Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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L'attività istruttoria nei processi di separazione e divorzio (di Filippo Danovi (Professore Ordinario di Diritto processuale civile, Università degli Studi di Milano Bicocca))


Testo della relazione tenuta all’incontro di studio “L’attività istruttoria nei processi di separazione e divorzio”, organizzato da AIAF Lombardia a Milano il 1° dicembre 2011.

SOMMARIO:

1. Finalitą istruttorie e struttura dei giudizi di separazione e divorzio - 2. Segue) In particolare: l'istruttoria nella fase presidenziale e i suoi caratteri - 3. Segue) Dichiarazioni dei redditi e dichiarazioni sul patrimonio: produzioni, ordini e indagini - 4. L'audizione del minore e la consulenza tecnica d'ufficio avanti al presidente - 5. L'attivitą istruttoria disposta dal collegio in sede di decisione - 6. Peculiaritą dell'istruttoria in relazione al contenuto dei provvedimenti e delle situa­zioni sostan­ziali incise - 7. Esigenze istruttorie e differenziazione delle tecniche di tutela processuali - 8. In particolare, la prova della riconciliazione - 9. Stabilitą dei provvedimenti e correlate peculiaritą istruttorie - 10. Analisi dei tradizionali mezzi di prova e delle loro modalitą di assunzione nella separazio­ne e nel divorzio: la consulenza psicologica - 11. Cenni in relazione a ulteriori mezzi istruttori - 12. Segue) L'audizione del minore - 13. Conclusioni - NOTE


1. Finalitą istruttorie e struttura dei giudizi di separazione e divorzio

Nei processi di separazione e divorzio l’attività istruttoria presenta una serie di rilevanti peculiarità e una connotazione specifica rispetto al modello ordinario di cognizione. Un’indagine sul tema si presta peraltro a differenti impostazioni e piani di lettura, sicché un compiuto inquadramento presuppone “a monte” una preliminare scelta metodologica, volta a individuare criteri e ambiti di riferimento. Un dato costante è tuttavia rappresentato dall’in­fluenza che sul tema della prova indubbiamente operano i profili caratterizzanti dei giudizi in esame, che investono il piano strutturale/ordinamentale, quello finalistico/teleologico e non ultimo anche quello contenutistico, relativo alle situazioni sostanziali oggetto del thema decidendum e incise dai provvedimenti del giudice. Da tutti questi punti di vista i giudizi di separazione e divorzio sono invero connotati da elementi e tratti di marcata specialità: seguono un iter processuale ad essi soltanto proprio, mirano a tutelare beni e valori dotati di particolare valenza e investono dinamiche ed equilibri relazionali e familiari strettamente connessi alla sfera più intima della persona. Vi è dunque in primo luogo la presa d’atto, scontata ma innegabile e significativa, dell’influenza che anche sul tema della prova opera la suddivisione del processo in fasi distinte, aventi un’autonomia funzionale e strutturale ben più marcata di quanto avviene nel processo ordinario di cognizione. In questa prospettiva, la fase centrale per la raccolta del materiale probatorio resta quella istruttoria in senso stretto (l’attività di acquisizione e assunzione della prova mantenendo anche in questi casi davanti al giudice istruttore il suo terreno di elezione); del pari, tuttavia, è innegabile che la necessità di un intervento autoritativo anche in limine litis modelli consequenzialmente le esigenze istruttorie sin dalle prime battute del processo. In questo senso, diviene naturale la deduzione e formazione della prova già nella fase iniziale avanti al presidente, poiché il fallimento del tentativo di conciliazione e il dovere di assumere i provvedimenti provvisori e urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole impongono al presidente di formarsi un primo convincimento circa i fatti di causa e di adottare le misure più [continua ..]


