Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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La domanda di alimenti all'ex convivente ai sensi dell'art. 1, 65° comma, della l. n. 76/2016 (di Alberto Tedoldi (Professore associato di Diritto processuale civile presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche del­l’Università di Verona))


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TRIB. MILANO, SEZ. IX CIV., 23 GENNAIO 2017, PRES. CATTANEO,

REL. BUFFONE

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Parte ricorrente promuove controversia avente ad oggetto un cumulo processuale di domande giudiziali: introduce una domanda avente ad oggetto la regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale sui figli minori e introduce una domanda di alimenti. La ricorrente richiede al Collegio, in via preliminare, di pronunciarsi sulla ammissibilità della domanda di alimenti, avendo interesse a conoscere al più presto l’esito di tale scrutinio al fine di eventualmente coltivare in altra sede l’istanza alimentare, in caso di inammissibilità della richiesta in questa sede (v. ricorso, pagg. 12, 13). La controversia avente ad oggetto il conflitto genitoriale in caso di figli nati fuori da matrimonio è regolata dalle norme di diritto sostanziale di cui agli artt. 337-bis e ss. c.c. e dalle norme di diritto processuale di cui all’art. 38 disp. att. c.c., come riscritto dall’art. 3 comma 1 della legge 219 del 2012. Per l’effetto, nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile: il tribunale competente provvede in composizione collegiale, in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e i provvedimenti emessi sono im­mediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Sussiste competenza funzionale del Tribunale. La controversia in materia di alimenti è regolata dalle norme di diritto sostanziale di cui agli artt. 433 e ss. c.c. e dalle norme processuali di cui agli artt. 163 e ss. c.p.c. È competente il giudice ordinario in composizione monocratica, senza intervento del PM. L’azione va introdotta con atto di citazione. Nelle cause per prestazioni alimentari periodiche, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni (art. 13 c.p.c.). All’istituto degli alimenti va certamente ricondotta la domanda alimentare del convivente di fatto, come riconosciuta dall’art. 1 comma 65 della legge 76 del 2016. Alla luce dei riferimenti normativi sin qui illustrati, va dichiarata la inammissibilità della domanda ex art. 1 comma 65 legge 76/2016: l’art. 40 c.p.c. consente nello stesso processo il cumulo di domande soggette a riti diversi soltanto in ipotesi qualificate di connessione (artt. 31, 32, 34, 35 e 36), così escludendo la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente e caratterizzate da riti diversi; conseguentemente, ad esempio, è esclusa la possibilità del “simultaneus processus” tra l’azione di separazione o di divorzio e quelle aventi ad oggetto, tra l’altro, la restituzione di beni mobili o il risarcimento del danno (Trib. Milano, sez. IX civ., sentenza 6 marzo 2013, Pres. Manfredini, est. R. Muscio; ancor più recente: Trib. Milano, sez. IX, sentenza 3 luglio 2013, Pres. Canali) essendo queste ultime soggette al rito ordinario, autonome e distinte dalla prima (cfr. ex plurimis, Cass. Civ., Sez. I, 21 maggio 2009 n. 11828, Cass. Civ., Sez. I, 22 ottobre 2004 n. 20638). L’orientamento è stato ribadito anche di recente, dalla Suprema Corte (Cass. Civ., sez. VI-I civ., ordinanza 24 dicembre 2014 n. 27386, Pres. Di Palma, rel. Acierno) e, applicato al caso di specie, osta alla trattazione della domanda alimentare che deve essere introdotta in autonomia davanti al giudice competente. Gli argomenti svolti dalla ricorrente per giustificare il cumulo non paiono sufficienti per discostarsi dall’interpretazione dei giudici di legittimità: l’opportunità della trattazione contestuale delle due cause se da un lato evita ai conviventi una pluralità di processi, d’altro canto rischia di rallentare e appesantire la trattazione della controversia minorile, alla quale il Legislatore riserva un regime accelerato e semplificato al fine di consentire al giudice del conflitto genitoriale di pervenire velocemente a misure regolative definitive. Se in occasione della domanda minorile il giudice dovesse anche istruire la pagina 2 di 3 causa di alimenti, questa finalità sarebbe se non compromessa quanto meno frustrata. Peraltro, nell’ipotesi di specie, la ricorrente ha solo allegato – ma non provato – gli elementi che le consentirebbero l’accesso alla pretesa alimentare: come noto, l’onere della prova in materia di alimenti incombe sull’alimentando e non sono applicabili le previsioni normative di favore previste per gli assegni in materia di separazione (art. 156 c.c.) o divorzio (art. 5 legge 898 del 1970). [2]. Nel caso di specie va, peraltro, rilevata ex officio l’ulteriore questione relativa alla ammissibilità della domanda per difetto di diritto d’azione. La legge 76 del 2016 ha introdotto nell’ordinamento il diritto agli alimenti in favore del convivente con decorrenza dal 5 giugno 2016 (data di entrata in vigore delle nuove norme); pertanto, una pretesa alimentare del convivente more uxorio è possibile solo per quelle convivenze che siano cessate a partire dal 5 giugno 2016: il diritto alimentare, infatti, nella convivenza di mero fatto, sorge nel momento in cui si verifica lo stato di bisogno e coincide, dunque, con la cessazione del legame. Nell’ipotesi di specie, la ricorrente non ha allegato e nemmeno invero indicato la data storica di riferimento e si tratta di elemento costitutivo della domanda che grava sull’alimentando. Se la convivenza ha avuto termine prima del 5 giugno 2016, un diritto sostanziale di alimenti nemmeno è previsto dalla legge vigente ratione temporis. [3]. Resta assorbita ogni ulteriore questione preliminare: in particolare, se per la proposizione della domanda di alimenti, il convivente debba aver reso o meno, insieme al partner, la dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, prevista come elemento da esaminare ai fini dell’accertamento della stabile convivenza di fatto (articolo 1 comma 37 l. 76 del 2016). [4]. La controversia deve proseguire per le questioni genitoriali. Il Collegio ritiene di instaurare previamente il contraddittorio e fissare udienza solo all’esito della lettura degli scritti difensivi introduttivi depositati da entrambi i genitori, al fine di valutare l’opportunità di un preliminare tentativo di conciliazione, in analogia con quanto previsto nel modello processuale tipizzato per i figli minori nati da genitori uniti da matrimonio; non sussistano improcrastinabili ragioni d’urgenza, ostative alla valutazione di cui sopra.

