Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Nuovi modelli familiari: vuoto normativo e norme inefficaci (di Lorenzo D’Avack (Professore ordinario di Filosofia del Diritto presso l’Università “Roma Tre”. Vice Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica))


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Famiglie non tradizionali - 3. Vuoto normativo e divieti senza sanzioni - 4. Conclusione - NOTE


1. Premessa

Nel 1890 lo psicologo statunitense, William James, ebbe a scrivere: «L’istituto naturale della maternità e della paternità non esiste e rappresenta solo un mito molto enfatizzato in Occidente. Si tratta di un’affermazione che s’incentra su una certa visione dell’uomo, tipica della nostra società, in cui la scienza, e in particolare la medicina, pretendono di avere la chiave della nostra identità. Bisogna invece riflettere sul fatto che questa pretesa è soltanto un’illusione o, più esattamente il mito su cui si è fondata, in Occidente, l’immagine della maternità e della paternità. In effetti, in altre parti del mondo, altre culture hanno creato, sulla genitorialità, miti molto diversi. Dunque, così com’è biologicamente vero che una gravidanza è il prodotto della fecondazione di un ovulo per opera di uno spermatozoo, allo stesso modo è sbagliato trarne una qualsiasi definizione di paternità, definizione che è di ordine simbolico e non di ordine biologico. Il semplice buon senso mostra, d’altra parte, che quando un uomo e una donna aspettano un bambino e dicono di averlo concepito insieme, la prova biologica di ciò è difficile da ottenere ed è in genere solo la loro parola ad affermare che è così e che lo spermatozoo fecondante non è di provenienza diversa». James continuava citando un gran numero di differenti modelli di famiglia e concludeva che i genitori di un bambino sono quelli che gli vengono indicati dalla società [1]. Riflessioni forse insolite per quell’epoca, ma oggi usuali nel momento in cui pensiamo a un progetto familiare, in specie poi quando realizzato all’interno della PMA. Di fatto sia l’etica che il diritto si pongono il problema di quale struttura attribuire alla famiglia “artificiale”: se prevedere il modello tradizionale naturale, biparentale ed eterosessuale, o se inserire nuovi modelli, come quello monoparentale o omoparentale o pluriparentale. I nati de terzo millennio sembrano poter con sempre maggiore frequenza essere destinati ad avere ogni genere di famiglia. La storia dell’inseminazione artificiale e quanto giornalmente avviene sotto i nostri occhi mostrano che questa tecnica, originariamente intesa come terapia al­l’infertilità della coppia [continua ..]


2. Famiglie non tradizionali

Le pretese verso procreazioni solitarie o verso procreazioni che escludono le tradizionali figure genitoriali (padre/madre) si giustificano primariamente attraverso quelle teorie filosofiche e so­ciologiche che evidenziano l’autonomia individuale, come ragione di libertà verso il proprio cor­po di cui si è pieni proprietari e di cui si ha piena disponibilità. Un’autodeterminazione riproduttiva che lo Stato deve rispettare. E verso l’idea che lo Stato non debba ostacolare, anzi favorire queste nuove aggregazioni familiari, si muovono normative e indirizzi giurisprudenziali sia in Italia che sul Continente [3]. Nell’ambito dei rapporti genitori/figli si ritiene, dunque, che la riduzione delle figure genitoriali (con la maternità singola) o la loro moltiplicazione (con la fecondazione eterologa di coppie di sesso diverso o dello stesso sesso) non costituisca un elemento eticamente problematico: l’al­largamento dei modelli familiari è considerato conseguenza di un mutamento storico-sociale da accettare ed accogliere positivamente, ritenendo il riferimento alla famiglia naturale irrilevante. Canoni consolidati del diritto di famiglia (mater semper certa est, pater numquam; pater id est quem iustae nuptiae demonstant; consensus non facit filios; l’indisponibilità degli status; il favor legittimatis ed il favor veritatis) tornano in discussione. Affiora una casistica variegata: un figlio e due padri (uno genetico l’altro sociale), un figlio con diverse madri (quella gestante, quella com­mittente, quella che ha donato l’ovulo o una parte di questo). Per non parlare, poi, di clonazione con gemelli verticali. Nel complesso l’elemento biologico si confonde in una promiscuità di apporti e l’accertamento della filiazione e i legami genitore-figlio si basano su di una volontà responsabile, talché si dicono “sociali”. Si sostiene, inoltre, che la regola che vada tutelato nell’ambito della famiglia il “migliore interesse del nato” non è compromessa in queste situazioni, perché non si ravvisa alcun danno e ciò per più di una ragione. Primariamente, si evidenzia come il diritto di esercitare la propria libertà sessuale sia anche la condizione per la trasmissione della vita, riconosciuta come bene supremo: [continua ..]