2. Segue) In particolare: l'istruttoria nella fase presidenziale e i suoi caratteri

Poste queste premesse, non vi è peraltro dubbio che diversa è la finalità dell’istruttoria che ha luogo avanti al presidente rispetto a quella che si svolge avanti al giudice istruttore. Nel primo caso, l’istruttoria deve ritenersi in funzione dell’emanazione dei soli provvedimenti presidenziali e se da un lato ha quindi un contenuto più limitato (e circoscritto all’ambito delle misure da assumersi in via immediata e urgente), dall’altro presenta carattere sommario, in conformità alla cognizione con la quale il presidente è chiamato ad assumere i suoi provvedimenti. Per questi motivi, l’istruttoria avanti al presidente non può estendersi ad alcuna indagine inerente domande che possono formare oggetto unicamente della decisione finale. A titolo esemplificativo, vale la pena di ricordare che nessun elemento di prova può essere in questo contesto tenuto in considerazione ai fini di un’eventuale successiva pronuncia di addebito e per cercare di escludere ab origine la concessione di un assegno di mantenimento in favore del coniuge più debole. Dal secondo punto di vista, la sommarietà dell’indagine alla quale il presidente è chiamato fa sì che la stessa non debba necessariamente svolgersi in modo analitico e capillare, e mantenga margini di officiosità e con essa anche di discrezionalità superiori rispetto a quanto avviene d’ordinario (dovendo i provvedimenti provvisori e urgenti fondamentalmente assicurare le esigenze immediate della famiglia in crisi). Per questo motivo è certamente preferibile adottare un criterio restrittivo e negare ingresso nella fase presidenziale a mezzi istruttori superflui e tali da aggravare inutilmente le esigenze di celerità riconnesse a questa specifica fase [3].


3. Segue) Dichiarazioni dei redditi e dichiarazioni sul patrimonio: produzioni, ordini e indagini

Poste queste premesse, occorre interrogarsi circa il concreto ambito di funzioni istruttorie tipiche esercitate dal presidente. Il primo e fondamentale compito al riguardo è quello di esaminare la documentazione allegata agli atti introduttivi e in particolare le dichiarazioni dei redditi delle parti. Invero, tra le attività complementari alla redazione degli atti introduttivi, le riforme del 2005 hanno sancito per entrambi i giudizi la produzione in limine litis delle dichiarazioni dei redditi delle parti. La chiusa del nuovo art. 706, 3° comma, c.p.c. e l’art. 4, 6° comma, l. divorzio, prevedono espressamente che «al ricorso e alla (prima per l’art. 4, 6° comma, l. divorzio) memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi (rispettivamente per l’art. 4, 6° comma, l. divorzio) presentate». In termini generali, quel che è più grave è che l’espressione generica del testo legislativo non precisa di fatto come debba essere qualificata l’attività di produzione dei documenti fiscali, né soprattutto evidenzia le possibili sanzioni per la sua inottemperanza, ciò che renderebbe a prima vista arduo considerare l’attività in esame come espressione di un onere in senso stretto in capo alle parti. A questo riguardo, peraltro, ad evitare di considerare la disposizione legislativa sostanzialmente lettera morta, non si può non assegnarle specifica valenza precettiva, riconoscendo all’attività in esame carattere obbligatorio e ritenendo quindi che la mancata produzione debba essere tenuta in considerazione dal presidente come comportamento valutabile ai fini dell’emanazione dei provvedimenti provvisori e urgenti [4]. Tale conclusione merita di essere tenuta ferma anche se le dichiarazioni dei redditi devono essere allegate agli atti introduttivi, mentre in concreto la costituzione formale del convenuto (e, con essa, il deposito della memoria difensiva) potrebbe anche mancare, trattandosi di una facoltà e non di un vero e proprio obbligo in questa fase. Se dunque la non obbligatorietà della sua costituzione parrebbe astrattamente legittimare la posizione del convenuto che voglia rimanere inerte, non si può tuttavia non attribuire al presidente, in funzione delle peculiari esigenze di causa (e della necessità di pronuncia dei [continua ..]