P.Q.M.

1. DICHIARA l’inammissibilità della domanda di alimenti proposta ex art. 1 comma 65 legge 76 del 2016; 2. ORDINA a parte ricorrente di notificare alla controparte il ricorso introduttivo del procedimento e il presente decreto entro la data del …, con obbligo di versare in atti la prova del corretto perfezionamento della notificazione. 3. ASSEGNA a parte resistente termine sino alla data del … per il deposito in giudizio di propria difesa 4. INVITA entrambe le parti, entro il termine di cui sopra, a depositare le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni pagina 3 di 3 5. DELEGA al giudice assegnatario ogni altro provvedimento alla scadenza del termine per la costituzione della parte resistente. 6. INVITA le parti ad intraprendere, sin da ora, un percorso di mediazione familiare.

SI COMUNICHI

SOMMARIO:

1. Valeva davvero la pena di disciplinare (frettolosamente) la convivenza di fatto? - 2. Quando sussiste una convivenza di fatto - 3. I presupposti del diritto agli alimenti a seguito di cessata convivenza - 4. La determinazione della durata e della misura dell’assegno - 5. Riconoscibilità dell’assegno soltanto a far tempo dal 5 giugno 2016 - 6. Divieto di cumulo tra cause soggette a riti diversi: separazione di cause e mutamento del rito, in luogo dell’inammissibilità - NOTE


