Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Prime, sommarie osservazioni sulla l. 10 dicembre 2012, n. 219 (di Umberto Roma (Professore aggregato di diritto privato nell’Università di Padova. Avvocato del Foro di Treviso))


SOMMARIO:

1. Le direttrici fondamentali - 2. L'unificazione degli stati - 3. Il rapporto tra condizione legale e realtà biologica - 4. Le innovazioni della novella, tra forma e contenuti - 5. La tecnica redazionale, tra approssimazione e rinvii - 6. Le persistenti diversità: le azioni di stato - 7. Verità legale e realtà biologica, in attesa dei decreti delegati


1. Le direttrici fondamentali

Nella riflessione dottrinale e giurisprudenziale degli ultimi dieci anni, il tema della filiazione è stato dominato da due questioni fondamentali: 1.   l’unificazione degli stati di figlio: legittimo e naturale in primis, ma anche adottivo; 2.   la ricerca di un rinnovato equilibrio tra realtà legale e verità biologica nell’attribuzione o nella modificazione dello status di figlio. Le questioni si sono poste come dominanti per due ragioni: –    la prima è che la disciplina della filiazione risale alla riforma del diritto di famiglia del 1975, quindi ad almeno 35 anni fa; –    la seconda è che l’innegabile evoluzione del costume e del sentire sociale ha trovato il legislatore assolutamente sordo, eccezion fatta per una rinnovata disciplina della patologia matrimoniale: la legge sull’affidamento condiviso. D’altro canto, l’opera della giurisprudenza ordinaria e costituzionale si è rivelata straordinariamente sensibile alle istanze di modernizzazione dell’impianto codicistico, ma entro quei limiti che in un sistema di civil law sono ben noti.


2. L'unificazione degli stati

La questione dell’unificazione dello stato rispondeva e risponde, in larga misura e principalmente, ad un’esigenza di principio, un principio iscrivibile ormai nel comune patrimonio giuridico europeo. E si tratta di un principio fondato su due elementi culturali: il primo è quello per cui i figli non debbono risentire delle scelte (delle colpe, si sarebbe detto) dei padri, il secondo è quello che ha visto il graduale affrancamento, anche giuridico, della filiazione dal matrimonio. È noto che il trattamento giuridico dei figli nati fuori dal matrimonio ha ricevuto la prima e radicale trasformazione in senso migliorativo con la riforma del ’75. La giurisprudenza costituzionale ha gradualmente ed occasionalmente colmato talune persistenti distanze dei figli naturali rispetto ai legittimi. Un passo ulteriore di considerevole rilievo è quello compiuto con il 2° comma dell’art. 4 della l. n. 54/2006, che ha previsto una disciplina sostanziale unica ed unitaria per affidamento e mantenimento dei figli nella fase patologica della coppia genitoriale, superando la precedente distinzione tra patologia della coppia genitoriale coniugale e patologia della coppia genitoriale non coniugale. Certo residuavano poche, ma importanti, differenze tra figli legittimi e naturali: dal rapporto di parentela al regime successorio. Ma è l’idea stessa di una classificazione dei figli dipendente dallo stato dei genitori, una classificazione ormai meramente nominalistica stante la sostanziale equiparazione tra i figli che andava superata. Come andava superata una lettura sistematica del codice che dettava la disciplina dei rapporti genitori-figli nell’art. 147 c.c., collocato nel Capo VI – Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio – del Titolo VI – Del matrimonio –, significando una sorte di supremazia della filiazione legittima. Supremazia confermata dall’art. 261 c.c. che, nel dettare i diritti ed i doveri derivanti dal riconoscimento nei confronti del figlio naturale, disponeva per relationem stabilendo, appunto, che egli assumeva tutti i doveri e tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi.


