentali per la società moderna. Detti mutamenti sociali e legislativi hanno influito moltissimo sulla famiglia e su come veniva gestita all’interno di essa “la disgrazia” di avere un figlio o una figlia con un disturbo psichico. Prima della l. 13 maggio 1978, n. 180 sugli «accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori» che ha disposto l’abolizione ufficiale dei manicomi, l’infermo di mente era non solo protetto dal suo nucleo familiare, ma addirittura nascosto al mondo esterno. Questo atteggiamento era tanto più possibile e realizzabile se chi doveva pagare il “prezzo della follia” si trovava a far parte di una famiglia benestante, socialmente e culturalmente elevata; altrimenti il “matto” veniva rinchiuso all’interno di un manicomio se la famiglia non era in grado di gestirlo. Sin dai primi anni ’80 ci si cominciava a preoccupare su come l’essere umano, in condizione di disagio, diventava presto vittima di aggressioni ingiuste, dolose o colpose, non necessariamente dirette contro l’integrità fisica della vittima e destinate a produrre prima o poi, come risultato, l’insorgere nel destinatario di malesseri più o meno gravi di carattere psichico. Era necessario trovare un nesso tra disturbo psichico e incapacità legale e vent’anni di fila di scambi di opinioni tra famiglie di malati di mente, psichiatri, infermieri dei servizi sociosanitari, disabili e cooperative hanno portato alla stesura di questa legge che ha scardinato le misure di salvaguardia previste dal codice del 1942. L’avvento di questa piccola/grande novella del 9 gennaio 2004, n. 6 – dice il prof. Cendon padre ispiratore della legge – si deve proprio alla ricchezza di tanti incontri contagiosi ed illuminanti con i malati di mente e con le loro famiglie, sia all’interno che all’esterno dei centri di salute mentale. È scomparsa finalmente la visione di una umanità spezzata in due tronconi netti: i capaci da una parte e gli incapaci dall’altra, i sani di qua e i “matti” di là. Come disse lo stesso dott. Basaglia in una delle tante interviste che [continua ..]


2. Il “diritto al sostegno”

La riforma istitutiva dell’amministrazione di sostegno ha avuto il grande merito di introdurre una nuova prerogativa soggettiva definibile quale “diritto al sostegno”. Si tratta di una prerogativa individuale complessa, riferibile alla persona non autosufficiente e tale da interessare tutti i soggetti deboli, comprendente dunque non solo i disabili gravi ai quali si rivolge il vecchio sistema di “protezione” con le misure incapacitanti dell’interdizione e inabilitazione. Da più di dieci anni a questa parte, con l’entrata in vigore della l. n. 6/2004, si è finalmente superato il grave limite del sistema codicistico del 1942 che si occupava solo degli individui più seriamente colpiti dal destino, soprattutto a livello mentale, e si disinteressava della massa dei c.d. “borderline”. Questi ultimi, infatti, non erano in condizioni psichiche talmente gravi da poter essere interdetti o inabilitati, privi peraltro della possibilità di far ricorso a qualche misura, nell’armamentario del codice, per risolvere i loro problemi. Le modifiche apportate dalla l. n. 6/2014 agli artt. 404-432 c.c. hanno sicuramente determinato, con il passare degli anni, uno scarso utilizzo del vecchio ed ormai inutilizzato istituto dell’inter­dizione, anche se non siamo ancora arrivati all’abrogazione (alla fine del 2014 è stato presentato un progetto di legge per l’abrogazione dell’interdizione). Infatti, con l’entrata in vigore della normativa istitutiva dell’amministrazione di sostegno, l’in­terdizione ha perso la sua funzione in quanto il nuovo istituto, modulabile a seconda delle esigenze del beneficiario, risponde molto meglio alle singole situazioni da tutelare e sostenere. A conferma di ciò la Suprema Corte, nell’immediatezza dell’entrata in vigore della legge, con sent. 12 giugno 2006, n. 13584, affermò: «l’ordito normativo esclude che si faccia luogo all’interdi­zione tutte le volte in cui la protezione del soggetto abitualmente infermo di mente, e per ciò incapace di provvedere ai propri interessi, sia garantita dallo strumento dell’amministrazione di sostegno, concludendosi nel senso del carattere affatto residuale dell’interdizione, misura cui sarà ammissibile fare ricorso solo quando si tratta di gestire un’attività di una certa [continua ..]