1. Valeva davvero la pena di disciplinare (frettolosamente) la convivenza di fatto?

L’infelicissimo testo della l. n. 76/2016 (pubblicata in G.U. 21 maggio 2016, n. 118 ed entrata in vigore, giusta l’art. 10 prel., il decimoquinto giorno successivo, id est il 5 giugno 2016) contiene, nei commi dal 36° al 65° dell’art. 1 ed unico (senza divisioni in titoli né capi o, almeno, paragrafi) [1], dopo le disposizioni dedicate alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, la disciplina delle “convivenze” (così il titolo della legge), che serba nella lettera normativa la tradizionale terminologia di “convivenza di fatto”, detta anche more uxorio, ma che ora andrebbe ridenominata tout court convivenza more coniugali [2]. La definizione ne è data dal 36° comma, che intende per “conviventi di fatto” «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’u­nione civile»; mentre il 37° comma immediatamente aggiunge che, «ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 e alla lett. b) del comma 1 dell’art. 13 del regolamento di cui al d.p.r. 30 maggio 1989, n. 223», cioè alla dichiarazione resa dai conviventi all’anagrafe circa l’avvenuta costituzione di una famiglia “agli effetti anagrafici”, definita come «un insieme di persone legate ... da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune» (così l’art. 4, d.p.r. n. 223/1989). La definitio su riportata – la quale, notoriamente, periculosa est in iure civili: parum est enim ut non subverti possit, come insegnava ab antiquo il giureconsulto romano Giavoleno Prisco, oggidì inascoltato – contiene i consueti indici rivelatori della convivenza di fatto, che mescolano in inscindibile endiadi corpus et animus, come già faceva in illo tempore la classica definizione che Modestino dava alle nuptiae: «coniunctio maris et feminae, consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio». Quantum mutati mores ab illo, mentre non cambiano al postutto, mutatis [continua ..]


2. Quando sussiste una convivenza di fatto

Abbiamo poc’anzi veduto come la nuova legge, al 36° comma, definisca la convivenza di fatto in linea con le definizioni invalse nella pregressa giurisprudenza sulla “famiglia di fatto”, che può dirsi costituita come formazione sociale ai sensi dell’art. 2 Cost. meritevole di tutela, non sol perché alcune persone coabitino stabilmente sotto un medesimo tetto, ma per una serie di indici esteriori dell’animus convivendi, quali la diuturnitas delle frequentazioni, il mutuum adiutorium, cioè la reciproca assistenza materiale e morale, l’assunzione concreta di diritti, doveri e oneri gli uni verso gli altri, in guisa tale da palesare quei valori di mutua solidarietà, di arricchimento e di sviluppo della personalità di ogni componente, nonché di educazione e istruzione dei figli che fossero sopraggiunti, che denotano e connotano la famiglia [13]. Colpisce semmai che, nel definire i “conviventi di fatto”, il 36° comma imponga loro di non essere vincolati da alcun rapporto di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile, come se fosse infrequente o, ancor peggio, vietata la convivenza di fatto tra persone che vengono da precedenti separazioni, non sfociate ancora nello scioglimento del vincolo matrimoniale, e come se fosse inibita la convivenza a chi potrebbe finanche validamente sposarsi (anche in tal caso l’espressione “sposarsi” è semanticamente neutra e include ad un tempo coppie etero ed omosessuali), essendo parenti o affini non rientranti nell’elenco di impedimenta ligaminis di cui all’art. 87 c.c. (richiamato per le unioni civili dal 4° comma, lett. c), dell’art. 1, l. cit.). Il 37° comma dell’art. 1, l. cit. insinua, inoltre, un dubbio, là dove recita che, «ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al 36° comma, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla “dichiarazione anagrafica”, suscitando incertezze sul carattere e sulla portata di codesta dichiarazione che, secondo alcune voci minoritarie, acquisirebbe efficacia finanche costitutiva, se non della convivenza di fatto in sé e per sé considerata (che, diversamente, dovrebbe cessare di adoperare il sintagma denotativo “di fatto”), quantomeno quale opzione cosciente ed espressa [continua ..]