4. L'audizione del minore e la consulenza tecnica d'ufficio avanti al presidente

Il presidente ha poi anche facoltà di sentire il figlio minore. Ai sensi dell’art. 155 sexies c.c., anzi, egli parrebbe tenuto a questo incombente. Sulla doverosità o meno dell’audizione si avrà modo di ritornare compiutamente in seguito. In ogni caso, per quanto attiene specificamente al contesto dell’udienza presidenziale, ritengo fondamentale saper operare un discrimine. Ed invero, qualora i disagi lamentati in capo al minore siano lievi, non riterrei che vi sia spazio per alcun approfondimento, rischiando l’eventuale audizione di caricare di ulteriore conflittualità la fase presidenziale e ben potendo ogni necessaria indagine essere differita alla fase istruttoria. Qualora invece la situazione si presenti da subito come particolarmente grave, la sola audizione da parte del presidente potrebbe non rivelarsi sufficiente e pare allora più opportuno procedere immediatamente attraverso una consulenza tecnica, allo scopo di assumere con piena cognizione degli elementi della vicenda, le necessarie determinazioni sulle contrapposte pretese delle parti. Ciò anche allo scopo di evitare una innaturale cristallizzazione di dinamiche familiari patologiche e di scongiurare se possibile il verificarsi di forme di disagio o disturbo quale ad es. la c.d. sindrome di alienazione genitoriale [10]. La consulenza può certamente in linea di principio essere disposta avanti al presidente. Contro questa prassi non è certamente ostativo il disposto dell’art. 191 c.p.c., laddove letteralmente prevede che la nomina del consulente sia compiuta dal giudice istruttore; in realtà, la norma è stata evidentemente concepita con riferimento al modello del processo ordinario di cognizione (quale risultante nella stesura originaria del codice di rito), in tal modo riferendosi al giudice istruttore quale soggetto investito della direzione del processo sin dal momento iniziale (e pertanto nei giudizi di separazione e divorzio estensibile per analogia al presidente, dal momento che la nomina del giudice istruttore è successiva allo svolgimento della fase presidenziale). Ritengo peraltro che una consulenza in sede presidenziale possa verosimilmente avere luogo soltanto per gli aspetti “personali”, relativi alle scelte di vita esistenziali da adottare per i minori, sull’affidamento, sul collocamento e sulle modalità di visita. Per quanto [continua ..]


5. L'attivitą istruttoria disposta dal collegio in sede di decisione

Per concludere l’indagine suddivisa in relazione ai momenti e alle fasi del processo, rimane da considerare il tema della prova disposta dal collegio in sede di decisione. Non è infrequente, infatti, che anche ad esito di una istruttoria accurata, il giudice istruttore riservi al collegio la decisione in merito a ulteriori richieste istruttorie. Tale situazione si verifica in special modo per approfondimenti di particolare complessità, quali possono essere quelli compiuti per il tramite di una consulenza patrimoniale, ovvero di indagini della Guardia di finanza. In linea di principio non sono favorevole a questa linea interpretativa. Al Collegio è bene che la causa sia rimessa nella sua interezza. Talvolta e in casi delicati l’esigenza di un ulteriore approfondimento istruttorio può sorgere in un momento successivo e richiedere indagini adeguate, ma anche in questi casi è il giudice istruttore che deve generalmente essere in grado di valutare quanto l’esigenza invocata sia reale ed effettiva ai fini di una completa disamina della causa. La rimessione al tribunale non deve invece servire come sorta di “protezione” da parte dell’organo collegiale circa i dubbi dell’istruttore. Ciò poiché la rimessione in decisione e la successiva rimessione in istruttoria comportano tempi non indifferenti e un dispendio di attività processuali di fatto inutili, che devono se possibile essere risparmiati. Senza contare, infine, il rischio che il tribunale finisca per accontentarsi delle emergenze istruttorie già acquisite e a trascurare vie di indagine pur sollecitate dalle parti. Per questi motivi, ritengo che detta situazione possa essere legittimata soltanto da quelle esigenze di graduazione di cui pure si è fatto cenno all’inizio. In altri termini, unicamente laddove il tribunale rilevi che le risultanze del giudizio su aspetti centrali siano parziali e non perfettamente concludenti (se – in altri termini e mutuando una locuzione che normalmente si utilizza in relazione a un istituto particolare, il giuramento – è stata raggiunta in giudizio unicamente una semiplena probatio) l’ammissione di ulteriori mezzi di prova da parte del Collegio può realmente considerarsi congruente.


