Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Sulla prova dello stato di abbandono del minore (di Alberto Figone (Avvocato del Foro di Genova, Docente alla Scuola di Specializzazione per le professioni legali presso l’Università degli Studi di Genova))


SOMMARIO:

1. Una premessa - 2. Considerazioni generali - 3. La valutazione del giudice - 4. Recenti orientamenti della Corte di Cassazione - 5. L'ascolto del minore e la presenza del difensore - NOTE


1. Una premessa

Come è noto, l’art. 8 della l. n. 183/1984 (e successive modifiche) subordina la declaratoria dello stato di adottabilità del minore all’accertamento della situazione di abbandono. A sua volta l’abban­do­no fa riferimento ad una privazione di assistenza morale e materiale, da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché non sia dipesa da causa di forza maggiore di carattere transitorio. Molto si è discusso in dottrina ed in giurisprudenza circa la definizione di stato di abbandono, già a far data dalla prima legge sull’adozione di minori del 1967, che si esprimeva in termini analoghi [184]. In oggi possono dirsi raggiunti alcuni punti fermi.


2. Considerazioni generali

Il comportamento del genitore, considerato come indice per la rilevazione dello stato di abbandono, può essere commissivo od omissivo. Non è necessario che sia configurabile un comportamento antigiuridico, connotato da un atteggiamento doloso o colposo; deve infatti aversi riguardo alla situazione obiettiva di pregiudizio in cui versa il minore, pure a prescindere da responsabilità genitoriali. Quanto ai comportamenti commissivi, rilevano tutte le forme di violenza sui minori (fisica, sessuale, morale); si tratta di situazioni che frequentemente integrano ipotesi di reato. Va pure evidenziato lo sfruttamento del lavoro del minore, tale da cagionare in lui grave sofferenza. Qualche volta la violenza non è diretta ai minori, o soltanto ad essi ma da un genitore nei confronti dell’altro o reciprocamente (si parla allora di violenza assistita). Evidente il conflitto che si crea nel minore, potenzialmente assai nocivo per il suo sviluppo psichico. Naturalmente decisivo sarà il prudente apprezzamento del giudice nel distinguere tra situazioni che richiedano soltanto limitazione o decadenza dalla potestà con allontanamento del minore, ovvero del genitore violento da quelle che invece, per la loro gravità e irrevocabilità, suggeriscano di sciogliere ogni legame con la famiglia. Talora invece non si tratta di violenza, ma di trasmissione, con il proprio esempio o con l’esor­tazione (ma pure in questo caso potrebbe configurarsi una costrizione) di valori inaccettabili: l’induzione al furto, all’accattonaggio, alla prostituzione, ecc. In questo caso la cautela del giudice dovrebbe essere maggiore, tenuto conto della cultura, dei costumi di collettività diverse dalle nostre, per le quali certi comportamenti sarebbero privi di elementi di negatività. Più frequentemente si riscontrano peraltro comportamenti omissivi. Trascuratezza, malnutrizione, cattiva cura dell’igiene personale e ambientale, disinteresse per la frequenza scolastica o per la salute del minore, ecc. Accanto a queste situazioni ve ne sono altre, strettamente connesse con l’ambiente di vita del minore, oggetto di specifica ed attenta valutazione da parte del giudice. Basti pensare all’abitare in dimora familiare insalubre o fatiscente, a problematiche legate a patologie acquisite o congenite dei genitori (tossicodipendenza, alcolismo, malattia mentale), o ancora a malattie [continua ..]


3. La valutazione del giudice

Più volte in dottrina e giurisprudenza si è affermato che la valutazione del giudice deve essere duplice, oggettiva e soggettiva: la gravità e l’irreversibilità della situazione, e ancora la gravità sulla persona del minore. Potrebbe esservi una situazione grave, ma non irreversibile, dovuta ad un improvviso e momentaneo abbandono del genitore (malnutrizione, cattiva igiene, ecc.), ma anche non grave, ma irreversibile (si pensi ad esempio al disinteresse ovvero all’opposizione alla frequenza scolastica). Quanto all’incidenza di tali situazioni sullo sviluppo psicofisico del minore, va osservato che talora essa è del tutto evidente, senza necessità che i danni preannunciati si concretizzino; per provvedere è sufficiente una prognosi circa la possibilità (o la probabilità) che essi sopravvengano o che (più in generale) lo sviluppo del fanciullo si realizzi in modo del tutto insufficiente e disarmonico. Alla luce di quanto si è osservato emerge che l’elemento della forza maggiore (ostativa alla declaratoria dello stato di adottabilità) non riveste più la rilevanza che il legislatore del 1983 gli attribuiva. Forza maggiore (nozione tradizionalmente penalistica) fa riferimento ad una “vis” alla quale non si può resistere. Nella materia adozionale si dovrebbe invece fare riferimento ad una diversa e particolare nozione, che trova i suoi presupposti nella peculiarità del rapporto ed il suo decisivo punto di riferimento nell’esigenza di assicurare comunque al minore, abbandonato in modo duraturo e irreversibile, una nuova famiglia. La forza maggiore, per assumere rilevanza deve presentare un carattere transitorio, potendo soccorrere in tale ipotesi il diverso istituito dell’affidamento etero-familiare, ovvero quello della limitazione della potestà. Dunque la forza maggiore (e la relativa valutazione) riveste oggi assai minore importanza che in passato: il giudice, ove ritenga che ricorra una situazione di pur grave, ma momentanea privazione di cure, aperta alla probabilità di sviluppi positivi, non pronuncia l’adottabilità. Sta di fatto che non è agevole fornire indicazioni di tipo generale in ordine alla tempestività della situazione, dovendosi ogni valutazione basare sui tempi del bambino, ovviamente diversi con la crescita.


