Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Riflessi solidaristici delle convivenze di fatto (di Chiara Favilli (Ricercatore di Diritto privato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa))


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Convivenza e abitazione. I diritti sulla casa di comune residenza in caso di morte del partner - 3. (Segue). L’incidenza della coabitazione di figli minori o disabili gravi del convivente superstite e della coppia - 4. La successione nel contratto di locazione - 5. Convivenza e stato di bisogno. Il diritto agli alimenti - 6. Cenni conclusivi - NOTE


1. Premessa

La regolamentazione delle convivenze di fatto racchiusa nella l. n. 76/2016 ha un contenuto solo moderatamente innovativo. I commi dell’art. 1 ad essa dedicati (36 ss.) si limitano, infatti, a ricalcare, talvolta a ritoccare, senza però sistematizzare, i lineamenti di disciplina che il legislatore, in taluni interventi settoriali, e la giurisprudenza, nel dialogo con la dottrina, erano venuti nel tempo disordinatamente tratteggiando [1]. Tra i principali profili di novità, oltre all’introdu­zione di una regola specifica circa gli effetti della stabile collaborazione del convivente all’inter­no dell’impresa familiare dell’altro [2], si riscontra la previsione di una serie di diritti in favore del convivente “debole” per la fase successiva alla cessazione del rapporto. In particolare, ad essere riconosciute sono forme di solidarietà temporanee, perché legate alla durata della convivenza, dirette a mettere al riparo dai rischi connessi alla fine del rapporto taluni interessi fondamentali del partner: l’abitazione [3], in caso di premorienza del convivente proprietario della casa di comune residenza, e gli alimenti, qualora a seguito della cessazione della convivenza uno dei part­ner versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Giova fin da subito mettere in evidenza che gli aspetti innovativi contenuti nella l. n. 76/2016 non investono le convivenze instaurate tra soggetti privi dei requisiti indicati nella definizione contenuta nel 36° comma dell’art. 1, in base alla quale sono «conviventi di fatto» due maggiorenni, uniti stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolati da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile [4]. Per questi rapporti, che sulla falsariga di autorevole dottrina indicheremo come convivenze more uxorio [5], continuano a valere, i diritti e le regole riconosciuti precedentemente dalla giurisprudenza e dalla normativa di settore [6].


2. Convivenza e abitazione. I diritti sulla casa di comune residenza in caso di morte del partner

Il 42°, 43° e 44° comma dell’art. 1 della l. n. 76/2016 si occupano del soddisfacimento delle esigenze abitative del partner che sia sopravvissuto all’altro. In particolare, i primi due commi prevedono il diritto del convivente di fatto superstite di continuare ad abitare nella casa di comune residenza, che sia di proprietà del partner defunto, per un periodo pari alla convivenza, compreso tra un minimo, in ogni caso garantito, di due anni e un massimo, anche in caso di durata maggiore del rapporto, di cinque anni [7]. Il medesimo diritto, come è stato osservato, può essere configurato nell’ipotesi, trascurata dal legislatore e contemplata, invece, dall’art. 540, 2° comma, c.c. relativamente al coniuge, in cui la casa fosse in comproprietà dei partner, anziché in proprietà esclusiva del defunto [8]. Il riconoscimento del diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza costituisce un legato ex lege [9], volto a garantire il diritto fondamentale all’abitazione dalle pretese restitutorie dei successori del defunto, per il tempo necessario al convivente superstite a provvedere in altro modo al relativo soddisfacimento. Che fosse questa la funzione del diritto di permanere nella casa di abitazione, dove si svolge e si attua il programma di vita comune, dopo la morte del proprietario era stato affermato dalla giurisprudenza, anche prima dell’emanazione della l. n. 76/2016, nell’argomentare la legittimazione del convivente a reagire, mediante l’azione di spoglio, all’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa da parte degli aventi causa del defunto: si era riconosciuta, infatti, al convivente la posizione di detentore qualificato dell’immobile, in virtù di un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità [10]. Che sia questa la ratio della regola adesso contenuta nella l. n. 76/2016 è stato confermato dalla Cassazione già intervenuta sul punto, ancorché obiter, non essendo la normativa in esame applicabile al caso ratione temporis [11]. Rispetto al diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare attribuito al coniuge superstite dall’art. 540, 2° comma, c.c., sul quale è modellata la tutela riconosciuta al [continua ..]