6. Peculiaritą dell'istruttoria in relazione al contenuto dei provvedimenti e delle situa­zioni sostan­ziali incise

Da altro punto di vista, la disciplina istruttoria della separazione e del divorzio presenta caratteri di specialità anche in relazione alla diversità del contenuto dei provvedimenti da adottare. E così, se la formula del già citato art. 155 sexies c.c. appare molto ampia (e per alcuni profili parrebbe autorizzare la spendita di poteri istruttori officiosi come dato generale all’interno del giudizio), non vi è dubbio che la portata della norma debba essere circostanziata e che la stessa non abbia ad esempio ad operare per i provvedimenti che riguardano unicamente i coniugi, per i quali un impulso inquisitorio non può apparire in alcun modo giustificato [11]. In questo senso, ad esempio, in relazione alla domanda di addebito non può certamente essere disposta l’assunzione di alcun provvedimento istruttorio d’ufficio; ma analoga soluzione deve valere anche per i provvedimenti relativi al solo coniuge. Diversa è invece la soluzione da adottare per i provvedimenti relativi alla prole, siano essi di natura personale ovvero anche patrimoniale, poiché in questi casi l’impulso ex officio è pienamente legittimato dall’art. 155 sexies c.c. e trova conforto nell’orientamento ormai consolidato della Cassazione [12]. Non solo. Per tutto quanto attiene la sfera che riguarda i minori il potere di iniziativa officiosa è in realtà ancor più ampio, potendo derogare anche ai principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato [13]. Peraltro, occorre tenere presente che in concreto vi sono dati ed elementi probatori che possono interessare una pluralità di soggetti o addirittura la famiglia in generale e così contemporaneamente tanto le parti quanto i figli minori. Ciò accade ad esempio in particolare per i profili economici, i dati reddituali dei coniugi, il loro patrimonio, il tenore di vita goduto dalla famiglia. Ciò significa che ben può accadere che il giudice venga ad assumere anche mezzi istruttori d’ufficio per meglio provvedere relativamente alle esigenze dei figli e quindi trovarsi a utilizzare – in forza del principio di acquisizione – dette risultanze (legittimamente emerse nel corso del procedimento) anche come ulteriore strumento di valutazione per i provvedimenti riguardanti il coniuge. L’assunzione di [continua ..]


7. Esigenze istruttorie e differenziazione delle tecniche di tutela processuali

Salve le eccezioni di cui si è appena parlato, il tema della prova è strettamente correlato al tema della domanda e alla struttura dei provvedimenti. Un problema specifico si pone quindi anche per tutte le ulteriori misure che possono essere assunte nei processi di separazione e divorzio e così ad esempio per le misure ex art. 709 ter c.p.c. A questo riguardo, preliminare rispetto al tema dell’istruttoria è il problema della forma con la quale devono essere irrogate le misure in esame. Nelle ipotesi in cui le stesse siano accordate una cum il provvedimento definitivo e conclusivo del procedimento, non vi è dubbio che le stesse ne costituiscano capi integranti. La forma rimane pertanto quella legislativamente fissata, id est la sentenza che definisce il giudizio di separazione o divorzio, il decreto camerale che pone fine alla richiesta di modifica o revisione delle condizioni di separazione o divorzio, il decreto del giudice minorile nei procedimenti per l’affidamento dei figli naturali (nonché il decreto del giudice tutelare per coloro che ammettono anche tale possibilità). Le misure in esame possono peraltro essere emanate nei processi di separazione o divorzio anche in via endoprocessuale, con ordinanza da parte del giudice istruttore (oltre che con tutte le forme di provvedimenti temporanei previsti per gli ulteriori procedimenti sopra indicati) [16]. A favore di tale soluzione milita una serie concorrente di considerazioni. Da un lato, la finalità di assicurare, tramite la misura sanzionatoria, l’effettività del provvedimento sull’esercizio della potestà o affidamento risulta connaturata all’esigenza di un intervento immediato, che sappia intervenire senza dilazione per ovviare ai comportamenti del genitore renitente. Secondariamente, la stessa gradazione che per qualche profilo sussiste tra le misure in esame (quanto meno tra quelle previste al n. 1 e quelle di cui ai successivi n. 2 e 3), fa capire come nella prassi ben potrebbe risultare opportuno dapprima un semplice “avvertimento” formale (tramite l’ammonimento di cui al n. 1), per poi rendersi necessaria, in caso di reiterate violazioni, una misura più radicale. Anche tale eventualità di una emanazione in progress giustifica la concessione delle misure in corso di causa. Ma soprattutto, e da un punto di [continua ..]


