Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Prevenzione del femminicidio e accesso alla giustizia penale per le sopravvissute alla violenza domestica: dal d.l. n. 93/2013 alla l. n. 119/2013, tra volontà di riforma ed incoerenza sistemica (di Barbara Spinelli*(Avvocato del Foro di Bologna))


SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Le modifiche al codice penale - 3. Le modifiche al codice di procedura penale - 4. La misura di prevenzione per condotte di violenza domestica - NOTE


1. Introduzione

In data 17 agosto 2013 è entrato in vigore il d.l. 14 agosto 2013, n. 93 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”, pubblicato in G.U. il 16 agosto 2013. Il decreto legge è stato presentato dal Governo come decreto legge sul “femminicidio”, poiché, tra le altre, al capo I contiene misure rivolte alla “prevenzione e contrasto della violenza di genere”. Al decreto legge, nella sua stesura iniziale, sono state mosse da più parti pesanti critiche, sia di carattere formale che di carattere sostanziale. Tra le principali critiche si annoverano l’eteroge­neità delle disposizioni in esso contenute, un utilizzo demagogico del diritto penale, la mala formulazione dei nuovi istituti introdotti, che li rende inefficaci rispetto all’obiettivo di fornire immediata protezione alla donna, ed anzi in taluni casi rischia di accentuare sensibilmente il rischio di rivittimizzazione. Ai fini della valutazione sulla compatibilità dell’intervento normativo con l’ordinamento dell’Unione europea, si evidenziava come molte delle disposizioni contenute nell’art. 2 del decreto legge applicassero in maniera impropria la Direttiva europea 2012/29/UE e in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, entrata in vigore il 15 novembre 2012, nonché la stessa Convenzione di Istanbul, traducendosi di fatto nella compressione dell’esercizio di diritti fondamentali che quelle norme andavano a disciplinare compiutamente [1], e come ciò a sua volta determinasse una violazione della Costituzione, ed in particolare degli artt. 3 e 117, 1° comma, essendo lo Stato chiamato ad esercitare la propria potestà legislativa anche nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento eurounitario e dagli obblighi internazionali, specialmente quando questi obblighi ineriscono la tutela dei diritti umani. Oltre alle misure in materia di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, sia il decreto legge che la legge di conversione contengono anche altre misure in materia di sicurezza, protezione civile, vigili del fuoco, a favore della montagna e degli enti locali: più che un “d.l. femminicidio”, un pacchetto omnibus che include un pacchetto [continua ..]


2. Le modifiche al codice penale

L’art. 1 introduce modifiche al codice penale attraverso la previsione di nuove aggravanti, in attuazione dell’art. 46 della Convenzione di Istanbul. Questa autrice, nel commentare il testo iniziale dell’art. 1, rilevava profili di incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost. e dell’art. 117, 1° comma, Cost., per il differente trattamento riservato a situazioni uguali, in violazione degli obblighi internazionali ed eurounitari assunti dallo Stato. Nel testo del decreto infatti al 1° comma dell’art. 1 veniva introdotta l’aggravante per violenza assistita per il solo reato di maltrattamenti e non anche per le condotte che integrano altre fattispecie, come ad esempio l’omicidio o la violenza sessuale, condotte alle quali il minore può assistere senza essere persona offesa dal reato, in aperta violazione del dettato della Convenzione. Si rilevava che, qualora nell’ambito di un decreto legge si scelga di dare attuazione ad un preciso articolo della Convenzione di Istanbul, ciò non può essere fatto in maniera frammentaria, in quanto il legislatore è tenuto a d adeguare in maniera organica il codice penale al dettato della Convenzione di Istanbul, facendosi carico della modifica delle singole fattispecie, e dell’even­tuale introduzione di nuove, evitando di dare pedissequa attuazione alle disposizioni della Con­venzione e cercando piuttosto di riformare i singoli istituti assicurandosi che la modifica sia coerente sia a livello di sistema ed efficace nel raggiungere l’obiettivo indicato nella Convenzione, avuto riguardo alla tutela del bene giuridico del quale la norma vuole implementare la protezione. Rispetto alla versione originaria del decreto legge, che prevedeva l’introduzione dell’ag­gravante di violenza assistita per il solo reato di maltrattamenti, in accoglimento di tali rilievi, il legislatore ha provveduto a riformulare completamente l’art. 1, estendendo le aggravanti di violenza assistita, inizialmente prevista per il solo reato di maltrattamenti, a tutti i delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, e contro la libertà personale. Analoga modifica è stata apportata per l’aggravante dello stato di gravidanza della vittima, inizialmente prevista per il solo reato di violenza sessuale. Al contrario, l’aggravante relativa [continua ..]


