Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Alcune considerazione sugli accordi di separazione e di divorzio davanti all'ufficiale di stato civile (di Paolo Morozzo della Rocca (Ordinario di Diritto privato nell’Università di Urbino; Docente di Diritto dell’immigrazione presso l’Università LUMSA))


SOMMARIO:

1. Sull’inopportunità di accordi privi di assistenza professionale - 2. Sui limiti posti dalla legge al contenuto patrimoniale dell’accordo - 3. Il problema del figlio di uno solo dei coniugi nelle famiglie matrimoniali ricomposte - 4. Gli altri profili problematici riguardanti i figli - NOTE


1. Sull’inopportunità di accordi privi di assistenza professionale

Non v’è dubbio che il diritto a separarsi e a divorziare sia oggi – e ormai già da molto tempo – un diritto sostanzialmente e pienamente potestativo, al quale non è consentito alle parti rinunciare, ma di cui è invece ancora oggetto di dibattito la disponibilità o meno degli interessi (soprattutto patrimoniali) che da tali eventi sono necessariamente coinvolti. Come da molti è stato osservato, proprio la potestatività dell’interruzione o della risoluzione del rapporto coniugale – unitamente alla riconosciuta disponibilità dei diritti patrimoniali connessi, se riguardanti i coniugi e dunque non anche i figli – fa sì che la giurisdizione non costituisca più un passaggio logicamente necessario per interrompere il regime legale di convivenza o per lo scioglimento del rapporto coniugale. Ma solo a partire dal 2014 può dirsi che, oltre a non essere più logicamente necessario, detto passaggio sia divenuto davvero evitabile anche sul pia­no giuridico. Di conseguenza, il dibattito attuale è particolarmente centrato sulla misura, oltre che sulle modalità, di questa degiurisdizionalizzazione ormai già avviata e quindi sui limiti del potere dispositivo delle parti nel momento delle correlative negoziazioni [1]. L’ambito di riflessione di questo breve contributo riguarda uno solo dei tipi negoziali previsti dalle riforme in atto: quello dell’accordo dichiarato all’ufficiale dello stato civile, il quale però è anche l’unico caso in cui si dà completa degiurisdizionalizzazione, non essendo previsto né un controllo da parte del giudice civile né da parte del Procuratore della Repubblica [2]. Tornando per un momento indietro nel tempo, andrebbe forse preliminarmente ricordato come (ben prima che fosse dato ai coniugi uno strumento di autonomia così “privato” da non necessitare di alcun controllo né da parte del giudice né, almeno formalmente, da parte di un avvocato), in Italia si era già aperto – e poi chiuso in senso positivo – un difficile dibattito sulla necessità o meno della difesa legale in materia di separazione consensuale. E ciò riguardo ad un procedimento nel quale, secondo la dottrina prevalente, il giudice può rifiutare l’omologazione dell’accordo tra i coniugi [continua ..]


2. Sui limiti posti dalla legge al contenuto patrimoniale dell’accordo

Sulla rilevanza della questione sin qui trattata incide ovviamente in modo decisivo l’ormai declinante dibattito attorno al significato dell’inciso contenuto all’art. 12, 3° comma, secondo cui «L’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale». Come è noto, dopo una prima circolare ministeriale che aveva ricompreso in tale divieto anche gli accordi aventi ad oggetto l’assegno periodico di mantenimento ed il cosiddetto assegno divorzile [11], ne è seguita una seconda che invece li ammetteva [12]. È poi intervenuta una decisione del TAR del Lazio che, su ricorso AIAF, dichiarava illegittima la seconda circolare, rilegittimando la prima [13]; ed infine è sopravvenuta una sentenza del Consiglio di Stato che ha capovolto la decisione in primo grado confermando la possibilità per i coniugi di riconoscere e disciplinare eventuali crediti di mantenimento tramite l’accordo davanti all’ufficiale dello stato civile [14]. Vero è che se avesse prevalso l’interpretazione contraria all’inserimento di qualsiasi contenuto patrimoniale nell’accordo, avrebbe forse avuto maggiore argomento l’opinione secondo la quale successivamente alla sua formalizzazione la parte in bisogno avrebbe comunque potuto chiedere, anche in mancanza di nuove circostanze, la corresponsione dell’assegno di mantenimento non ancora rinunciato, né precluso dall’intervenuto accordo, sia pure solo per il tempo successivo alla domanda [15]. Questo l’argomento: se il contenuto patrimoniale è estraneo per legge all’accordo, allora l’ac­cordo stesso si configura come una dichiarazione di volontà solo in merito allo status, senza atti di disposizione di diritti e situazioni giuridiche soggettive patrimoniali, incluso il diritto al mantenimento, che di conseguenza si sarebbero potuti ritenere ancora indisponibili senza il controllo giudiziario. Al più, quindi, si sarebbe potuto vedere nell’accordo una rinuncia solo temporanea alla corresponsione dell’assegno, con possibilità di richiederlo successivamente, sebbene con decorrenza dal giorno della domanda [16]. Un’opposta conclusione si impone tuttavia dopo la pronuncia del Consiglio di Stato, perché una volta ammessa la possibilità della totale privatizzazione di [continua ..]