8. In particolare, la prova della riconciliazione

Una particolare eccezione spendibile nei giudizi di divorzio è quella di avvenuta riconciliazione tra i coniugi, la quale come noto – se fondata – ha l’effetto di provocare, ai sensi dell’art. 157 c.c., la cessazione degli effetti della separazione [17]. Invero, ai sensi della norma appena citata, «i coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione». Di conseguenza, si interrompono gli effetti della separazione, e questa «può essere pronunciata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione». In proposito, un aspetto senz’altro interessante e allo stesso tempo problematico è rappresentato dalla prova della suddetta circostanza, la quale dovrebbe riguardare, in linea di principio, tanto la ricostituzione della comunione materiale e spirituale attraverso comportamenti inequivoci e incompatibili con lo stato di separazione quanto l’effettivo ripristino della vita familiare e quindi della convivenza. La giurisprudenza dell’ultimo decennio è intervenuta sul tema in molte occasioni, ribadendo in linea generale la necessità che la riconciliazione – intesa quale ricostruzione del consorzio familiare, attraverso il complesso dei rapporti familiari e spirituali tra i coniugi che caratterizzano il vincolo familiare – venga accertata attraverso «un’indagine di fatto, da rimettersi al prudente apprezzamento del giudice di merito» [18]. In particolare, la riconciliazione si verificherebbe in presenza di un completo ed effettivo ripristino della convivenza coniugale, che si manifesta attraverso la ripresa del consorzio di vita materiale e spirituale che caratterizza il vincolo matrimoniale. A tal fine, si ritiene che possano rilevare unicamente quelli che la giurisprudenza ha definito «elementi esteriori, oggettivi e diretti in modo non equivoco a dimostrare la seria e comune volontà delle parti di ripristinare la comunione di vita» [19]. Pertanto, sarebbero esclusi da ogni considerazione sul punto sia eventuali riserve mentali che, soprattutto, gli stati d’animo, i quali – trattandosi di interna corporis appartenenti di fatto [continua ..]


9. Stabilitą dei provvedimenti e correlate peculiaritą istruttorie

Ulteriore tema di rilievo che investe la prova nei giudizi di separazione e divorzio è quello che mette in relazione l’attività istruttoria con le peculiarità formali e strutturali dei provvedimenti giudiziali. Nell’ampio ed eterogeneo ventaglio di provvedimenti che il giudice è chiamato ad assumere vi sono infatti provvedimenti che dal punto di vista sistematico risentono in misura significativa della categoria generale nella quale vengono ad essere inscritti e per i quali pertanto anche la prova assume particolari connotazioni. Così, ad esempio, mentre il capo della sentenza relativo allo status ha natura costitutiva ed è tendenzialmente l’unico ad acquisire almeno in linea generale la stabilità propria della cosa giudicata (peraltro con la particolare eccezione sopra indicata della riconciliazione in relazione alla separazione), assai differente è il discorso in relazione ai provvedimenti in ordine al mantenimento. Gli stessi sono infatti condanne in futuro, mirano a soddisfare obbligazioni di durata, e la relativa pronuncia è oltre tutto sempre rebus sic stantibus (e soggetta a potenziale modifica ex art. 710 c.p.c. e art. 9 l. divorzio). In questi casi, non è possibile immaginare di applicare le regole ordinarie sulle preclusioni endoprocessuali e deve quindi ritenersi sempre possibile l’allegazione (e la prova) di fatti nuovi, autorizzando così di fatto una dilatazione delle tradizionali scansioni processuali in relazione allo stesso evolversi delle situazioni sostanziali protette, ovvero del substrato fattuale sulla base del quale il giudice è chiamato ad emanare i provvedimenti. Sotto questo profilo, dunque, anche la prova risente del regime di stabilità del provvedimento ed è chiamata ad assicurare una più effettiva rispondenza della situazione di fatto all’ambito della valutazione finale da sottoporre al giudice [24]. In questo senso deve essere letta ad esempio la prassi consolidata in diversi tribunali di ordinare alle parti, in corso di causa e soprattutto prima della precisazione delle conclusioni, il deposito anche delle ulteriori dichiarazioni dei redditi medio tempore presentate, di eventuali nuovi bilanci societari, della documentazione inerente investimenti mobiliari, la vendita di beni immobili o la dismissione di altri cespiti. Sul fronte delle [continua ..]