3. (Segue). L’incidenza della coabitazione di figli minori o disabili gravi del convivente superstite e della coppia

L’esigenza di garantire le necessità abitative e la stabilità dell’ambiente domestico dei minori conviventi con la coppia ha indotto il legislatore a prevedere in loro presenza una dilatazione temporale del diritto del convivente superstite di continuare ad abitare nella casa di comune residenza. Corre premettere che il 42° comma si apre facendo salvo quanto previsto dall’art. 337 sexies c.c., che come è noto si occupa dell’assegnazione della casa familiare a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esi­to di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio. Questa limitazione del campo applicativo della norma implica che se i conviventi erano separati e la casa era già stata assegnata al convivente superstite in base al provvedimento di definizione della crisi, il diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza non sarà assoggettato ai limiti temporali indicati, ma prevarranno le regole più favorevoli previste dall’art. 337 sexies c.c. per il soddisfacimento delle esigenze dei figli. In questo caso, in base all’art. 337 sexies c.c., il provvedimento di assegnazione è trascrivibile e opponibile a terzi, ai sensi dell’art. 2643 c.c. Il 42° comma prosegue poi, stabilendo, che, qualora nella casa di comune residenza coabitino figli minori o disabili del convivente superstite, il diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza viene prolungato in ogni caso al minimo a tre anni. Letto sistematicamente il 42° comma lascia trasparire una evidente disparità di trattamento tra i figli di genitori già separati o ancora uniti al momento della morte di uno di essi. Infatti, nel caso in cui la casa fosse stata precedentemente assegnata al genitore superstite, i figli avrebbero la possibilità di conservare l’habitatdomestico fino al raggiungimento dell’indipendenza economica, salvo eventuali decadenze del genitore, e di avvalersi della tutela conseguente alla trascrizione; nel caso in cui si trattasse, invece, di una coppia ancora unita e convivente al momento della morte del proprietario della casa, i figli godrebbero del diritto temporaneo riconosciuto al genitore sopravvissuto, esposto peraltro ai rischi connessi alla non trascrivibilità. Un simile [continua ..]


4. La successione nel contratto di locazione

Per il caso in cui la casa di comune residenza, anziché di proprietà esclusiva del defunto o comune dei conviventi, fosse detenuta in locazione, il 44° comma consacra la facoltà di successione del superstite nella titolarità del contratto, già riconosciuta in sede di giudizio di legittimità costituzionale [17], sganciandola però dal presupposto della presenza di prole comune [18]. La medesima regola viene estesa al caso del recesso del convivente conduttore dal contratto di locazione. La norma richiamata concerne soltanto l’ipotesi della locazione abitativa e, come è stato opportunamente sottolineato, non riguarda l’alloggio che non sia il luogo di residenza dei soggetti interessati, essendo ispirata all’esigenza di garantire il diritto fondamentale all’abitazione. Le due ipotesi di successione nel contratto di locazione, per morte e per recesso del partner, si prestano ad essere esaminate separatamente. Per quanto concerne la prima, la disposizione contenuta nel 44° comma non prende posizione sulla questione del fondamento del diritto attribuito, se abbia «natura successoria o costituisca riconoscimento di un diritto autonomo fondamentale volto a garantire l’accesso all’abitazione e stabilità di vita del partner» [19].Si distacca, inoltre, dal punto di vista letterale-formale, dall’art. 6 della l. n. 392/1978 sull’equo canone, che parla di successione in luogo della facoltà di succedere; tale differenza non ha però alcuna incidenza sul piano sostanziale, dal momento che in entrambi i casi la successione dipende da una manifestazione di volontà del soggetto interessato. A proposito della forma di manifestazione della volontà al locatore, soggetto nei cui confronti è destinata ad avere effetto la decisione di succedere, nel silenzio del legislatore si è suggerito di applicare per analogia quanto indicato dal 4° comma dell’art. 1 della l. n. 431/1998, che estende il requisito della forma scritta, richiesto per il contratto di locazione abitativa, ad ogni atto destinato ad incidere sul medesimo [20]. Non essendo previsto alcun termine in proposito, si ritiene che la comunicazione scritta possa essere effettuata in qualunque momento successivo alla morte del convivente; nel caso in cui la decisione dovesse tardare, non si è [continua ..]


