Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Inserimento del minore in famiglia omosessuale. Nota a sentenza della cass. 11 gennaio 2013, n. 601 (di Alberto Figone (Avvocato in Genova, docente Scuola di alta Formazione AIAF))


SOMMARIO:

1. Affidamento dei figli - 2. Affidamento esclusivo - 3. Omosessualità del genitore affidatario - 4. Inserimento del minore in famiglia incentrata su coppia omosessuale - 5. Dannosità per l'equilibrio del bambino - 6. Mero pregiudizio privo di riscontri obiettivi - NOTE


1. Affidamento dei figli

Il mero pregiudizio nei confronti dell’affidamento esclusivo di un minore ad un genitore omosessuale, con inserimento del bambino in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale, rende inammissibile il ricorso avverso la decisione di merito, che quell’affidamento aveva disposto. In tale modo si da infatti per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino.   Capita con una certa frequenza che i media diano notizia di pronunce del Supremo Collegio, travisandone il contenuto ed attribuendo così ai giudici affermazioni in linea di diritto, differenti da quelle effettivamente espresse, estrapolando magari solo alcuni passaggi motivazionali, a scapito dell’ef­fettiva ratio delle decisioni. Ciò avviene per lo più nell’ambito del diritto di famiglia, forse perché è più agevole attirare l’attenzione di un pubblico non specializzato con messaggi altisonanti, che possono coinvolgere la vita di un numero notevole di persone. Così, ad esempio due anni fa si era detto che la Suprema Corte aveva ammesso l’adozione da parte dei singoli, scatenando subito un acceso dibattito tra forze politiche e movimenti di opinione: in realtà tale sentenza, nel riconoscere in Italia efficacia di adozione in casi particolari a quella che una donna nubile aveva ottenuto all’estero, conteneva semplicemente una chiosa con cui la Corte si limitava a rappresentare il fatto che il futuro legislatore ben avrebbe potuto estendere anche alle persone singole l’adozione legittimante dei minori [1]. Più recentemente i media hanno divulgato la notizia per cui sarebbe stata riconosciuta efficacia e validità nel nostro Paese agli accordi prematrimoniali in vista del divorzio; sta di fatto che la sentenza in questione si è limitata ad attribuire validità ad un accordo tra nubendi, nel quale la sposa si impegnava a corrispondere una data cifra di denaro al marito, a fronte degli esborsi a lui sostenuti per la ristrutturazione della casa coniugale, in caso di “fallimento” del matrimonio (e dunque in caso di separazione o divorzio): quell’accordo dunque individuava la crisi coniugale quale condizione sospensiva per il pagamento, e non già quale causa del negozio medesimo, propria dei patti prematrimoniali [2]. Altrettanto [continua ..]


2. Affidamento esclusivo

Come è noto, in presenza della crisi della coppia genitoriale (fondata o meno sul matrimonio: nel caso di specie le parti non erano coniugate) la regola generale è l’affido condiviso dei figli minori; l’affido esclusivo (o monogenitoriale) ai sensi dell’art. 155 bis c.c. può essere disposto solo quando l’affido ad entrambi risultasse contrario all’interesse del minore. La giurisprudenza in questi anni ha correttamente dimostrato di attribuire un ruolo marginale all’affidamento esclusivo, operativo solo in presenza di circostanze tali da comprovare l’inido­neità dell’altro genitore a farsi carico di un percorso di crescita e di educazione del figlio. In tale prospettiva, come più volte affermato nei casi maggiormente ricorrenti nella pratica, la mera conflittualità tra i genitori, ovvero la lontananza fra i luoghi delle rispettive residenze non è di ostacolo di per sé all’affidamento condiviso [3]. Nel caso di specie, come anticipato, il Tribunale per i minorenni, con provvedimento confermato dalla Corte d’Appello (vertendosi, ovviamente, in fattispecie antecedente l’entrata in vigore della l. n. 219/2012) aveva disposto l’affidamento esclusivo del figlio alla madre, posto che il bambino aveva manifestato sensi di rabbia nei confronti del padre, avendo assistito ad un episodio di violenza da questi perpetrata nei confronti della convivente della madre; risulta inoltre che il padre si fosse allontanato dal figlio da mesi, sottraendosi anche agli incontri protetti stabiliti dal giudice, senza voler così recuperare le funzioni genitoriali.


