Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Diritto alle origini: prospettive di riforma dopo la sentenza della corte cost. 22 novembre 2013, n. 278 (di Monica Velletti (Giudice della Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma))


SOMMARIO:

1. Diritto alla conoscenza delle origini: ratio ed evoluzione - 2. Decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo: il caso Godelli c. Italia - 3. Sentenza della Corte cost. 22 novembre 2013, n. 278 - 4. Decisioni delle Corti di merito successive alla pronuncia di incostituzionalità, tra attesa di un intervento legislativo ed efficacia diretta - 5. Quali i possibili contenuti della nuova norma? - 6. Diritto alla conoscenza delle origini e fecondazione eterologa - NOTE


1. Diritto alla conoscenza delle origini: ratio ed evoluzione

Il tema del diritto alle origini è divenuto di attualità all’indomani dell’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che con la sentenza Godelli c. Italia ha condannato l’Italia per non aver garantito un idoneo bilanciamento tra il diritto della madre, che alla nascita del figlio si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata, e il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. L’ordinamento italiano, al contrario di quanto previsto in altri ordinamenti che hanno adottato la regola del riconoscimento automatico considerando per legge come madre la donna che ha partorito il figlio, riconosce il diritto della madre a non essere nominata al momento della nascita. Questa facoltà venne introdotta, nel nostro ordinamento, con il r.d.l. 8 maggio 1927, n. 798, convertito nella l. 6 dicembre 1928, n. 2838, recante non a caso “Norme sull’assistenza degli illegittimi, abbandonati o esposti all’abbandono”. Nella legislazione vigente, l’art. 30, 1° comma del d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, stabilisce che il medico o l’ostetrica o la persona che assiste al parto al momento della nascita deve rispettare «l’eventuale volontà della madre di non essere nominata». La scelta normativa affonda le sue radici in una valutazione politica secondo la quale la possibilità di vedere garantito l’anonimato dissuaderebbe la madre da scelte estreme, evitando il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza ovvero, all’abbondono del neonato alla nascita. Questa opzione normativa sarebbe, inoltre, sostenuta dalla possibilità di garantire alla madre e al nascituro il parto in sicurezza, scongiurando il rischio che per tenere celata una nascita indesiderata la partoriente si sottragga dal circuito legale della nascita, mettendo a rischio la propria salute e quella del nascituro. Il tema del diritto alle origini si sovrappone inevitabilmente con quello dell’adozione che, almeno nel caso dell’adozione piena, si fonda sull’irrevocabilità della stessa e sulla conseguente cessazione dei rapporti tra l’adottato e la famiglia d’origine (art. 27, 3° comma, l. n. 184/1983), e sui conseguenti limiti posti dal legislatore al diritto del figlio di conoscere le proprie origini, limiti ritenuti conformi all’interesse del minore che verrebbe salvaguardato da un [continua ..]


2. Decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo: il caso Godelli c. Italia

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la richiamata decisione 25 settembre 2012, Godelli c. Italia [2], ha ritenuto che la legislazione italiana violasse i principi contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo per aver assicurato una tutela dell’anonimato della madre giudicata non equa, in quanto non adeguatamente bilanciata rispetto al diritto del figlio adulto, pur se adottato da terzi, di avere informazioni sulle sue origini familiari. La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha preso le mosse da un ricorso presentato dalla Sig.ra Godelli, nata nel 1943 e non riconosciuta alla nascita dalla madre biologica che aveva esercitato il diritto di “non essere nominata”, dato desumibile dall’atto di nascita. La bambina abbandonata in un orfanatrofio venne poi affidata alla famiglia Godelli e all’età di sei anni “affiliata” (istituto al­l’epoca destinato all’inserimento di un minore in famiglia diversa da quella di origine, e con effetti analoghi, ma molto meno tutelanti per il minore rispetto all’adozione piena) dai coniugi Godelli. A dieci anni la bambina scoprì di non essere figlia dei genitori “affilianti”, ma non ebbe informazioni sulla sua origine, neppure quando scoprì che nel suo stesso giorno di nascita era nata ed era stata abbandonata un’altra bambina, presumibilmente sua sorella gemella, che i genitori le impedirono di frequentare. Nel 2006, ormai adulta la Sig.ra Godelli chiese ufficialmente informazioni sulla sua origine all’ufficiale dello Stato civile del Comune di Trieste, ricevendo l’atto di nascita privo di informazioni relative alla madre che aveva esercitato il diritto a non essere nominata. Per avere tali informazioni, si rivolse prima al Tribunale di Trieste, e a seguito della dichiarazione di incompetenza del Tribunale adito, al Tribunale per i minorenni della stessa città, che applicando l’art. 28, l. n. 184/1983 respinse la richiesta di accesso alle informazioni sulle sue origini. Proposto appello avverso tale decisioni, anche questo venne respinto. La Corte di Strasburgo evidenziando come il diritto di conoscere le proprie origini rientri nel capo di applicazione dell’art. 8 CEDU, e in particolare nella nozione di vita privata «che comprende aspetti importanti dell’identità personale di cui fa parte [continua ..]


