Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Tecniche di riproduzione assistita e revoca del consenso: una questione ancora insoluta (di Maria Acierno (Consigliere presso la Prima Sezione della Corte Suprema di Cassazione))


SOMMARIO:

1. Premessa metodologica. Le forme di PMA: un catalogo aperto - 2. Le PMA omologhe - 2.1. La morte del partner prima dell’impianto: descrizione di alcuni casi - 2.2. Considerazioni critiche: cenni sulla sorte degli embrioni soprannumerari - 3. L’embrione "conteso" - 4. La revoca del consenso nella fecondazione eterologa e l'errore d’impianto - NOTE


1. Premessa metodologica. Le forme di PMA: un catalogo aperto

I profili problematici relativi alla revoca del consenso al progetto procreativo, da realizzarsi, in vario modo, mediante le tecniche di riproduzione assistita, sono di estrema complessità. Ad essi devono aggiungersi quelli, ancor più eticamente sensibili, relativi alle manifestazioni di volontà successive alla positiva realizzazione del progetto procreativo nelle varie ipotesi di fecondazione eterologa. È, pertanto, quanto mai opportuno procedere con ordine. In primo luogo mediante la distinzione delle PMA [1] tra omologhe ed eterologhe. In ordine a queste ultime, mediante la distinzione tra eterologhe con utilizzazione del corredo genetico di uno dei soggetti che vogliono realizzare il progetto di filiazione ed eterologhe che non presentano tale peculiarità. Con riferimento alle eterologhe caratterizzate dal diretto legame genetico con uno dei soggetti del progetto procreativo, è necessario infine distinguere tra le ipotesi in cui è possibile l’impianto dell’embrione nella donna al fine della gestazione, da quelle in cui la realizzazione del progetto richiede anche la surrogazione della gestazione. Le distinzioni sopra illustrate sono sommarie e presumibilmente non esaustive. Non può eludersi, tuttavia, il profilo relativo all’accesso alle PMA delle coppie omoaffettive, rispetto alle quali le questioni connesse al consenso, nel panorama normativo italiano attuale, privo di una regolamentazione giuridica di tale tipologia di relazioni, risultano caratterizzate anche da profili pro­blematici autonomi. Deve, infine, sottolinearsi la natura del tutto approssimativa ed informativa della presente indagine, non potendo la necessaria esigenza di brevità e sintesi che le è propria consentire l’ap­profondimento indispensabile ad offrire risposte soddisfacenti, ma soltanto a porre questioni e ad illustrare le risposte già fornite dalle Corti, ben più significative di quelle poco razionali ravvisabili in sede legislativa. In particolare, non possono essere toccate le questioni di carattere generale relative alla natura delle PMA, alla loro catalogazione come trattamenti sanitari, come scelte legate all’autodeter­minazione e all’autoresponsabilità (artt. 2 e 32 Cost., art. 8 CEDU), come decisioni complesse e condivise in costante bilanciamento con i diritti dei nascituri, come decisioni attinenti al [continua ..]


2. Le PMA omologhe

Per quanto riguarda le tecniche di riproduzione assistita omologhe, deve preliminarmente porsi in luce che anche prima dell’introduzione della l. n. 40/2004 le Corti europee ed extraeuropee ed i giudici di merito italiani si sono trovati ad affrontare casi caratterizzati da un conflitto sul potere di disposizione degli embrioni prima dell’impianto. Con la l. n. 40/2004 (art. 6, 3° comma) ciascuno dei soggetti della coppia che intende accedere alle PMA omologhe (le uniche consentite) può revocare il proprio consenso “fino al momento della fecondazione dell’o­vulo”. Una volta formatosi l’embrione la manifestazione della volontà diventa irrevocabile. È interessante rilevare che i primi casi internazionali conosciuti hanno riguardato conflitti sorti successivamente alla formazione dell’embrione, ma anteriore all’impianto. La l. n. 40/2004 sem­bra ignorare i molteplici aspetti problematici che possono sorgere in quest’ultima fase, anticipando l’irrevocabilità del consenso ad un momento anteriore con le conseguenze che si illustreranno. In ordine alla fase ante l. n. 40/2004 devono registrarsi in particolare due tipologie di conflitti relativi al potere di disposizione sull’embrione: quello relativo al diritto all’impianto dopo la morte di uno dei soggetti del progetto procreativo (generalmente il partner maschile) e quello, invece, riguardante la revoca del consenso all’impianto in conseguenza della cessazione della re­lazione dalla quale era sorto il progetto comune.