5. Convivenza e stato di bisogno. Il diritto agli alimenti

Il 65° comma attribuisce al convivente che al momento della cessazione del rapporto versi in stato di bisogno e sia impossibilitato a provvedere al proprio mantenimento, il diritto di ottenere dall’altro, con precedenza sui fratelli e sulle sorelle [28], gli alimenti; le prestazioni alimentari sono quantificate dal giudice nella misura generale indicata dall’art. 438 c.c., ma la loro erogazione, a differenza degli alimenti codificati, è destinata a perdurare per un limitato periodo di tempo, proporzionale alla durata della convivenza, alla medesima stregua del diritto a continuare ad abitare nella casa di comune residenza. Il diritto agli alimenti del convivente bisognoso sorge al momento della cessazione della convivenza. Il significato da attribuire a questo inciso dipende dal rapporto che si ritiene intercorra tra il fatto-convivenza e la sua formalizzazione-dichiarazione anagrafica, rapporto che è a propria volta strettamente legato al valore che si scelga di attribuire alla dichiarazione anagrafica, se di semplice mezzo di prova oppure di elemento costitutivo della fattispecie complessa della convivenza: se possa bastare la sopravvenuta carenza di uno o più dei presupposti del 36° comma, indipendentemente dal mutamento della dichiarazione anagrafica, o se, al contrario, quest’ultima sia sufficiente ad escludere la rilevanza del fatto, a prescindere dal venir meno dei requisiti. Autorevole dottrina ha ritenuto che la cessazione della convivenza, quale fonte del diritto alla liquidazione giudiziale degli alimenti, alluda esclusivamente a un mutamento del fatto, e quindi non richieda l’aggiornamento dei dati anagrafici [29]. Il diritto agli alimenti del convivente si distacca dalla fattispecie codificata degli artt. 433 ss. c.c., nonché dall’obbligazione di mantenimento presente nell’originario progetto (art. 12 del d.d.l. S. 2081) [30], ma successivamente espunta per l’eccessiva compressione alla libertà di soggetti che hanno scelto di instaurare una forma di vita familiare alternativa a quelle formalizzate. Come è stato evidenziato, il 65° comma non determina l’inserimento del convivente nel novero degli obbligati elencati dall’art. 433 c.c., perché se così fosse il diritto spetterebbe anche in costanza di rapporto, mentre nella normativa in esame è testualmente limitato all’ipotesi [continua ..]


6. Cenni conclusivi

Le disposizioni dedicate dalla l. n. 76/2016 alla tutela dell’interesse abitativo e alimentare nelle convivenze di fatto sono rivolte a introdurre forme di solidarietà in vista della cessazione del rapporto, opportunamente modellate sulle caratteristiche dell’unione e sul principio di autoresponsabilità economica, lo stesso principio che ha ispirato la riduzione dello spettro applicativo della solidarietà post-coniugale, mediante la revisione dei presupposti per la concessione dell’assegno di mantenimento. Senza inficiare la non vincolatività che contraddistingue il rapporto tra i conviventi rispetto a quello tra i coniugi, il legislatore è intervenuto a garantire gli interessi fondamentali indicati dalla frustrazione dell’affidamento nell’altrui assistenza al relativo soddisfacimento. Nella dialettica tra libertà e responsabilità, la considerazione dell’“essere” del rapporto, del modo di atteggiarsi alla stregua di quello coniugale [37] aveva già indotto in passato la giurisprudenza a mantenere ferme, in prospettiva solidaristica, quelle prestazioni eseguite a “immagine” della collaborazione e contribuzione tra coniugi: a escludere, pertanto, ad esempio la ripetibilità delle attribuzioni individuali adeguate e proporzionali alle esigenze di contribuzione richieste dal menage, dapprima attraverso lo schema della donazione (remuneratoria) e poi delle obbligazioni naturali [38]. Una volta che l’assistenza materiale è divenuta, unitamente a quella morale, presupposto costitutivo della convivenza di fatto regolata dalla legge (36° comma), la solidarietà ingenerata dal rapporto è stata proiettata oltre la sua durata, calibrando la tutela sulla stabilità precaria che contraddistingue queste unioni. Con il riconoscimento del diritto di subentrare nel contratto di locazione, anche in assenza di prole comune, di continuare ad abitare nella casa di comune residenza e di ricevere gli alimenti per una durata tendenzialmente pari a quella del rapporto pregresso sono state tracciate le linee dell’attuale equilibrio normativo tra libertà e responsabilità nei rapporti tra conviventi [39].  


NOTE