3. Le modifiche al codice di procedura penale

L’art. 2 della legge di conversione introduce numerose modifiche al codice di procedura penale. La ratio che, in astratto, dovrebbe accomunare queste modifiche, è quella di garantire alla persona offesa, sopravvissuta ad una situazione di violenza domestica, una protezione adeguata fin dal momento della richiesta di aiuto, evitandone la rivittimizzazione sia da parte dell’aggressore sia da parte del sistema giudiziario. Ad esempio, il 2° comma dell’art. 2 introduce i reati di maltrattamento, violenza sessuale [7] ed atti persecutori tra quelli per cui è assicurata una trattazione prioritaria nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi. Tuttavia, nella formulazione iniziale dell’art. 2 contenuta nel decreto legge, molte delle misure introdotte apparivano manifestamente inidonee al raggiungimento di questo obiettivo, e mancavano totalmente di coerenza sistematica. In accoglimento dei rilievi da più parti formulati in sede di audizione, la Camera è intervenuta in maniera incisiva sul testo, specificando che le modifiche apportate non costituiscono l’attuazione delle disposizioni contenute nella Direttiva europea, ma un primo adeguamento del sistema ai principi in essa richiamati, in attesa dell’esercizio della relativa delega da parte del Governo. È stato quindi introdotto nella legge di conversione l’obbligo del p.m. e della p.g. di informare la persona offesa (per qualsiasi reato) della possibilità di essere assistita da un difensore, e di ac­cedere al gratuito patrocinio nei casi stabiliti dalla legge. L’introduzione di questo obbligo di comunicazione, tra gli altri, va finalmente ad iniziare a dare attuazione nel nostro ordinamento ai Principi base ONU della Giustizia per Vittime di Crimini e di Abusi di Potere, tuttavia alcuni obblighi di informazione sono stati introdotti dal legislatore in maniera assolutamente confusionaria e senza nessuna logica. È strano ad esempio che il legislatore non abbia previsto l’obbligo di comunicazione (alla persona offesa, che avrebbe il diritto di esserne informata, ed ai servizi sociali, in via discrezionale per scelta del legislatore) dell’adozione di misura coercitiva nei confronti dell’indagato/imputato, ma abbia però introdotto però l’obbligo di comunicazione alla persona offesa ed ai servizi sociali della richiesta di revoca [continua ..]


4. La misura di prevenzione per condotte di violenza domestica

La disposizione prevede che, qualora le forze dell’ordine ricevano una segnalazione per percosse o per un fatto consumato o tentato di lesioni personali lievissime e non aggravate, commesse nell’ambito di violenza domestica, anche se si tratta di reati procedibile su querela, questa segnalazione, seppure fatta in assenza di querela, legittimi l’adozione, da parte del Questore, di un ammonimento nei confronti dell’autore del fatto, «assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti». Il riferimento alle percosse ed alle lesioni personali è tuttavia un tranello per l’interprete: la norma infatti specifica che ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione si intende per “violenza domestica” «uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima». E dunque, anche in questo caso, si parla di percosse o lesioni che avvengono nell’ambito di una violenza abituale, quale quella che caratterizza il maltrattamento e gli atti persecutori. Si richiamano in tal senso le considerazioni già svolte relative all’illegittimità dell’introduzione di una definizione di violenza domestica intesa in senso iniquamente restrittivo rispetto alla medesima definizione contenuta nella Convenzione di Istanbul. Il 4° comma prevede che in ogni atto del procedimento per l’adozione dell’ammonimento di cui al 1° comma devono essere omesse le generalità dell’eventuale segnalante, salvo che la segnalazione risulti manifestamente infondata. La segnalazione è utilizzabile soltanto ai fini dell’avvio del procedimento. A questa misura di prevenzione si applicano le disposizioni previste dall’art. 8, 1° e 2° comma della l. n. 38/2009 relative all’ammonimento in materia di atti persecutori [13]. In aggiunta, il questore può richiedere al prefetto del luogo di residenza del destinatario del­l’ammonimento l’applicazione della misura della sospensione della patente di guida per un [continua ..]


NOTE