2.1. La morte del partner prima dell’impianto: descrizione di alcuni casi

Uno dei primi casi italiani, relativo alle PMA omologhe è stato affrontato dal Tribunale di Palermo [2]. Il caso è semplice. Una coppia si rivolge ad un centro privato di medicina della riproduzione e, dopo essersi sottoposta alle terapie necessarie, ottiene la formazione di tre embrioni che vengono crioconservati. Il primo tentativo d’impianto non dà il risultato sperato. Prima del secondo il marito muore. Il codice deontologico medico vieta l’impianto in tale ipotesi, nonostante la volontà della moglie superstite di procedere. Quest’ultima si rivolge al Tribunale ed ottiene anche in via d’urgenza un ordine rivolto al centro medico di procedere al trasferimento in utero degli embrioni crioconservati, uno alla volta fino al successo della gravidanza. In Inghilterra nel 1997 è stato sottoposto all’esame della High Court un caso analogo. Il marito della signora Blood viene colpito da una malattia cerebrale fulminante nella fase iniziale del processo procreativo, prima ancora di procedere alla raccolta dei gameti maschili mediante la raccolta del liquido seminale. La signora ne richiede (ed ottiene) al centro medico l’asportazione prima della morte del marito nonostante il contrario avviso dell’Authority e la necessità per la legge inglese del consenso di entrambi i coniugi. La Corte d’Appello non censura l’operato dei medici, ritenendo che una soluzione di segno opposto avrebbe impedito la domanda giudiziale e accoglie la domanda d’inseminazione con i gameti del marito morto, evidenziando che in altri paesi della Comunità Europea esiste tale possibilità, rivolgendosi ai centri sanitari competenti. Di recente, dopo l’entrata in vigore della l. n. 40/2004, il Tribunale di Bologna ha affrontato un caso del tutto simile a quelli illustrati, ma con la peculiarità di porsi diacronicamente tra la fase ante l. n. 40/2004 e quella successiva. Le soluzioni adottate dai giudici di merito in sede di provvedimento (negativo) ex art. 700 c.p.c. e di reclamo (positivo) sono opposte. È necessario illustrare sinteticamente il caso. La ricorrente e il proprio coniuge decidono di far ricorso alla fecondazione assistita omologa e nel 1996 vengono impiantati tre degli undici embrioni realizzati, ma senza successo. La coppia non richiede di procedere ad impianti successivi. Gli otto embrioni prodotti in [continua ..]


2.2. Considerazioni critiche: cenni sulla sorte degli embrioni soprannumerari

Tale rigida indicazione è coerente con la filosofia complessiva della legge diretta a dare preminente tutela al diritto alla vita contenuto in ogni fase del progetto procreativo, mediante PMA. La ratio sottesa all’intero tessuto normativo della l. n. 40/2004 può cogliersi nell’esigenza di portare a termine il progetto procreativo, in presenza delle condizioni previste dalla legge e, ovviamente, degli standards di salute fisiopsichica necessari, una volta formato l’embrione umano. Ne consegue, o ne dovrebbe conseguire, il pieno diritto del partner superstite di procedere all’impianto, non potendo la sua condizione essere in alcun modo parificata a quella della persona singola che richiede di sottoporsi a PMA. Non appare corretto al riguardo ritenere applicabile la nuova legge per ciò che concerne i limiti soggettivi all’accesso solo perché la richiedente, in possesso delle condizioni legali per ricorrere alle tecniche al momento della fecondazione (e nella specie anche dell’unico impianto) perda tale condizione per causa indipendente dalla sua volontà (e di quella dell’altro partner), senza tuttavia ritenerla applicabile nella parte, peraltro criticabile, ma ancora vigente, che stabilisce il limite temporale per l’esercizio della revoca del consenso. Al riguardo, la permanenza del consenso può presumersi sia sulla base dell’assenza di una revoca espressa sia in virtù, come sottolineato dal giudice del reclamo, della volontà espressa di non rinunciare a un futuro impianto. In conclusione, per quanto riguarda l’impianto di embrione formato dai gameti di una coppia pienamente consenziente in ordine al progetto procreativo si può sostenere in linea di prima approssimazione: –    la l. n. 40/2004 ha consolidato l’ammissibilità dell’impianto nella donna partner superstite, anticipando temporalmente in funzione della preminenza del diritto alla vita dell’embrione (realizzabile soltanto mediante l’impianto) il momento finale della revocabilità del consenso; –    l’ultimo codice deontologico medico (2014) ha eliminato il divieto espresso contenuto nelle versioni precedenti; –    la richiedente non può ritenersi persona singola in questa ipotesi; –    rimangono [continua ..]


