Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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La prova nel procedimento di dichiarazione giudiziale di paternità (di Giulia Sapi (Avvocato del Foro di Milano))


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Le indagini ematologiche e genetiche - 3. Il caso di esumazione della salma - 4. Conseguenze sul piano ereditario - NOTE


1. Premessa

La ricerca della paternità naturale si basa sul principio della libertà della prova. L’art. 269, 2° comma, c.c. dispone infatti che la prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo. Conseguentemente il giudice di merito può legittimamente trarre il proprio convincimento, in ordine all’esistenza di un rapporto di filiazione, da risultanze probatorie dotate di mero valore indiziario [194]. L’unico limite posto dal legislatore è quello contenuto nell’ultimo comma dell’art. 269 c.c., che afferma che la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della filiazione. Peraltro tali circostanze, in concorso con altri elementi probatori, anche presuntivi, ben possono essere utilizzate dal giudice a sostegno del proprio convincimento in ordine alla sussistenza della paternità [195]. Al riguardo la Suprema Corte, nell’affermare detto principio, ha altresì ammesso che l’art. 269 c.c. «a maggior ragione non preclude l’utilizzazione, quanto meno come fonte sussidiaria di prova, di testimonianza de relato, la cui attendibilità e rilevanza vanno verificate in concreto nel quadro di una valutazione globale delle risultanze di causa, specialmente quando i fatti riferiti siano stati appresi dai testi in epoca non sospetta» [196]. Nel procedimento di dichiarazione giudiziale di paternità, in considerazione dell’indispo­ni­bilità del diritto fatto valere, non potrà, ai sensi dell’art. 2739 c.c., essere disposto il giuramento decisorio o suppletorio [197]. Quanto poi alla confessione, essa, pur non avendo efficacia di prova piena ex art. 2733, 2° comma, c.c., può tuttavia essere valutata dal giudice come elemento di prova, al pari di ogni altro comportamento delle parti. Tale sistema probatorio vige tanto nei giudizi avanti il Tribunale ordinario quanto in quelli avanti il Tribunale per i Minorenni. Si deve ricordare che la competenza nel procedimento di dichiarazione giudiziale di paternità spetta, ai sensi dell’art. 9, 2° comma, c.p.c., al Tribunale ordinario. In tal caso legittimato attivo sarà il presunto figlio, rispetto al quale, ai sensi dell’art. 270 c.c., l’azione per ottenere che [continua ..]


2. Le indagini ematologiche e genetiche

Le indagini ematologiche e l’esame del DNA sono oggi il mezzo di prova ritenuto più idoneo per l’attribuzione della paternità di un soggetto [206]. Il progresso scientifico e l’evoluzione delle ricerche in campo biologico, che hanno permesso di raggiungere elevatissimi gradi di probabilità della paternità, sino a sfiorare il limite della certezza assoluta [207], hanno indotto la giurisprudenza di legittimità a ritenere gli accertamenti ematologici e genetici un mezzo ordinario di prova, e non più uno strumento eccezionale, da ammettere solo ove non sia altrimenti possibile accertare i fatti di causa. Fondamentale per lo sdoganamento di tali indagini scientifiche nei giudizi di dichiarazione di paternità naturale è stata la nota sentenza n. 6400/1980, con la quale la Suprema Corteaffermò che «in tema di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale il venir meno dell’elen­cazione tassativa delle ipotesi in cui l’azione era consentita nella previgente disciplina dell’art. 269 c.c., ed alla illimitata ammissibilità dei mezzi di prova deve corrispondere l’opportunità di acquisire il maggior numero di dati possibili, specie di quelli che offrono un riscontro obiettivo, fermo restando che la loro attendibilità rimane sottoposta alla valutazione del giudice» [208]. Da allora l’orientamento della Corte di Cassazione è stato di assoluto favore nei confronti della CTU ematologica, anche in contrasto con i generali principi vigenti nel nostro ordinamento in materia di consulenza tecnica. Infatti, se di norma il consulente tecnico ha il compito di valutare i fatti già accertati o dati per esistenti, dovendo il giudice escludere la CTU «qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova» [209], viceversa nei procedimenti relativi al­l’accertamento della paternità la Suprema Corte ammette oggi la consulenza tecnica ematica, prescindendo da tali limiti relativi all’onere della prova, e ciò in quanto, come detto, la ritiene «lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’accertamento del rapporto di filiazione» [210]. La giurisprudenza ha più volte affermato che nell’azione [continua ..]