10. Analisi dei tradizionali mezzi di prova e delle loro modalitą di assunzione nella separazio­ne e nel divorzio: la consulenza psicologica

Passando ai tradizionali mezzi istruttori propri della separazione e del divorzio, un primo importante richiamo è alla consulenza tecnica di ordine psicologico. Detto istituto presenta connotati specifici, poiché sua caratteristica è quella di svilupparsi non soltanto nella constatazione di fatti o accadimenti, ma di attitudini ed elementi interni della personalità, al fine di studiare e valutare le dinamiche relazionali tra i diversi soggetti del conflitto familiare. Per lo stesso motivo, la consulenza è chiamata altresì a fornire una chiave di lettura e di interpretazione dei dati acquisiti durante le indagini. In questa prospettiva, dunque, la consulenza psicologica assume pressoché sempre carattere più propriamente deducente (o giudicante), che meramente percipiente [25]: l’ausilio richiesto dal giudice al consulente non si limita infatti alla mera acquisizione di dati, ma si esplica in una valutazione professionale e tecnica degli stessi, in funzione di una decisione sulle domande svolte in causa dalle parti, o di quanto comunque costituisce, ex auctoritate, oggetto del giudizio [26]. Per altro verso, si assiste all’interno del processo civile a una sempre maggiore specificazione e differenziazione delle indagini psicologiche, che possono fondamentalmente ricondursi a consulenze di tipo psichiatrico e consulenze psicologiche in senso stretto, alle quali si aggiunge un’ampia gamma di ulteriori esami psicodiagnostici, disposti soltanto di rado autonomamente, mentre più spesso impiegati come ulteriore approfondimento dell’indagine psicologica, e al fine di confermare (o anche modulare e temperare) i risultati raggiunti in tale sede. Da questo punto di vista il consulente d’ufficio può ampliare l’ambito della propria indagine sottoponendo le parti e i figli minori a tests psicodiagnostici, al fine di ottenere una più completa diagnosi delle personalità individuali, ed una più precisa comprensione degli aspetti relazionali intercorrenti tra gli stessi. I tests somministrati si distinguono normalmente in due categorie: tests di livello (id est di intelligenza; ad es. il test di Wais) e tests proiettivi (volti cioè ad approfondire la personalità attraverso un esame mirato maggiormente all’inconscio; tra [continua ..]


11. Cenni in relazione a ulteriori mezzi istruttori

Una disamina dell’istruttoria nella separazione e nel divorzio rende opportune alcune specificazioni anche in relazione a ulteriori mezzi di prova. Così ad esempio, in relazione alla prova statisticamente più utilizzata, id est la testimonianza, il particolare thema decidendum (e correlato thema probandum) proprio dei giudizi in esame sollecita alcune particolari riflessioni. E così ad esempio, la necessità di provare comportamenti che talvolta non hanno una indiscutibile e tassativa qualificazione ma assumono una valenza diversa a seconda delle relazioni e degli stati d’animo, porta sovente i difensori a tentare di rappresentare capitoli di prova intrinsecamente valutativi. A questo riguardo, è invece opportuno all’atto della deduzione cercare di relazionare con precisione la prova ai fatti che si ritengano utili ai fini della decisione; sarà poi compito degli atti difensivi finali quello di far emergere, dalla conferma resa in sede di deposizione testimoniale, la valenza dei singoli fatti ai fini delle richieste avanzate in causa. A volte i giudici della famiglia tendono a stigmatizzare, siccome sintomatica di una inutile conflittualità, l’indicazione di un numero elevato di capitoli di prova; a questo proposito è tuttavia innegabile che alcune domande presuppongono l’esame di una pluralità di comportamenti o elementi di riscontro non preventivamente limitabili. Si pensi a questo riguardo non soltanto alla domanda di addebito (che postula una indagine che oltre tutto risente anche in modo significativo del personale sentire del magistrato), ma altresì alle domande di carattere economico, le quali richiedono una articolata indagine anche sul tenore di vita pregresso della famiglia. Ed è parimenti vero che dati come quello appena considerato possono emergere con maggiore nitore quanto più numerose sono le circostanze dimostrate. Sarebbe estremamente utile, poi, un intervento particolarmente rigoroso da parte del giudice circa l’attendibilità o inattendibilità del teste. Nella prassi si assiste a volte del tutto disarmati a deposizioni che prima facie risultano compiacenti, e che poi nella dispersione temporale del giudizio (e talvolta anche approfittando del cambiamento del giudice) rimangono agli atti senza alcun richiamo di quanto avvenuto. Da questo punto di vista il significato [continua ..]