3. Vuoto normativo e divieti senza sanzioni

A seguito dell’espandersi di queste tendenze c’è da chiedersi cosa avvenga nel nostro Paese sotto il profilo normativo e giurisprudenziale. Un Paese che fino ad ora, anche in considerazione dell’origine atavica delle sue regole giuridiche, non si distacca dalle tradizionali concezioni della diversità dei sessi in materia di matrimonio e della procreazione naturale all’interno di una struttura etero-familiare. A fronte di questa staticità riscontriamo un continuo intervento giurisprudenziale che tiene conto della sempre più consistente circolazione di unioni tra persone dello stesso sesso, in ciò sospinto, come già ricordato, dalle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ne con­segue un continuo distacco dal diritto vigente, spesso in nome di clausole e principi che nulla sono che delle “scatole vuote”, riempite via via di contenuto dall’ideologia del giudice. In questa sede ci limitiamo ad alcune vicende che coinvolgono il momento della procreazione medicalmente assistita e di una legge che dovrebbe regolarla, con tutti i correttivi apportati dalla Corte costituzionale [9]. La grande riforma del ’70 in materia di diritto di famiglia neanche affrontava il problema della PMA e questa verrà normata con la l. n. 40/2004 dopo una inerzia grave e colpevole del legislatore, sebbene il ricorso alla tecnica fin dagli anni ’70 era già divenuto frequente. Una normativa tendenzialmente portata a mimare nella PMA la realtà naturalistica e a considerare la tecnica principalmente come rimedio alla infertilità della coppia eterosessuale e a privilegiare da un lato l’embrione (a cui viene riconosciuta una tutela forte verso la vita) e dall’altra il nato (soprattutto attraverso il divieto dell’eterologa). Una normativa che da subito fu criticata per non avere bilanciato in uno Stato laico valori e diritti contrapposti e soprattutto per aver formato un complesso di regole giuridiche non sempre compatibili con il diritto comune esistente e con principi e diritti di rango costituzionale. Sta di fatto che, a fronte di un messaggio legislativo carente, le interpretazioni della giurisprudenza e gli interventi costituzionali che si sono susseguiti hanno contribuito per diversi aspetti ad una riscrittura della legge stessa. In specie la Corte costituzionale (n. 162/2014) ha fatto venir meno il [continua ..]


4. Conclusione

Nel concludere, una breve osservazione in merito al c.d. “interesse del minore” così spesso invocato dalle più recenti decisioni in materia di PMA e di adozione per le famiglie omoaffettive. Come ricordato, spinte verso la regolamentazione giuridica dei nuovi nuclei familiari vengono dalla Corte cost. (n. 138/2010), dalla Cassazione (nn. 4184/2012 e 2400/2015) e dalle Corti minori. Tuttavia, il problema della procreazione nell’ambito di questi nuclei familiari è diverso e non mi pare sostenibile che l’ostacolo per gay e lesbiche all’accesso alla PMA sia da ricollegare allo sbarramento all’istituto matrimoniale che questi subiscono in quei Paesi che, come il nostro, ancora lo prevedono. La richiesta di accedere all’istituto del matrimonio e quello di accedere alla PMA per realizzare una filiazione contengono aspirazioni non sovrapponibili. E le ragioni per rimuovere i limiti posti alla prima non possono essere analoghe per la seconda, dove è coinvolta la presenza di un terzo: il nato. In alcune normative europee che legittimano il matrimonio omosessuale resta vietata l’adozione e la surroga materna. Riscontro allora con qualche perplessità che nessuna di queste decisioni, compresa la nostra Corte costituzionale, ha provato a chiedersi con attenzione quanto questi modelli familiari, al di là di una singola casistica, possano rispondere all’interesse dei nati in un determinato contesto sociale. La risposta può anche essere positiva, come sopra ricordato. Ma potrebbe anche suscitare più di un dubbio in specie quello che queste diversità procreative possano rappresentare una potenziale minaccia per il nato, obbligato a crescere in un contesto familiare prevalentemente anomalo rispetto a quello dei propri coetanei e a misurarsi in una società che potrebbe non essere ancora emotivamente e ideologicamente pronta per approvare le conquiste delle loro madri e dei loro padri. Spinte ideologiche e smanie ugualitarie fanno troppo spesso dimenticare che tutte le società si fondano su quei grandi numeri dati dai parametri della normalità. Sarebbe allora auspicabile che coloro che ricorrono a queste tecniche procreative siano almeno correttamente informati dai centri medici attraverso una consulenza multi-disciplinare sul percorso che intendono affrontare e che intendono fare affrontare ai propri figli. Infine, è difficile [continua ..]


NOTE