Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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«'E figlie so' ffiglie, e so' tutt' eguale!»: prime notazioni a margine della l. N. 219/2012 (di Andrea Graziosi (Ordinario di diritto processuale civile dell’Università di Ferrara))


Questo articolo riproduce, con qualche integrazione, l’intervento svolto al Convegno tenutosi a Verona il 25 gennaio 2013 su iniziativa di AIAF VENETO intitolato Tutti i figli sono uguali. Ringrazio la dott.ssa Rossella Casillo per il Suo aiuto nella elaborazione e nella predisposizione del testo scritto di questo intervento.

SOMMARIO:

1. L'unificazione dello status giuridico di figlio e i nuovi diritti da esso scaturenti - 2. Il nuovo riparto di competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni - 3. Qualche rilievo di ordine procedimentale - NOTE


1. L'unificazione dello status giuridico di figlio e i nuovi diritti da esso scaturenti

La celebre esclamazione con cui si conclude la commedia Filumena Marturano di Eduardo de Filippo l’ho scelta come titolo di questo mio intervento, perché, nella sua potente semplicità, mi è sembrata la più autentica e forte testimonianza del disagio ormai diffuso verso un diritto di famiglia che, fino a ieri, i “figli” non li trattava tutti nello stesso modo. Anche per queste ragioni, credo che la recentissima l. 10 dicembre 2012, n. 219 rappresenti, per il nostro ordinamento giuridico, un traguardo di civiltà che giustamente il prof. Sesta ha oggi definito epocale. La riforma segna l’ultimo passo verso la definitiva eliminazione di quello che, sino ad oggi, ha costituito un’ingiustificabile vulnus al principio di uguaglianza, il quale, oltre ad essere, come noto, costituzionalmente consacrato nell’art. 3 della nostra Costituzione, funge da cardine di un intero sistema che aspiri a definirsi democratico. Dopo anni di accesi dibattiti e frequenti oscillazioni giurisprudenziali, il legislatore si è finalmente deciso ad intervenire nel delicato settore della filiazione per eliminare le disparità di trattamento che ancora permanevano nel nostro ordinamento giuridico, e che relegavano i figli naturali in una posizione deteriore rispetto a quella dei figli definiti legittimi. Tale discriminazione è oggi pienamente superata dalla Novella del 2012, non solo sul terreno processuale ove ancora resisteva (v. infra) ma, prima ancora, sullo stesso piano semantico. È proprio a partire da tale ambito, ove pericolosamente si annidavano i pregiudizi e il disvalore storicamente associati alla filiazione “solo” (!) naturale, che la l. n. 219/2012 ha voluto spiegare la propria vis riformatrice, con la previsione – di valore anche simbolico e, proprio per questo, di fondamentale importanza – di cui all’art. 1, 1° comma della legge stessa: «Nel codice civile, le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: “figli”». A tale indicazione di valore fa eco l’innovazione contenuta nel riformato art. 315 c.c., il cui testo sancisce ora a chiare lettere che «Tutti i figli hanno lo stesso status giuridico», tanto che sull’in­tento parificatorio perseguito [continua ..]


2. Il nuovo riparto di competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni

Per quanto concerne invece gli aspetti strettamente processuali toccati dalla riforma, il giudizio può essere solo parzialmente positivo, per le ragioni che verranno illustrate [2]. Da questo punto di vista, l’innovazione sicuramente più significativa e meritevole di essere benevolmente accolta si ravvisa nel sostanziale svuotamento di competenze del tribunale per i minorenni, realizzato dalla l. n. 219/2012 mediante la riformulazione dell’art. 38 delle disp. att. c.c., norma che tutt’ora ripartisce, appunto, le competenze tra il tribunale ordinario ed il tribunale per i minorenni. La citata disposizione, sino all’entrata in vigore della riforma, attribuiva alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti in tema di: autorizzazione del minore che abbia compiuto sedici anni a contrarre matrimonio (artt. 84 e 90 c.c.); amministrazione del fondo patrimoniale in presenza di figli minori o attribuzione agli stessi di una quota dei beni che ne fanno parte (art. 171 c.c.); costituzione, a tutela dei figli minori, dell’usufrutto a favore di uno dei coniugi, in sede di divisione della comunione legale (art. 194, 2° comma, c.c.); autorizzazione al riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio in caso di opposizione del genitore che ha già effettuato il riconoscimento (art. 250 c.c.); affidamento del figlio naturale riconosciuto durante il matrimonio (art. 252 c.c.); assunzione del cognome del padre da parte del figlio minore, ove la filiazione nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento materno (art. 264 c.c.); risoluzione dei conflitti tra genitori conviventi sull’eser­cizio della potestà (recte: responsabilità) genitoriale (art. 316 c.c.); affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio in caso di cessazione della convivenza tra i genitori (art. 317 bis c.c.); deliberazione dei provvedimenti ablativi o limitativi della potestà genitoriale (artt. 330, 332, 333, 334, 335 c.c.), ivi compresi quelli urgenti (art. 336 c.c.); autorizzazione all’eser­cizio dell’impresa da parte del minore sottoposto a tutela (art. 371, ult. comma, c.c.); dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, laddove l’azione riguardi un figlio ancora minorenne (art. 269, 1° comma, c.c.). Su tale riparto di competenze è intervenuto l’art. [continua ..]


3. Qualche rilievo di ordine procedimentale

Se dunque l’intervento realizzato con la l. n. 219/2012 merita di essere lodato per gli aspetti poc’anzi considerati, non può tuttavia sottacersi che esso non è riuscito a scalfire pienamente le irragionevolezze procedurali della previgente disciplina. Il nuovo art. 38 disp. att. c.c., in particolare, prevede che «Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile». Il richiamo al procedimento in camera di consiglio è sicuramente l’aspetto della legge che più di ogni altro desta talune perplessità nell’interprete, ed è alquanto agevole comprenderne le ragioni. In primo luogo, si può richiamare il notissimo dibattito che da più di un ventennio pone luce sull’incompatibilità tra l’adozione delle forme camerali e la tutela giurisdizionale di diritti soggettivi e status. Le disposizioni che regolano il procedimento camerale (artt. da 737 a 742 bis c.p.c.) si presentano, infatti, talmente scarne nel loro contenuto ed evanescenti nella relativa disciplina da apparire del tutto inidonee ad assicurare il pieno rispetto delle garanzie difensive delle parti in un procedimento vertente su diritti, e destinato perciò a concludersi con un provvedimento idoneo al giudicato, come certamente è anche quello avente ad oggetto l’affidamento ed il mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio. Tali dubbi di costituzionalità, come si sa, vengono da molto lontano, ma sino ad ora, benché siano stati prospettati ripetutamente da una parte consistente della dottrina processualistica italiana, non sono riusciti a fare breccia né nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, né, soprattutto, in quella della Consulta, e non può certo esser questa la sede per riprendere un dibattito così risalente e complesso. Ad aggravare i sospetti di illegittimità costituzionale, finora elusi dai giudici incaricati del relativo vaglio, vi è però la circostanza, affatto trascurabile, per cui il richiamo al procedimento in camera di consiglio per i processi aventi ad oggetto l’affidamento ed il mantenimento dei figli nati al di fuori del matrimonio genera un’indubbia disparità di trattamento rispetto ai figli nati all’interno del matrimonio, dal [continua ..]


NOTE