3. Il rapporto tra condizione legale e realtà biologica

L’altra questione, tanto complessa quanto affascinante, è quella della conformità/difformità tra condizione legale – tra stato di figlio legittimo, naturale, di Tizio, di Caia – e verità biologica. L’individuazione del punto di equilibrio tra le due istanze ha corrisposto per decenni e precisamente sino alla riforma del ’75 alla sicura preminenza della condizione legale sull’emersione della verità biologica ogniqualvolta si trattasse di garantire al figlio, specie se minore, lo stato di legittimo. La stessa riforma del ’75, che pure valorizza e potenzia l’adeguamento della condizione legale alla realtà biologica anche ove si tratti di sacrificare lo status legitimitatis, dimostra tuttavia una certa cautela che è stata assecondata per decenni, specie dalla giurisprudenza di legittimità: basti menzionare l’interpretazione graniticamente sostenuta dalla Cassazione sul n. 3 dell’art. 235 c.c., in tema di disconoscimento di paternità, circa il governo da farsi della prova scientifica. Tuttavia, per influsso della giurisprudenza costituzionale e, da ultimo, delle fonti internazionali, quella che è sempre apparsa come una dialettica tra favor legitimitatis e favor veritatis si complica per l’ingresso di un terzo elemento: il favor identitatis o il favor minoris. La conformazione dello stato legale alla verità naturale viene di recente, talora, motivatamente ostacolata per la necessità di tutelare il diritto all’identità personale che rischierebbe di essere leso dalla modificazione della condizione legale per renderla conforme a verità naturale. E qui basti menzionare l’addizione operata dalla Corte costituzionale, al “minotauro” dell’art. 274 c.c., con la sent. 20 luglio 1990, n. 341, che ha imposto quale condizione di ammissibilità della dichiarazione giudiziale per il minore infrasedicenne la valutazione giudiziale della rispondenza all’interesse del minore. Come ha osservato Michele Sesta, quella decisione fa emergere «in tutta la sua evidenza la crisi del principio del favor veritatis». In un recente lavoro sulle prove genetiche, con riguardo a questo intervento della Consulta, ho scritto: «(…) rimossi gli antichi ostacoli legislativi [continua ..]


4. Le innovazioni della novella, tra forma e contenuti

Le due questioni richiedevano un intervento; del resto, in più di un’occasione la giurisprudenza, nella sua opera di ammodernamento ha, per un verso, ammesso che numerose scelte spettavano alla discrezionalità legislativa e, per altro verso, ammonito il legislatore ad intervenire. Ma che cosa ha prodotto la l. n. 219 del 2012? Esaminerò in questo mio intervento il tema dell’equilibrio dei contrapposti interessi nell’accer­tamento della filiazione, ma non posso mancare di fare un cenno all’altro tema, quello della parificazione dei figli, dell’unificazione degli stati. Premetto che, a mio avviso, la legge in esame è una delle più deludenti (considerata la carica di aspettative) in materia di famiglia degli ultimi anni. La delusione sta, quanto al profilo formale, nella tecnica redazionale, che appare la più pigra e sciatta cui sia dato pensare, e nella sistematica stessa delle singole novità. Ciò che, per vero, lascia sperare è il fatto che si tratta, per lo più, di una legge delega, onde confido che il legislatore delegato – non pressato dall’ormai tradizionale fretta di fine legislatura con la quale è abitudine mettere mano al codice civile – avvertirà la gravità dell’opera che compie novellando il codice civile. Quanto al profilo contenutistico, la delusione deriva dal rilievo che l’operazione compiuta appare più di facciata che di sostanza. L’unificazione degli stati, affidata all’icastica formula del novellato art. 315 c.c., è formale: gli istituti che rimarcano una diversità ontologica, ma talora pure di trattamento, tra i figli non vengono affatto eliminati o unificati o almeno rivisitati (eccezione fatta, ovviamente, per la legittimazione). Tra l’altro (e fortunatamente, direi), l’unificazione del trattamento è rinviata nel tempo all’ado­zione dei decreti delegati. Il testo di legge approvato dal Parlamento, dopo anni di preparazione, contiene sei articoli di cui tre innovano immediatamente nel codice civile e nell’ordinamento dello stato civile e due disegnano il futuro con intensità ed incisività variabili: dall’imporre al legislatore delegato la nuova rubrica di titoli e capi, al prescrivere un adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di [continua ..]