3. Il caso di esumazione della salma

In caso di intervenuto decesso del presunto padre, la domanda per la dichiarazione di paternità naturale può essere proposta, ai sensi dell’art. 276 c.c., nei confronti dei suoi eredi. In merito all’individuazione di questi ultimi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a comporre il contrasto interpretativo in ordine alla possibilità o meno di includere in detta categoria gli eredi degli eredi del preteso padre. Con sentenza 3 novembre 2005 n. 21287 le Sezioni Unite, ritenendo insuperabile il dettato letterale dell’art. 276 c.c., hanno affermato che «contraddittori necessari, passivamente legittimati, in ordine alla azione per dichiarazione giudiziale di paternità naturale sono, ex art. 276 c.c., in caso di morte del genitore, esclusivamente i “suoi eredi”, e non anche gli eredi degli eredi di lui od altri soggetti, comunque portatori di un interesse contrario all’accoglimento della domanda, cui è invece riconosciuta la sola facoltà di intervenire in giudizio a tutela dei rispettivi interessi» [221]. Restando in tema di legittimazione passiva, ci si è posti il problema della sussistenza o meno di un litisconsorzio necessario della madre, nel giudizio di dichiarazione di paternità naturale promosso dal figlio (maggiorenne) nei confronti del preteso padre, rispetto al quale l’orientamento della giurisprudenza è ormai da anni consolidato nel ritenere che il rapporto di filiazione naturale sia «strutturato separatamente con riguardo a ciascuno dei genitori naturali individualmente, senza che sia previsto il litisconsorzio necessario dell’altro genitore … La madre, esclusa la qualità di contraddittore necessario, ha soltanto la facoltà di intervenire, come chiunque vi abbia interesse, ai sensi del­l’art. 276 c.c.» [222]. Con riguardo alla prova del rapporto di filiazione nel caso di intervenuto decesso del presunto padre, l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità è favorevole all’esumazione del cadavere dello stesso, al fine di prelevarne il DNA [223] e ciò anche laddove siano trascorsi numerosi anni dalla morte. Si segnala una pronuncia relativamente recente [224], con la quale la Suprema Corte ha cassato la decisione della Corte d’Appello di Catania, la quale non aveva [continua ..]


4. Conseguenze sul piano ereditario

Risulta di immediata evidenza che la pronuncia di dichiarazione giudiziale di paternità comporti conseguenze successorie di non poco conto, in particolare se tale pronuncia interviene in un periodo successivo alla morte del genitore naturale. L’orientamento della giurisprudenza è infatti consolidato nel ritenere che «il termine decennale di prescrizione del diritto di accettare l`eredità stabilito dalla norma dell`art. 480 cod. civ., decorre per il figlio naturale, nell`ipotesi di dichiarazione giudiziale del rapporto di filiazione, dalla data di tale dichiarazione, se successiva all`apertura della successione, e non dalla data di quest`ultima, in quanto, pur retroagendo gli effetti della dichiarazione giudiziale di paternità al momento della apertura della successione, il figlio naturale versa nell`impossibilità giuridica e non di mero fatto di accettare l`eredità del genitore fino a quando tale dichiarazione non è pronunciata» [231]. Peraltro, tale assetto normativo è certamente gravoso per i coeredi, laddove l’azione per l’ac­certamento della paternità naturale venga promossa dal figlio numerosi anni dopo l’apertura della successione, atteso che l’azione di cui all’art. 269 c.c. è imprescrittibile, così come, ai sensi dell’art. 533, 2° comma, c.c., è imprescrittibile l’azione di petizione di eredità. Resta da capire se possa essere opposta l’intervenuta usucapione dei singoli beni, secondo quanto previsto dallo stesso art. 533, 2° comma, c.c. Per ammettere che l’usucapione possa decorrere contro il preteso figlio naturale è possibile fare riferimento ad una pronuncia della Suprema Corte che, pur avendo respinto l’eccezione (in quanto nel caso di specie era stata invocata l’usucapione abbreviata), aveva ritenuto idonea all’interruzione civile dell’usucapione la domanda di rilascio di beni ereditari proposta dai figli del de cuius, in pendenza del giudizio di accertamento del loro stato di figli naturali, dando così implicitamente atto che l’usucapione stava maturando [232]. Diversamente opinando, gli eredi del de cuius verrebbero a trovarsi in un’intollerabile situazione di incertezza giuridica, in netto contrasto con i principi posti alla base delle norme sul diritto di proprietà, oltre che [continua ..]


NOTE