Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Dove ci porta il piano inclinato delle procreazioni (di Paolo Morozzo Della Rocca (Professore ordinario di Diritto privato presso l’Università di Urbino))


SOMMARIO:

1. L’eterologa compromette l’identità personale del figlio? - 2. Su alcuni ulteriori e prevedibili sviluppi - 3. Coppie omosessuali e procreazione medicalmente assistita - 4. Sulla maternità surrogata - NOTE


1. L’eterologa compromette l’identità personale del figlio?

A seguito della sentenza della Corte cost. 10 giugno 2014, n. 162, oggi in Italia il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo è ammesso nei soli casi in cui sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili. Su questa importante decisione sono stati già scritti numerosi commenti [1], alcuni elogiativi altri critici, nei quali è spesso sottolineata la necessità – che non sarebbe stata tenuta in conto dal giudice delle leggi – di difendere l’identità personale del figlio e la certezza del rapporto di procreazione [2]. Porre tale interesse affermandolo preminente rispetto alle pretese di genitorialità avanzate dalla coppia che si trovi impossibilitata alla procreazione “omologa” significa, ovviamente, scoraggiare la nascita dei soggetti per i quali si invoca il rispetto di tale interesse, il quale, dunque, non è a loro riconducibile ma attinge piuttosto ad un limite di ordine pubblico demografico di cui un as­sunto potrebbe essere, in effetti, che il desiderio di genitorialità debba essere esaudito, forse, me­diante l’istituto dell’adozione e non invece mediante quello della PMA. Ciò rende immediata una domanda: davvero il vulnus all’identità genetica ha effetti di tale infelicitazione da rendere preferibile per il figlio di non venire affatto concepito oppure per imporre, in una prospettiva di ordine pubblico, che non nasca? Francamente non mi pare che al tono drammatizzante di certi allarmi corrisponda la dimostrazione di uno svantaggio esistenziale importante. È stato affermato, ad esempio, che il figlio con­cepito mediante PMA eterologa «diventerà soggetto a causa di una scelta che lo vedrà in pari tempo appartenere alla famiglia pur non potendosi dire (in senso biologico) della famiglia»; ed ancor più aspramente che «il figlio nascerà con una identità adulterata in radice a causa della eterodeterminazione di altri, uno soltanto o nessuno dei quali è suo genitore» [3]. Ma l’enfatiz­zazione dell’identità genetica contenuta in queste affermazioni va contro la nozione giuridica della maternità, nel contempo sopravvalutando eventi che hanno una incidenza estremamente [continua ..]


2. Su alcuni ulteriori e prevedibili sviluppi

A questo punto forse può già essere formulata una prima considerazione di sintesi. Quella secondo cui, a fronte delle possibilità da tempo acquisite dalle tecniche riproduttive, il desiderio di genitorialità della coppia irrimediabilmente sterile non è meno meritevole di considerazione del medesimo desiderio nutrito dalla coppia rimediabilmente sterile, posto che un buon genitore non deve necessariamente essere capace di procreare. Ne consegue che la procreazione medicalmente assistita cosiddetta eterologa pare un beneficio della tecnica da considerare in sé positivamente, salvo verificare le conseguenze dirette ed indirette della sua più ampia “liberalizzazione” di modo che essa non sia utilizzata per travalicare il confine di ordine pubblico del diritto della procreazione; confine il cui tracciato oggi non è però affatto chiaro. Pare senz’altro opportuno, ad esempio, mantenere adeguati limiti di età, evitando maternità prive di futuro [10]; consentire l’accesso alla PMA solo alle coppie; ed altro ancora. Vero è che la mancanza di un orizzonte costituzionale condiviso suscita, non infondatamente, il timore che ogni apertura del diritto positivo in materia di procreazione sia premessa sufficiente di altri inaccettabili sviluppi. È la paura del “piano inclinato”, sul quale ogni movimento, anche cauto, non potrà che portare, passo dopo passo, alla caduta nel vuoto di valori e di regole. L’osservazione di quanto già accaduto altrove, (riguardo, ad esempio, alle cosiddette maternità surrogate) può forse avvalorare tali timori, i quali però rischiano di produrre reazioni viziate dalla mancanza di proporzionalità rispetto alle reali esigenze di prevenzione che si vorrebbero realizzare [11]. Un eccessivo difensivismo può così nuocere alla costruzione di più ampi ma anche più ragionevoli confini, imprigionando dentro l’angusta fortezza una minoranza privata di orizzonte e dun­que della possibilità di incidere sulla realtà. Un vero peccato, perché l’osservazione riguardo ai pericoli di un’ipertrofia del divieto di discriminazione attraverso operazioni di nascondimento delle differenze è più che pertinente; corretto è anche l’invito a meglio ragionare sulla individuazione [continua ..]