3. Sentenza della Corte cost. 22 novembre 2013, n. 278

Sulla scia di questa decisione la Corte costituzionale, con la sent. 22 novembre 2013, n. 278 [3], ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 28, 7° comma, l. n. 184/1983 nella parte in cui non prevede la possibilità che il figlio, possa «attraverso un procedimento stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza», chiedere al giudice di interpellare la madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata (ai sensi dell’art. 30 del d.p.r. n. 396/2000) ai fini di un’even­tuale revoca della dichiarazione. Il caso sottoposto all’attenzione della Consulta originava dalla domanda di una donna, nata nel 1963 e adottata nel 1969, che esponeva di essere venuta a conoscenza della sua adozione soltanto in occasione della procedura di divorzio dal marito, e che l’ignoranza sulle sue origini le aveva impedito, finanche, di accedere ad informazioni per la cura di patologie che l’avevano colpita. Investito il Tribunale per i minorenni di Catanzaro della richiesta di avere informazioni sull’identità della madre che aveva esercitato il diritto a non essere nominata, il Collegio ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma. La Consulta pur riconoscendo piena validità alla ratiogiustificatrice della disposizione che garantisce la scelta della madre di non essere nominata, osservando che tale diritto si fonda sull’esigenza di salvaguardia della vita e della salute, tuttavia, richiamando la sentenza Godelli della Corte EDU, ha censurato la disciplina nazionale per la “sua eccessiva rigidità” nella parte in cui non dando alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto dalla madre alla nascita di avere informazioni sulle proprie origini violerebbe il diritto del figlio all’accesso alle origini. Nella pronuncia di incostituzionalità il giudice delle leggi assegna un preciso compito al legislatore, quello di «introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si [continua ..]


4. Decisioni delle Corti di merito successive alla pronuncia di incostituzionalità, tra attesa di un intervento legislativo ed efficacia diretta

All’indomani della sentenza della Corte costituzionale e in mancanza dell’auspicato intervento legislativo la situazione è quanto mai complessa e variegata. Alcuni Tribunali per i minorenni hanno ritenuto che nonostante la decisione della Consulta di incostituzionalità della norma, fosse necessario attendere un intervento legislativo per procedere all’accoglimento della domanda formulata dal figlio di madre “anonima” a che venisse interpellata la genitrice per manifestare l’attualità della scelta dell’anonimato. Il Tribunale per i minorenni di Catania con decreto del 18 luglio 2014, ha dichiarato «di non poter eseguire la richiesta dell’istante di conoscere l’identità materna mancando una disciplina legislativa volta alla ricerca della donna e alla indicazione delle modalità di interpello», ordinando l’archiviazione del procedimento. Alla stessa conclusione, seppure con il diverso esito del rigetto della domanda, è pervenuto il Tribunale per i minorenni di Bologna, che nel decreto del 4 dicembre 2014, pur evidenziando «la necessità di un equo contemperamento di interessi tra il diritto, da un lato, di chi è interessato a conoscere le proprie origini e chi, dall’altro, intende mantenere la segretezza della propria identità» ha comunque rigettato l’istanza di accesso alle origini ritenendo «necessario e indispensabile un previo intervento normativo grazie al quale il legislatore possa disciplinare, nell’ambito della sua discrezionalità, termini e condizioni grazie ai quali il giudice possa interpellare la madre che, al momento del parto, non aveva acconsentito di essere nominata, ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione». Altri Tribunali per i minorenni hanno, invece, ritenuto di accogliere le richieste presentate da figli di madri “anonime”. Il Tribunale di Firenze, con decreto del 6-7 maggio 2014 [4], investito di un ricorso con il quale veniva richiesto di interpellare la madre biologica dell’istante al fine di raccogliere l’eventuale revoca dell’anonimato a suo tempo imposto, ed in caso di revoca che ve­nisse concessa l’autorizzazione ad accedere alle informazioni sulla identità della madre biologica, ha conferito delega al giudice relatore «a disporre con le dovute cautele le necessarie ricerche [continua ..]