3. L’embrione "conteso"

Il profilo della destinazione alla ricerca scientifica è estremamente complesso e non può essere ulteriormente sviluppato in questa sede, dovendosi esaminare un altro rilevante versante problematico. Quando i partners sono entrambi in vita, ma la relazione dalla quale era sorto ed era stato intrapreso il progetto procreativo viene meno, a chi spetta il potere di decidere se continuare da persona singola o interrompere il percorso ed, in particolare, è sufficiente la volontà contraria di uno dei due partners per poter impedire la realizzazione del progetto in questione? Le questioni anche in questo ambito sono complesse e attraversano sia la fecondazione omologa che quella eterologa. In primo luogo, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche sembrano strutturalmente diverse la posizione femminile e quella maschile, quando la partner donna può sostenere un impianto ed una gravidanza. In secondo luogo, occorre distinguere l’ambito giuridico preesistente la l. n. 40/2004 da quello successivo. Prima del 2004 in Italia il Tribunale di Bologna [10] ha affrontato un caso relativo al conflitto tra coniugi separati relativo alla sorte degli embrioni congelati formati dai loro gameti. La moglie aveva richiesto di poter procedere all’impianto. Il marito aveva rifiutato il consenso. Il Tribunale ha ritenuto di dover dare prevalenza alle ragioni del marito perché non si può imporre coattivamente la paternità e perché alla luce del quadro costituzionale e convenzionale si afferma che il nascituro ha diritto ad avere entrambi i genitori. Viene affermato il diritto a non proseguire nel progetto procreativo mediante manifestazione di volontà, purché espressa prima dell’im­pianto. Ad uguale conclusione nel caso Evans [11] perviene la CEDU, nonostante si trattasse per Natallie Evans dell’unica ed ultima possibilità di diventare madre. Afferma la CEDU, non è in discussione il generico diritto alla genitorialità ma la prosecuzione di quello specifico progetto procreativo sorto come condiviso e soltanto in tale condizione da portare a termine. Presumibilmente opposta sarebbe stata la soluzione nel caso fossero stati congelati soltanto gli ovociti della Evans, trattandosi di materiale biologico di sua esclusiva appartenenza, salvi i vincoli ed i divieti delle legislazioni nazionali. Nelle due pronunce esaminate rimane di [continua ..]


4. La revoca del consenso nella fecondazione eterologa e l'errore d’impianto

Le questioni sono numerose e complesse. Alcune sono sovrapponibili, potendosi porre il problema dell’interruzione del processo procreativo prima dell’impianto anche nella fecondazione eterologa e nella maternità surrogata. Si ritiene, tuttavia, di concentrare l’indagine alla manifestazione di dissenso che si consumi successivamente alla nascita, salvo descrivere una situazione di conflitto tra genitori genetici e genitori “sociali” che ha avuto di recente ampio clamore mediatico [12]. La l. n. 40/2004 contiene un divieto assoluto in ordine alla fecondazione eterologa, attualmente temperato da una recente pronuncia della Corte costituzionale [13], ma con una rilevante deroga in ordine agli effetti sul rapporto di filiazione così realizzato (art. 9, 1° comma, l. n. 40/2004). Il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile per atti concludenti non può richiedere il disconoscimento di paternità nelle ipotesi, attualmente regolate dall’art. 244, 2° comma, c.c., ma menzionate nella norma come n. 1 e 2 del 1° comma dell’art. 235 attualmente abrogato, relative all’impotenza generativa ed all’adulterio, così come non può procedere ex art. 263 c.c. ad impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità. La generica formulazione della norma (tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo) dovrebbe comprendere anche le forme di maternità surrogata, in particolare quelle realizzate mediante i gameti della coppia o di uno di essi qualora colui che nasce sia stato riconosciuto validamente nel nostro stato come figlio della coppia “committente”. Tale estensione non è unanimemente condivisa ma appare coerente con la ratio della norma, volta a non far ricadere sul figlio e sul suo sviluppo psico-fisico gli effetti della violazione di un divieto che è a carico soltanto dei soggetti adulti del nucleo familiare che si determina mediante l’accesso a tali tecniche. Peraltro tale interpretazione sembra coerente con la recente pronuncia della CEDU (caso Paradiso e Campanelli c. Italia, sent. 27 gennaio 2015) secondo la quale anche in assenza di qualsiasi legame biologico tra genitori “committenti” e minore nato da madre surrogata, doveva salvaguardarsi il rapporto che si era creato tra di essi e il nuovo nato (anche se per soli sei mesi) in [continua ..]


NOTE