3. Omosessualità del genitore affidatario

Uno dei motivi di ricorso del padre si incentrava appunto sul fatto che, a suo dire, la Corte di merito non avrebbe approfondito se la famiglia in cui il figlio era stato inserito, composta da due donne legate da una relazione omosessuale, fosse idonea a garantire l’equilibrato sviluppo del bambino. La Cassazione dichiara inammissibile quel motivo per genericità, riflettendo peraltro una valutazione di merito (come tale preclusa in sede di legittimità). A questo punto la motivazione della sentenza avrebbe forse potuto ritenersi già completa ed esaustiva. La Corte peraltro aggiunge una chiosa finale, che ha suscitato i fraintendimenti e le polemiche di cui già si è dato atto. Si afferma infatti che a base della censura del ricorrente non vi sarebbero certezze scientifiche o dati di esperienza «bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale». Si aggiunge che «in tal modo si da per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque la Corte d’Appello ha preteso fosse specificamente argomentata».


4. Inserimento del minore in famiglia incentrata su coppia omosessuale

Come si vede, la Corte di Cassazione si è limitata ad affermare che l’inserimento di un minore in una famiglia composta da due persone dello stesso sesso non è di per sé pregiudizievole al minore stesso, dovendo il preteso pregiudizio essere adeguatamente comprovato da chi lo deduce. In altri termini, non sussiste presunzione di sorta di contrarietà all’interesse del minore per il fatto che il genitore affidatario (ma considerazioni analoghe varrebbero per quello collocatario, in presenza di affidamento condiviso) intrattenga una convivenza con persona dello stesso sesso. L’idoneità genitoriale prescinde dunque dall’orientamento sessuale, onde il genitore eterosessuale non per questo solo fatto può ritenersi avere una miglior capacità ad educare ed istruire la prole; ogni valutazione va effettuata in concreto, avuto solo riguardo all’interesse del minore, a prescindere non solo da soluzioni precostituite da puri pregiudizi o condizionamenti culturali o religiosi (va qui ricordato come la relazione omosessuale della ex compagna risultasse inaccettabile per il padre ricorrente, di religione musulmana). Si tratta di un’importante affermazione di principio, che la giurisprudenza di merito aveva già espresso in termini espliciti, rimarcando come l’omosessualità di uno dei genitori sia condizione irrilevante ai fini della determinazione del giudizio sull’idoneità genitoriale e sull’affida­men­to dei figli [4]. Si supera così l’assunto, già contenuto in altre decisioni, per cui il solo fatto dell’omo­sessualità di un genitore non potrebbe giustificare l’affidamento esclusivo all’altro [5], attribuendosi così comunque rilevanza all’orientamento sessuale dei genitori.


5. Dannosità per l'equilibrio del bambino

Eterosessualità ed omosessualità dei genitori sono di per sé elementi che non possono far propendere a priori per una soluzione predefinita in sede di affidamento, dovendosi avere riguardo, caso per caso, all’interesse del minore. Ecco, dunque, che una scelta così pregnante quale l’affidamento esclusivo del figlio non può trovare ostacolo nelle tendenze omosessuali dell’affi­datario, quando l’altro genitore, ancorché eterosessuale, presenti carenze tali da non essere in grado di elaborare un percorso di genitorialità condivisa con l’altro.


6. Mero pregiudizio privo di riscontri obiettivi

La Corte di Cassazione, in conclusione, ha reso una decisione coerente con i propri precedenti dal punto di vista dell’interesse del minore. Sarebbe erroneo e travisante indurre dalla sentenza affermazioni che la stessa non contiene, in primis un riconoscimento della convivenza omosessuale. Sta di fatto peraltro che l’espressa censura nei confronti di un mero pregiudizio che vorrebbe pregiudizievole per un bambino l’inserimento in una “famiglia” incentrata su una coppia omosessuale è degna del massimo rispetto e richiede una riflessione. Non a caso la Cassazione si esprime in termini di “famiglia” e di “contesto familiare”, così dando per acquisita, ancorché a livello di obiter dictum, l’esistenza e la rilevanza, pure sotto l’aspetto giuridico, di più modelli familiari: dalla famiglia fondata sul matrimonio (riconosciuta espressamente dall’art. 29 Cost.) ad altre, dove prevale comunque l’affectio e la stabilità della convivenza, a prescindere dalle tendenze sessuali dei componenti, in una prospettiva che valorizza anche questi nuclei, come quelle formazioni sociali cui si riferisce l’art. 2 Cost.


NOTE