5. Quali i possibili contenuti della nuova norma?

La linea lungo la quale intervenire appare nella sostanza tracciata, laddove si consideri che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella richiamata sent. 13 febbraio 2003, caso Odièvre c. France, ha ritenuto conforme ai diritti sanciti dalla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, la legislazione francese che pur prevedendo il diritto della madre di non essere nominata alla nascita, permette al figlio di chiedere alle autorità di interpellare la madre per la revoca dell’anonimato, ed ha creato un sistema per il quale il figlio ha comunque diritto a conoscere una serie di informazioni relative alla sua nascita che pur se non identificative della madre, gli consentano di esercitare il diritto a conoscere le sue origini. In parlamento sono all’esame una serie di progetti di legge [5], tutti di iniziativa parlamentare, che presentano alcuni punti comuni sui quali vi è convergenza, quali ad esempio l’autorità giurisdizionale competente indicata nel Tribunale per i minorenni del luogo di residenza del soggetto che formula la domanda di accesso alle origini, in conformità con quanto previsto dal citato art. 28, l. n. 184/1983 che già regola la materia. Residuano alcuni aspetti problematici quanto a diversi ambiti di applicazione della disciplina in esame. Un primo dubbio da sciogliere potrebbe riguardare la possibilità che ad accedere alle informazioni relative all’identità della madre che abbia esercitato il diritto all’anonimato sia il figlio minorenne. La legislazione francese prevede (147-2 del code de l’action sociale et des famille, come modificato dalla loi n. 2002-93) che a formulare domanda di accesso alle origini possa essere anche il minore attraverso i suoi o il suo rappresentante legale o lui stesso con l’accordo del rappresentante legale. Il problema dovrebbe porsi anche nella nostra legislazione se si considera che il 4° comma, del vigente art. 28, l. n. 184/1983, prevede che le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici, possono essere fornite ai genitori adottivi del figlio minore, che esercitino la responsabilità genitoriale sui figli, su autorizzazione del Tribunale per i minorenni «solo se sussistono gravi e comprovati motivi»; non permettere per gli stessi motivi l’accesso alle informazioni ai genitori adottivi di minore, nel caso di madre che abbia [continua ..]


6. Diritto alla conoscenza delle origini e fecondazione eterologa

Il tema del diritto alla conoscenza delle origini è destinato ad avere più ampi orizzonti, rispetto a quelli connessi alle istanze dei nati da madre che abbia esercitato il diritto a non essere nominata dopo il superamento del divieto di fecondazione eterologa [7]. I Giudici costituzionali, nella sent. n. 162/2014, chiamati a valutare la possibilità di superare il divieto di fecondazione eterologa stante la mancanza di una regolamentazione che avrebbe potuto creare un vuoto legislativo incompatibile con la pronuncia di incostituzionalità, hanno ritenuto che la disciplina normativa fosse ricavabile «mediante gli ordinari strumenti interpretativi, dalla disciplina concernente, in linea generale, la donazione di tessuti e cellule umani, in quanto espressiva di principi generali pur nelle diversità delle fattispecie (in ordine, esemplificativamente, alla gratuità e volontarietà della donazione, alle modalità del consenso, all’anonimato del donatore, alle esigenze di tutela sotto il profilo sanitario, oggetto degli artt. 12, 13, comma 1, 14 e 15 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191, recante “Attuazione della direttiva 2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umane”)». Le norme richiamate allo stato prevedono l’anonimato del donatore. Affrontando il delicato tema del diritto all’identità genetica, la Consulta pure evidenziando «le peculiarità che la connotano in relazione alla fattispecie in esame», ha richiamato proprio le norme che disciplinano il diritto all’accesso alle origini nell’adozione, rilevando come «in tale ambito era stato già infranto il dogma della segretezza dell’identità dei genitori biologici quale garanzia insuperabile della coesione della famiglia adottiva, nella consapevolezza dell’esigenza di una valutazione dialettica dei relativi rapporti (art. 28, 5° comma, della l. n. 184/1983). Siffatta esigenza è stata confermata da questa Corte la quale, nello scrutinare la norma che vietava l’accesso alle informazioni nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata, ha affermato che l’irreversibilità del segreto [continua ..]


NOTE