3. I presupposti del diritto agli alimenti a seguito di cessata convivenza

I presupposti della domanda di pagamento degli alimenti all’ex convivente, quali risultano dal 65° comma dell’art. 1, l. n. 76/2016, sono i seguenti: a)  la mancanza o l’incapienza patrimoniale di altri congiunti, tenuti a somministrare gli alimenti prima dell’ex convivente, secondo l’ordine previsto dall’art. 433 c.c., in cui l’ex si inserisce al sesto posto, con precedenza su fratelli e sorelle (come recita il secondo periodo dello stesso 65° comma, art. cit.); b)  la sussistenza (pregressa) di una convivenza di fatto; c)  la cessazione della convivenza di fatto; d)  lo stato di bisogno di chi richiede gli alimenti; e)  l’incapacità di provvedere al proprio mantenimento, per causa non imputabile all’alimentando. Accertata la sussistenza dei presupposti, durata e misura degli alimenti dovranno essere proporzionate: a)  al periodo temporale della convivenza di fatto; b)  al bisogno di chi li domanda, senza superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentan­do, avuto riguardo alla sua posizione sociale; c)  alle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Il giudice della causa vertente sulla richiesta di alimenti deve accertare, anzitutto, l’esistenza dei presupposti (da a ad e), la cui prova (in caso di specifica contestazione del convenuto, a mente dell’art. 115, 1° comma, c.p.c.) grava sul richiedente, salvo giovarsi della presunzione (relativa e superabile anche attraverso semplici indizi, ad onere del convenuto) derivante dalle risultanze anagrafiche con riguardo alla stabile coabitazione, cioè a uno soltanto degli elementi costitutivi della convivenza di fatto, tra i vari e molteplici insiti nella definizione tradizionale, ripresa nel 36° comma della legge e di cui abbiamo detto nel precedente paragrafo. La cessazione della convivenza non dovrebbe essere quid disputatum. Mentre lo stato di bisogno e l’impossibilità di mantenersi da sé saranno, more solito, i profili maggiormente discussi e contestati. È appena il caso di ricordare che gli alimenti di cui discorre il 65° comma, art. cit. in esame non vanno confusi con l’assegno di mantenimento per il coniuge separato di cui all’art. 156 c.c., né con l’assegno divorzile di cui all’art. 5, [continua ..]


4. La determinazione della durata e della misura dell’assegno

Superato il vaglio attinente agli elementi costitutivi del diritto agli alimenti, da intendersi nel più stringente significato, solo allora potrà il giudice passare alla seconda fase logico-giuridica del giudizio, che verte sulla determinazione temporale e quantitativa dell’assegno alimentare, esaminando le prove offerte e acquisite sui requisiti di cui ai su elencati punti f, g e h. L’obbligo alimentare dell’ex convivente si differenza da quello degli altri congiunti tenuti per legge ex art. 433 c.c. anche per la proporzione della durata dell’assegno al periodo della convivenza more coniugali, la quale va dunque dimostrata a cura e onere del richiedente, ove sussista­no contestazioni e divergenze rispetto alla dichiarazione anagrafica. La stringente proporzione con la durata della convivenza intende chiaramente evitare che si profitti di relazioni assai brevi, se non evanescenti, per conseguire vantaggi vita natural durante, in quella caccia predatoria così ben descritta e stigmatizzata nel godibilissimo film dei fratelli Coen, «Intolerable Cruelty» (del 2003, infedelmente ma efficacemente tradotto in “Prima ti sposo, poi ti rovino”), interpretato da George Clooney e Catherine Zeta-Jones. Per i congiunti tenuti a versare gli alimenti l’obbligo, come noto, cessa soltanto se mutano le condizioni economiche di chi li somministra o di chi li riceve e va stabilito attraverso una pronuncia costitutivo-determinativa affidata al giudice, che provvede per la cessazione, la riduzione o l’aumento degli alimenti secondo le circostanze e che può ridurli (ma non farli cessare), te­nendo conto dell’eventuale condotta disordinata o riprovevole dell’alimentato; se poi consta che uno degli obbligati di grado anteriore, ai sensi dell’art. 433 c.c., è in condizione di poterli somministrare, il giudice non può liberare l’obbligato di grado posteriore, se non quando abbia imposto all’obbligato di grado anteriore di somministrare gli alimenti (v. l’art. 440 c.c.). Nell’obbligo alimentare tra ex conviventi, stando al tenore del 65° comma in esame, il periodo di durata dell’assegno è strettamente e necessariamente proporzionato a quello di convivenza effettiva: quanto più durevole è stata la convivenza, tanto [continua ..]