5. La tecnica redazionale, tra approssimazione e rinvii

Accenno solo alle stranezze della legge, cominciando dai profili formali e redazionali. a)  Lo stesso titolo della legge Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali non ne rispecchia il contenuto, anzi ne offre una prospettiva assai parziale. b) L’art. 1, 11° comma, nel disporre che le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente “figli”, rivela il massimo dell’approssimazione: –    in primis, perché tralascia tutte le disposizioni in cui il termine figlio compare al singolare e non al plurale; –    poi perché si limita al codice civile; –    ancora, perché non poche disposizioni codicistiche, previste in considerazione della qualità di naturale o legittimo del figlio, perdono, così, ogni significato: –    art. 261 c.c.: «Il riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli [legittimi]»; –    art. 252 c.c.: relativo all’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima; la disposizione conserva un senso solo ove a “figlio naturale” non si sostituisca la semplice parola “figlio” ma “figlio nato fuori dal matrimonio”; –    art. 128, 5° comma, c.c.: «Nell’ipotesi di cui al comma precedente, i figli nei cui confronti non si verifichino gli effetti del matrimonio valido, hanno lo stato di figli naturali riconosciuti nei casi in cui il riconoscimento è consentito». c) Non si comprende perché sia stato coniato il descritto 11° comma dell’art. 1 quando il successivo art. 2, 1° comma, lett. a), più tecnicamente prevede la sostituzione «in tutta la legislazione vigente» dei riferimenti ai figli legittimi e ai figli naturali con riferimenti ai figli, salvo l’utilizzo delle denominazioni di “figli nati nel matrimonio” o di “figli nati fuori del matrimonio” quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative. d) La “stranezza” della contestuale previsione dell’art. 1, 11° comma, da un lato, e dell’art. 2, 1° comma, lett. a) [continua ..]


6. Le persistenti diversità: le azioni di stato

Proprio con tale rilievo concludo la riflessione sulla mancata reale e sostanziale unificazione delle categorie di figli: –    la differenza tra figli legittimi e naturali permane, cambia nome ma permane: –    da “figli legittimi” a “figli nati nel matrimonio”; –    da “figli” naturali a “figli nati fuori del matrimonio”. Ma al di là degli aspetti nominali, è la sostanza profonda che non muta; le modalità di costituzione dello stato e le azioni di stato sono e rimangono diverse. L’unificazione reale dello stato di figlio postulerebbe l’adozione degli stessi meccanismi relativi alla costituzione dello stato ed alla sua rimozione, sia che il figlio nasca nel matrimonio sia che nasca fuori del matrimonio. Vediamo le azioni di stato. 1.   Azioni volte ad attribuire lo stato dopo la formazione di un atto di nascita che attribuisca uno stato diverso: a) reclamo della legittimità: artt. 249, 241, 242 e 243 c.c. Presupposti: i) mancanza dell’atto di nascita o del possesso di stato; ii) oppure, pur esistendo atto di nascita, il figlio è denunciato come di ignoti; iii) esiste un atto di nascita, ma il figlio è iscritto sotto falso nome per cui i veri genitori non sono quelli indicati nell’atto; b) dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale. Ora, il reclamo sarà contenuto nel Capo III, Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio, mentre ora è contenuto nella Sezione III Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo di legittimità. Ma se si considera che nella futura formulazione il reclamo avrà ad oggetto lo stato di figlio e non più la legittimità, all’interno dell’istituto del reclamo dovrebbe rientrare anche la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, posto che anche tale azione vale a reclamare uno stato di figlio in conseguenza del fatto che l’atto di nascita formatosi non ha attribuito quello stato. A ben vedere, allora, l’unificazione dello stato di figlio è assai depotenziata se sopravvivono due azioni ciascuna delle quali persegue, pur nella diversità [continua ..]


7. Verità legale e realtà biologica, in attesa dei decreti delegati