Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Ruolo e identità dell'avvocato di famiglia (di Maria Carla Serafini (Avvocato in Pescara; Presidente dell’AIAF Abruzzo))


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’avvocato quale responsabile delle conseguenze del proprio agire professionale nei confronti della società - 3. L’avvocato familiarista - 4. Identità e ruolo dell’avvocato familiarista - 5. Approccio con il cliente e con il processo


1. Premessa

Sono questi anni molto difficili per l’Avvocatura italiana che ha subito una profonda rivoluzione della propria identità, stretta tra molteplici ed assai rapidi cambiamenti sociali e di costume dovuti da una parte all’emersione di forme nuove e spesso sommerse di relazioni affettive e dal­l’altra ai mutamenti normativi tumultuosi che ne sono seguiti e che l’hanno costretta a spostare continuamente l’asse delle proprie conoscenze in maniera spesso affannosa, peraltro posta dinanzi a riforme mai organiche, oltre che frammentarie della legislazione, fonti di ulteriori incertezze interpretative. Incertezza che costituisce la cifra del nostro tempo e che dà origine a tanto disagio! Situazioni che ovviamente finiscono con l’incidere in modo pesante sia sul nostro modo quotidiano di lavorare, sui tempi, ma soprattutto sulla percezione che di noi ha l’opinione pubblica che attraverso l’avvocato ha il primo contatto con la Giurisdizione: è infatti l’Avvocatura il terminale di una “filiera cittadino-processo-giustizia” che non produce i risultati sperati dai cittadini che alla giustizia si rivolgono. Nel campo di cui ci occupiamo l’ultima riforma organica risale alla l. n. 151/1975 che ancora oggi costituisce il punto di riferimento legislativo dell’intera materia, mentre negli anni successivi, in particolare nell’ultimo ventennio, abbiamo assistito all’emanazione di norme, spesso fret­tolosamente approvate sulla spinta dell’urgenza di dare una qualche regolamentazione a nuove relazioni prive di tutela. Riforme che hanno accompagnato il lungo processo che ha segnato il passaggio da una concezione della famiglia come “istituzione”, entità con rilevanza pubblicistica che ha un valore in sé, indipendentemente dai soggetti che la compongono e dunque racchiusa dentro l’istituto del ma­trimonio, a famiglia come “comunità di affetti e di relazioni” composta da soggetti cui l’ordina­mento ha progressivamente riconosciuto diritti. A fronte di questo processo, solo appena accennato, sono subito apparsi inadeguati quei concetti semplici, antichi e diffusi nella coscienza sociale incardinati negli artt. 88 e 105, 4° comma, c.p.p.: principi quali lealtà, dignità, correttezza ed indipendenza, consolidati nella coscienza sociale e facilmente riconoscibili [continua ..]


2. L’avvocato quale responsabile delle conseguenze del proprio agire professionale nei confronti della società

Con l’avvento della società di massa, la diffusione oltre misura del numero degli avvocati in tutti gli strati sociali, l’ampliamento della funzione giurisdizionale in settori prima inesistenti di cui la famiglia è un classico esempio e, nel contempo, il processo di privatizzazione della giustizia, hanno fatto sì che quei concetti, chiari e comprensibili, che prima connotavano l’identità del­l’avvocato, siano divenuti insufficienti, creando così la necessità di ridefinire un ruolo ed una i­dentità consoni ad un avvocato che opera in una società complessa e più frammentaria quale quella in cui siamo immersi. Una grande influenza è stata certo esercitata sul mutamento del ruolo dell’avvocato come semplice difensore di una parte privata, dai principi e valori scaturiti dal dibattito assai ricco e vivace che ha accompagnato in quegli anni la costruzione dell’Unione europea. Già nel 1988 veniva approvato il codice di deontologia degli avvocati europei dal CCBE (Consiglio degli Ordini Forensi Europei), poi modificato nel 2002 a Strasburgo e nel 2006 ad Oporto, il quale introduce nel suo preambolo un concetto del tutto nuovo, e cioè che tra i doveri dell’avvocato rientri un dovere verso la società come «tutore dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato e di altri poteri ed un contributo alla buona amministrazione della giustizia», concetto poi ripreso nella Risoluzione delle Nazioni Unite dell’8 marzo 1989. Interviene poi il 18 dicembre 2000 la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, firmata a Nizza, la quale elenca e raggruppa tutti i diritti dell’individuo-cittadino europeo considerati inviolabili, dando grande rilievo ai diritti umani e così dando spazio ad un ampliamento delle categorie giuridiche di cui l’avvocato è interprete nello svolgimento della propria attività. Concetti seguiti alla “Raccomandazione del Comitato dei Ministri nel Consiglio d’Europa” in materia di libertà di esercizio dell’Avvocatura adottata il 25 ottobre dello stesso anno, ribaditi ed ampliati nella nuova “Carta dei Principi Fondamentali degli Avvocati Europei” adottata nella sessione Plenaria del CCBE l’11 maggio 2007. Si arriva nel 2007 al Trattato di Lisbona, a tutti noto, firmato il 13 dicembre 2007 [continua ..]