3. Coppie omosessuali e procreazione medicalmente assistita

Più complessa pare l’altra paventata conseguenza derivante dal “piano inclinato”, consistente nell’affermazione del diritto di procreare all’interno delle coppie omosessuali. Benché, sia a livello sovranazionale europeo che nei singoli Paesi, la pari dignità sociale, l’egua­glianza di fronte alla legge delle persone omosessuali ed il divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale costituiscano ormai princìpi riconosciuti dal costituzionalismo e dalle sue Corti, tale assiologia fatica a trovare riconoscimento nell’ambito della filiazione [15]. Vero è che nel diritto vivente da tempo va affermandosi, pur non senza contrasti, il principio secondo il quale l’omosessualità del genitore non lo rende inidoneo ad educare ed allevare la prole. Permane tuttavia diffusa una sostanziale differenza di atteggiamento nel considerare la posizione degli omosessuali già divenuti genitori – si veda al riguardo la giurisprudenza domestica in materia di affidamento al momento della separazione della coppia genitoriale [16] – rispetto a quella di coloro che genitori non lo sono ancora ma vorrebbero diventarlo con l’adozione di un minore oppure mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita. Sono proprio queste riserve sulla idoneità genitoriale della persona omosessuale, del resto, che spiegano l’incapacità del legislatore italiano nell’approvare una legge sulle unioni non coniugali [17]. Effetto sicuro del diritto europeo in materia di discriminazioni sarebbe infatti quello di dichiarare illegittima una legge nazionale che desse rilievo giuridico alle unioni civili eterosessuali negandolo a quelle omosessuali, oppure differenziandone la disciplina. È questa, in effetti, l’at­tuale posizione del “piano inclinato” che impedisce (ma forse non ancora per molto) al debole riformismo italiano di compiere un passo da cui ne deriverebbe in via extraparlamentare un secondo ancor più lungo del primo. Ed è anche probabile che, per le stesse ragioni, si resista ancora nel mantenere come requisito legale il rapporto di coniugio tra gli adottanti, in modo forse da evitare che la futura disciplina delle unioni civili (necessariamente anche omosessuali) possa comportare effetti “extraparlamentari” non da tutti auspicati pure in tema [continua ..]


4. Sulla maternità surrogata

Qualunque sia il tipo di limite posto da un ordinamento giuridico nazionale alle richieste di genitorialità dei propri cittadini, la sua efficacia dipenderà in larghissima misura dalla possibilità o meno di vedere esaudite tali richieste al di fuori dei confini. E poiché non esiste ad oggi un limite di ordine pubblico della filiazione universalmente condiviso le possibilità del turismo procreativo sono enormi. Dunque non è affatto strano che una donna impossibilitata a condurre a termine la gravidanza, oppure un maschio omosessuale, decidano di recarsi in California, nel Regno Unito, in Tailandia od in Ucraina per commissionare a una donna del luogo la nascita di un bambino, ottenendo in quell’ordinamento l’enforcement di un patto che ai sensi della sua legge nazionale non sarebbe ammissibile. Al ritorno nel Paese di cittadinanza, poiché la maternità surrogata non è una tecnica di procreazione ma una prestazione di fonte negoziale [23], il neogenitore di sesso maschile potrebbe tal­volta limitarsi a far valere l’atto di riconoscimento del figlio natogli fuori del matrimonio; in altri casi, invece, specie se l’atto di nascita del bambino reca menzione o traccia dell’accordo di maternità surrogata, tenterà di mettere il proprio ordinamento giuridico di fronte al fatto compiuto chiedendogli di porre rimedio, nell’interesse in concreto del figlio-minore, al carattere claudicante della filiazione. Come reagiscono i giudici a queste sollecitazioni? Sino ad oggi è rimasto decisamente minoritario l’orientamento favorevole alla trascrizione nei registri dello stato civile italiano degli atti stra­nieri da cui risulti la genitorialità dei cosiddetti genitori di intenzione di cittadinanza italiana. O­rientamento basato sulla convinzione che non possa ritenersi affermata la contrarietà all’ordine pubblico esterno di tali atti in ragione del crescente numero di ordinamenti a noi culturalmente vicini che ammettono la maternità surrogata a titolo gratuito; nonché sull’opportunità di evitare il carattere claudicante della filiazione, a protezione dell’interesse in concreto del minore alla stabilità dello status familiae comunque acquisito [24]. Proprio la tutela dell’interesse del nato da madre surrogata pare [continua ..]


NOTE