4. Recenti orientamenti della Corte di Cassazione

La sussistenza (o meno) dello stato di abbandono rappresenta una valutazione del giudice di merito che – se congruamente motivata – sfugge al sindacato di legittimità della Corte di Cassazione. Il Supremo Collegio peraltro, in questi ultimi anni ha avuto occasione di pronunciarsi sul punto, con decisioni assai significative che si inquadrano nell’ambito di quanto già in particolare esposto. Si ritiene opportuno dar conto delle più recenti decisioni. In primo luogo, si è ribadito che sussiste lo stato di abbandono ogni qualvolta si accerti l’ina­dempimento dei genitori a garantire al figlio il normale sviluppo psicofisico, sì da far apparire l’elisione del rapporto familiare come strumento necessario per evitare al minore un più grave pregiudizio; integra dunque lo stato di abbandono anche una situazione di fatto che osti allo sviluppo psicofisico equilibrato del minore (nella specie, una forte conflittualità tra i genitori di un minore e i rispettivi nuclei familiari di origine, che già si era verificata in occasione di un precedente affidamento familiare ai nonni) [185]. E ancora, si è affermato che sussiste lo stato di abbandono quando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per la formazione della sua personalità ed il suo sviluppo (nella specie, entrambi i genitori avevano riconosciuto il figlio, dopo che era già stato dichiarato lo stato di abbandono, ottenendone inizialmente la revoca, senza peraltro alcun senso di responsabilità e progettualità) [186]. Lo stato di abbandono non può essere escluso per il solo fatto che al minore siano prestate le cure materiali essenziali da parte dei genitori (o dei parenti entro il quarto grado), dovendosi verificare se l’ambiente familiare sia in grado di fornire risorse adeguate alla crescita del figlio; sulla base di tale presupposto la Corte Suprema ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato lo stato di abbandono di un minore, il cui padre – astretto in carcere – e la madre erano stati giudicati gravemente inadeguati alla funzione genitoriale, mentre i nonni materni avevano mantenuto un comportamento rinunciatario ed omissivo [187]. Ed ancora, si è ritenuto sussistere lo stato di abbandono in un caso in cui era stato [continua ..]


5. L'ascolto del minore e la presenza del difensore

Come è noto, in base all’art. 8, ultimo comma, l. n. 184/1983 (introdotto con l. n. 149/2001, entrato in vigore solo nel 2007), il procedimento di adottabilità deve svolgersi, sin dall’inizio, con l’assistenza legale del minore o dei genitori o degli altri parenti che abbiano mantenuto con lui rapporti significativi. A sua volta l’art. 10 della medesima legge prevede in particolare che, all’atto di apertura del procedimento, il presidente debba invitare i genitori a nominare un difensore di fiducia, altrimenti provvede alla nomina di un difensore d’ufficio. Questi soggetti, assistiti dal difensore, possono partecipare a tutti gli accertamenti disposti dal Tribunale, prendere visione degli atti (previa autorizzazione del giudice) e depositare memorie. La Corte di Cassazione ha già avuto modo di pronunciarsi sul punto. Si è così affermato che genitori e parenti possono partecipare a tutti gli accertamenti disposti dal Tribunale, ossia a qualunque atto d’indagine che il giudice ritenga di eseguire, per iniziativa propria o delle parti, al fine di verificare se sussista lo stato di abbandono, comprendendo anche le indagini e le operazioni affidate ad operatori specializzati (ivi compresi, dunque, i servizi). Nel contempo si è escluso che questa partecipazione possa estendersi all’audizione del minore, ciò in quanto detta audizione non rappresenta una testimonianza o un atto istruttorio, volto ad acquisire una risultanza paragonabile all’una o all’altra soluzione; bensì un momento formale del procedimento, deputato a raccogliere le opinioni del minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto [192]. La Suprema Corte manifesta la propensione a che l’audizione del minore abbia a svolgersi in modo da garantire il diritto del minore ad esprimere la propria opinione «con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti». Sul punto possono muoversi critiche: spiace constatare come la presenza del difensore all’ascolto possa configurarsi come uno strumento potenzialmente limitativo della libera espressione del minore. Non possono che richiamarsi i vari protocolli che nelle singole realtà giudiziarie sono stati elaborati in maniera condivisa tra l’organo giudiziario e le associazioni operanti nel campo del diritto di famiglia e minorile, [continua ..]


NOTE