12. Segue) L'audizione del minore

Il tema dell’ascolto del minore, del suo inquadramento giuridico e dei suoi presupposti legittimanti è sempre stato al centro dell’attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza e ha dato adito a dubbi e interpretazioni anche diversificate, favorite dalle peculiarità dell’istituto, intriso di valutazioni di natura psico-pedagogica [60], dal pluralismo delle fonti di riferimento, non sempre oltre tutto di inequivoco tenore, e ancor più dalle differenze tra i modelli processuali che l’ordinamento configura nel vasto settore del contenzioso familiare. Anche dal punto di vista della sua funzione, l’ascolto del minore rappresenta una figura sui generis, non interamente riconducibile ai tradizionali strumenti dell’interrogatorio libero o della testimonianza [61], anche se certamente finalizzato a soddisfare esigenze di matrice lato sensu istruttoria. Con l’importante pronuncia 21 ottobre 2009, n. 22238 [62], le Sezioni Unite hanno segnato un preciso indirizzo e fornito una chiave di lettura al quesito, vivamente dibattuto in dottrina e giurisprudenza, circa l’obbligatorietà o meno dell’audizione del minore nei processi della crisi della famiglia. La Suprema Corte ha sposato l’interpretazione apparentemente più garantista, in favore dell’obbligatorietà dell’ascolto, raccogliendo il plauso di quanti riassumono gli eterogenei problemi gravitanti intorno al tema nello snodo – pur centrale – del diritto del minore di far sentire la propria voce nel processo. Purtroppo, tuttavia, la soluzione data dalla Cassazione deve essere attentamente analizzata, a evitare di ingenerare l’illusione di una valenza superiore a quella che in realtà le deve essere propria. Secondo la Suprema Corte, in particolare, le norme (internazionali e interne) che regolano la materia imporrebbero oggi che i minori siano previamente ascoltati nei processi aventi ad oggetto l’affidamento e la regolamentazione del diritto di visita con i genitori, e comunque in tutti i giudizi destinati a regolare in via esclusiva o prevalente gli interessi primari di cui gli stessi siano portatori. Secondo la ricostruzione offerta, l’audizione sarebbe necessaria in quanto i minori, anche qualora non siano parti del procedimento, devono considerarsi titolari di interessi contrapposti o diversi da quelli [continua ..]


13. Conclusioni

In conclusione, si sono evidenziati diversi aspetti essenziali dei processi di separazione e divorzio che permeano profondamente la disciplina dell’attività istruttoria. Tra questi la specialità e la specificità del rito, la particolarità delle situazioni sostanziali protette, le particolari esigenze di tutela di interessi metaindividuali, dei quali sono portatori i figli minori, e più in generale del valore sociale della famiglia. Tutti questi profili indubbiamente rafforzano i poteri istruttori del giudice, sia sotto il profilo dell’iniziativa, sia dal più generale punto di vista della discrezionalità e dell’estrinsecarsi del suo libero convincimento. In questo senso l’autorità giudicante è tenuta da un lato alla costante ricerca di un equilibrio, dovendo per quanto possibile anche adoperarsi per riequilibrare – per quanto riguarda le dinamiche familiari – una situazione patologica e di sofferenza, e d’altro lato ad affrontare la conduzione del giudizio con un grado di incisività se possibile superiore rispetto al giudizio ordinario. Ciò ad evitare che i precetti e le statuizioni giudiziarie, soprattutto laddove incidenti sulla sfera personale dei figli minori, possano rimanere lettera morta. In questo senso, nell’istruttoria il giudice può anche adottare una sorta di principio di graduazione, in forza del quale i diversi mezzi esperibili vanno visti come convergenti e complementari verso un fine unico, ma in relazione a situazioni sostanziali e a esigenze che talvolta variano e si modificano nel tempo necessario per lo svolgimento del giudizio. Il tutto, naturalmente, nel rispetto dei fondamentali principi che reggono il nostro processo civile e dei canoni portanti del “giusto processo”, e in sintonia quindi con i valori propri del nostro ordinamento costituzionale e con i principi espressi dalle fonti sovranazionali che regolano la materia.


NOTE