3. Le disabilità

La persona affetta da una disabilità o da una patologia psichica o da una dipendenza che, come vedremo, è strettamente correlata alla patologia è prima di tutto una persona con bisogni particolari dati dalla sua storia personale e dal contesto relazionale e sociale nel quale è inserita. La persona con disabilità motoria o intellettiva o con la doppia diagnosi è quindi pur sempre una persona con bisogni particolari che derivano dalla sua storia personale e familiare. Disabilità è un termine ampio e generico sotto il quale vengono riunite tutte le persone disabili con le loro esigenze, difficoltà e risorse. La disabilità quindi non riguarda più un gruppo ristretto della popolazione, ma è un evento che chiunque potrebbe incontrare nell’arco della propria vita. Ed è per questo che può essere una condizione temporanea o definitiva con una gravità graduata a seconda dei casi. La storia della disabilità è quindi la storia di ciascuna persona con disabilità e dei trattamenti che ha ricevuto. In questa situazione è importante dare un sostegno adeguato alle famiglie che spesso si trovano nella difficoltà materiale e psicologica di adempiere ai propri compiti di protezione e tutela. Il Servizio Sanitario Nazionale, gli enti locali e il terzo settore si prodigano per dare risposte adeguate ai bisogni dei singoli disabili e alle loro famiglie. È quindi fondamentale che chiunque sia la persona che attiva la richiesta di amministrazione di sostegno (familiare, servizio sociale o altro) fornisca al giudice tutelare competente la maggiore quantità possibile di informazioni sulla persona con disabilità e sul suo contesto di vita. In questo modo il Giudice Tutelare emetterà un decreto che rispecchierà le esigenze di vita della persona e che valorizzerà le risorse di cui la persona è portatrice. Le problematiche della persona affetta da disabilità possono essere suddivise in tre punti: 1.   progetto di vita: organizzazione della quotidianità (inserimento in centri diurni, cooperative di lavoro, RSA o abitazioni autonome); 2.   patrimonio: casa, apertura di un conto corrente, pagamenti, riscossioni di nuove provvidenze; 3.   bisogni sanitari: tutto ciò che riguarda la salute e che prevede autorizzazioni [continua ..]


4. Il ruolo fondamentale dell’amministratore di sostegno: il potere di cura

In tutti questi casi che coinvolgono sia le patologie psichiche sia le dipendenze, anche temporanee, fondamentale è la figura dell’amministratore di sostegno nella scelta delle cure mediche da adottare. Il potere di cura si trovava già espresso tra le funzioni del tutore, quale compito distinto dal potere di rappresentanza negli atti civili e dalla funzione di amministrazione dei beni e con l’entra­ta in vigore della l. n. 6/2004 il termine diventa ancora più importante in quanto la cura della persona diventa la finalità primaria della misura di protezione. Il codice di deontologia medica agli art. 29 ss. sancisce che: «il medico deve proteggere il minore, l’anziano, il disabile e deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e sulle eventuali alternative diagnostiche-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico, nell’informarlo, dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione al fine di promuoverne la massima adesione nelle proposte diagnostiche-terapeutiche». Successivamente, il medico ha l’obbligo di acquisire il consenso del soggetto o di chi ne ha la tutela. Il medico quindi può, anzi deve poter interloquire per quanto concerne le scelte di cura, tanto con i tutori degli interdetti, quanto con gli amministratori di sostegno. L’amministratore di sostegno deve quindi, ove possibile, informare sempre il beneficiario sostenendolo nel formarsi un determinato convincimento; se però la disabilità è tale che determina la totale impossibilità di autodeterminarsi allora le scelte di cura, non potendo essere o­rientate dalla volontà del beneficiario saranno indirizzate dai principi generali che tutelano il diritto alla vita e il divieto di sperimentazioni cliniche che non presentino un beneficio reale e diretto per la salute dell’interessato con un grado minimo di rischio. Nel settore delle cure sanitarie il rispetto della volontà dell’individuo assume rilievo in ossequio al principio costituzionalmente sancito per cui nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la sua volontà (art. 32 Cost., art. 34 deont. medico) e tale principio non può subire deroghe sul mero presupposto che ci si trovi di fronte ad un individuo disabile. La deroga può avere la sua [continua ..]


5. Il consenso informato

A livello internazionale, infatti, il principio del consenso informato trova esplicito riconoscimento nella Convenzione di Oviedo. L’art. 5 della Convenzione stabilisce che: «un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e formato». Gli artt. 6, 7, 8 e 9 della medesima Convenzione stabiliscono delle regole specifiche per la protezione delle persone che non hanno la capacità di dare consenso, ad esempio le persone che soffrono di un disturbo mentale, le situazioni di urgenza e i desideri precedentemente espressi. Nel nostro ordinamento non esiste un’espressa disposizione di legge che stabilisca quale valore ed efficacia dare alla volontà espressa dal paziente in un momento anteriore alla perdita della capacità di intendere e di volere. La giurisprudenza è giunta ad attribuire valore alla volontà in precedenza manifestata solo se possa ritenersi che la stessa abbia i caratteri della concretezza e della attualità. Numerosi precedenti giurisprudenziali hanno riconosciuto l’esistenza nel nostro ordinamento del principio secondo il quale, nella ipotesi in cui sia possibile ricostruire, al di là di ogni ragionevole dubbio, una volontà del paziente antecedente al sopraggiungere dello stato d’incapacità, della stessa si debba tenere conto, purché sia stata validamente manifestata nella piena consapevolezza dei benefici del trattamento sanitario e dei rischi concretamente derivati dalla sua omissione. La misura dell’amministrazione di sostegno è la più idonea a promuovere la finalità di rimuovere gli ostacoli che impediscono alla persona disabile di realizzarsi: 1.   in caso di disabilità fisica che non abbia riflessi sulle facoltà mentali, le scelte di cura spetteranno in via esclusiva all’interessato, anche se saranno espresse per il tramite dell’ammini­stratore di sostegno; 2.   in caso di totale impedimento psico-fisico dell’interessato le scelte di cura spetteranno esclusi­vamente all’amministratore di sostegno con la precisazione che, ove la persona abbia in prece­denza espresso la propria volontà (es. rifiuto di emotrasfusione), l’incarico conferito all’ammi­nistratore di sostegno potrà essere condizionato al rispetto di [continua ..]


6. Conclusioni