3. L’avvocato familiarista

I nuovi criteri, pur necessari, non sono tuttavia sufficienti a definire il ruolo e l’identità del­l’avvocato familiarista. Quest’ultimo ha una funzione più che mai complessa, poiché si trova a gestire un “unicum” costituito da un conflitto e da un processo nel quale convivono in un inestricabile groviglio aspetti totalmente tecnici che investono varie fasce del diritto civile (successorio, societario, di attività d’impresa, di diritto del lavoro) ed oggi sempre più spesso del diritto penale e sfere di irrazionalità e di emotività spesso incontenibili che attendono dall’avvocato e dal processo, in sostanza dalla cosiddetta “giustizia”, una efficace risposta al loro problema. Ed in questo quadro l’avvocato deve tener sempre presente che la ratio ispiratrice dell’intera normativa ruota intorno al cosiddetto “interesse del minore”, sempre più qualificatosi come “diritto” attraverso un interessante percorso, anche giurisprudenziale, che deve trovare soddisfazione nel conflitto tra due soggetti che anche legittimamente chiederebbero al processo un principio di chiarezza che individui delle responsabilità e li risarcisca in qualche modo del dolore e dei torti subiti, a volte anche solo sul piano simbolico. Tutto questo, lo si ripete, nel rispetto di un terzo che nulla ha a che fare con questo conflitto ma che in questo conflitto si trova immerso. È facile capire come questo compito sia davvero impegnativo per l’avvocato e richieda una molteplicità di competenze. L’avvocatura più sensibile da tempo si interroga su questo tema, cercando di ragionare sulle soluzioni e sulle modalità più opportune per svolgere in modo adeguato ed efficace la propria funzione e la nostra AIAF in particolare vi ha dedicato molta attenzione. Ricordo, tra le tante iniziative, il Convegno che si è tenuto a Pescara con la formazione decentrata del CSM su questi temi, dal titolo “La tutela del minore tra interesse e diritto” e a Firenze il Congresso Nazionale dell’AIAF nel 2013, che ha posto al centro il ruolo dell’avvocato nella giurisdizione, tema cui è stata dedicata anche la Rivista n. 2, 2013.


4. Identità e ruolo dell’avvocato familiarista

Emerge con chiarezza dall’intera discussione che all’avvocato di famiglia si chiede qualcosa di più anche rispetto ai doveri ormai incardinati nei codici deontologici, e le risposte non sono sempre univoche. A me sembra che il rischio che corra l’avvocato di famiglia sia quello di oscillare tra due posizioni opposte, entrambe inadeguate: a) da una parte una modalità di svolgimento della difesa con gli strumenti e soprattutto con l’impostazione tradizionale dell’avvocato civilista, o peggio ancora penalista (purtroppo assai diffusa!), che rischia di moltiplicare il conflitto senza offrire soluzioni; b) dall’altra il grande rischio di scivolamento e sovrapposizione dei ruoli con altre figure indispensabili, ma diverse, per formazione e funzioni, dall’avvocato, con la tendenza ad assumere interamente il ruolo di psicologo a sostegno del proprio assistito. Si tratta a mio parere di due posizioni “estreme” entrambe inadeguate e da evitare: dunque la ricostruzione di una identità e di un ruolo per l’avvocato di famiglia richiede passaggi più complessi. Certo la chiave di volta è la “specializzazione” che comporta in primo luogo una capacità tecnica non sostituibile e quindi una conoscenza completa attraverso lo studio costante della legislazione in movimento e della giurisprudenza anche europea sulla materia che bisogna peraltro contribuire a produrre; ma significa anche attenzione ai mutamenti sociali e sociologici che investono la società in cui l’avvocato in quel momento si trova ad operare. Dunque una cultura anche più generale e completa che conosca e comprenda i vari aspetti del momento in cui si vive e si lavora non dimenticando due fatti fondamentali: 1.   il fatto che l’avvocato si trova davanti all’obbligo di difendere e di tutelare “diritti” degli adulti e dei minori che hanno rilievo costituzionale; 2.   la necessità di avere presente che il fine della negoziazione e poi del processo, quando è necessario incardinarlo, è quello di ristabilire un equilibrio nel nuovo assetto che quelle relazioni familiari scomposte devono necessariamente riacquistare quando ci sono figli e dunque la consapevolezza di lavorare lungo un crinale molto delicato che si muove tra la necessità di soddisfare un diritto e quella di conservare un [continua ..]


5. Approccio con il cliente e con il processo