5. Riconoscibilità dell’assegno soltanto a far tempo dal 5 giugno 2016

Al problema della durata della convivenza è correlato non solo quello della determinazione degli alimenti in stretta correlazione e proporzione con essa, ma innanzitutto il regime intertemporale di applicabilità della norma introdotta dal 65° comma dell’art. 1, l. n. 76/2016. Il provvedimento in epigrafe, nella sua seconda massima, nega in radice l’ammissibilità della domanda, quando la parte richiedente non abbia allegato sin dall’atto introduttivo che la convivenza è cessata dopo l’entrata in vigore della nuova legge, cioè dopo il 5 giugno 2016. Conclusione questa solo in parte corretta. Il diritto agli alimenti dell’ex convivente è previsione certo innovativa, non già meramente riproduttiva di orientamenti già acquisiti in passato, come lo è, ad es., quella contenuta nel 49° comma sul diritto a ottenere il risarcimento del danno dal terzo, autore dell’illecito che abbia cagionato la morte del partner (od anche, colmando l’ennesima lacuna lasciata dal conditor, il debitore contrattualmente inadempiente che abbia causato il decesso del creditore della prestazione, come avviene in materia di responsabilità della struttura sanitaria, alla stregua della nuova l. n. 24/2017). Talché, un simile obbligo alimentare era ben lungi, in passato, dal discendere tout court dal rapporto di convivenza di fatto e dalla sua cessazione, come già si diceva nel precedente par. 2: il 65° comma si applica, dunque, soltanto alle convivenze cessate dopo la sua entrata in vigore. Troppo rigido e formalistico è, tuttavia, esigere che, ai fini del regime intertemporale, parte attrice alleghi fin dall’atto introduttivo non solo che una convivenza vi è stata e che questa è cessata, elemento questo costitutivo della pretesa avanzata ai sensi del 65° comma, art. cit., ma specificamente ed espressamente che la cessazione è avvenuta dopo il 5 giugno 2016, pena l’i­nammissibilità della domanda per radicale difetto di azione o, per l’esattezza (ma l’autonomia di tale condizione è ben revocabile in dubbio), per mancanza di una condizione dell’azione, quella della possibilità giuridica per assenza di alcuna pregressa norma di copertura: la data di cessazione della convivenza non opera, invero, come fatto principale [continua ..]


6. Divieto di cumulo tra cause soggette a riti diversi: separazione di cause e mutamento del rito, in luogo dell’inammissibilità

Resta da dire del rito applicabile e del possibile cumulo della domanda di attribuzione degli alimenti con altre domande giudiziali, che usualmente abbondano e viepiù si moltiplicano nella crisi di coppia, sfoghi spesso inconsulti di rabbie e delusioni più o meno represse e tenute a bada nel tempo, ma deflagrate infine dopo la rottura della relazione. Il provvedimento in esame – che, per malintesa economia processuale, ha le fattezze di un ano­malo decreto inauditis partibus, sovrabbondantemente motivato praeter legem e, diremmo anche, contra legem, in quanto emesso prima ancora di fissare l’udienza camerale per l’audizione delle parti, non potendosi assumere provvedimento decisorio alcuno, neppure in rito, prima di aver dato spazio al contraddittorio con la stessa parte attrice, tanto più su questioni rilevate ex officio dal giudice, come impongono l’art. 101, 2° comma, c.p.c. e, prima ancora, il diritto di difesa di cui all’art. 24, 1° comma, Cost. – recide con taglio netto, al modo di quel che fu del nodo gordiano, le sorti della domanda vertente sugli alimenti all’ex convivente da quella sull’affida­mento e sul mantenimento del figlio, dichiarando la prima in apicibus inammissibile, sia per la troppo severa ragione, già criticamente esaminata nel precedente paragrafo, di omessa specifica e puntuale allegazione di una data di cessazione della convivenza successiva all’entrata in vigore della l. n. 76/2016, sia per il drastico divieto di cumularla con la domanda di regolazione della responsabilità genitoriale, nei suoi profili tanto personali quanto economici, in quanto cause soggette a riti diversi: quello ordinario per l’assegno alimentare a favore dell’ex convivente; quello camerale per tutto ciò che riguarda la responsabilità genitoriale su figli di conviventi more coniugali. Ed infatti, la domanda per gli alimenti può essere proposta dall’ex convivente che li richiede nelle forme del rito ordinario od anche, a sua scelta, in quelle del rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c., trattandosi di causa devoluta alla decisione del tribunale in composizione monocratica, salvo conversione nell’uno o nell’altro rito, in osmosi tra loro, a seconda della complessità della lite e [continua ..]


NOTE