3. Il problema del figlio di uno solo dei coniugi nelle famiglie matrimoniali ricomposte

Sistematicamente e teleologicamente coerente con la capacità regolativa a contenuto patrimoniale dell’accordo e con la sua vincolatività rebus sic stantibus è la regola che ne impedisce la stipula «in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave (...) ovvero economicamente non autosufficienti». Anche questa clausola ha però dato luogo ad alcune incertezze interpretative, nonché ad alcuni dubbi di natura procedimentale. Come è noto, in una prima circolare il Ministero dell’Interno aveva ricompreso tra i casi esclusi dalla possibilità dell’accordo anche quello della presenza di un figlio non ancora autosufficiente di uno solo dei coniugi [25], per poi correggere tale indicazione in una successiva circolare che ha limitato detta esclusione al caso in cui il figlio sia comune ai due coniugi [26]. Questo mutamento di indirizzo è stato prima invocato e poi accolto con unanime favore dalla dottrina [27], la quale aveva tra l’altro rilevato che, a seguire il primo orientamento ministeriale, si sarebbe arrivati all’assurdo di consentire l’accordo di separazione ai coniugi entrambi privi di prole ma non invece la sua modifica nel caso in cui uno dei due fosse successivamente divenuto genitore di un figlio concepito con un nuovo partner [28]. Mi permetto tuttavia di dissentire, se non altro, dal tono eccessivamente scontato delle critiche rivolte a quel primo orientamento ministeriale che ora si è richiamato. La posizione pur largamente maggioritaria in dottrina mi sembra infatti non avere tenuto sufficientemente in conto alcune esigenze che facilmente potrebbero porsi nei casi, oggi più frequenti di ieri, di famiglie matrimoniali ricomposte in occasione della loro crisi coniugale. Tale sottovalutazione, a fronte di una costruzione dottrinale e giurisprudenziale della rilevanza giuridica delle relazioni genitoriali di fatto talvolta esuberante, questa amnesia potrebbe stupire. Mi chiedo, invece, se non dovesse comunque ricevere maggiore attenzione l’interesse del figlio non autosufficiente (oppure minorenne o gravemente disabile) riguardo ad un accordo a contenuto patrimoniale totalmente libero da valutazioni esterne e quindi potenzialmente sfavorevole per l’unico suo genitore separando o divorziando, dal cui mantenimento egli ancora dipenda. Tale interrogativo [continua ..]


4. Gli altri profili problematici riguardanti i figli

In una prospettiva opposta a quella che caratterizza questo breve contributo, va dato conto di un orientamento tendente a restringere rispetto alla sua lettera il significato dell’art. 12, 2° comma, ove è scritto “in presenza di figli”, leggendolo come se riguardasse solo gli accordi contenenti esplicitamente disposizioni concernenti i figli; e di conseguenza ipotizzando l’ammissibi­lità di accordi modificativi delle condizioni di separazione o di divorzio, anche in presenza di figli non autosufficienti, purché tali modifiche riguardino solo i reciproci rapporti tra i coniugi [29]. Questa ipotesi ricostruttiva, pur coerente con la geometrica differenziazione delle posizioni di interesse coinvolte dal fatto della separazione o del divorzio, così come tracciata dalla dottrina prevalente, oltre a lasciare perplessi per le medesime ragioni esposte nel paragrafo precedente, sembra però porsi in troppo netto contrasto con la lettera della norma. Deve quindi essere ribadita, a prescindere dal suo contenuto, la nullità dell’accordo stipulato davanti all’ufficiale di stato civile nonostante l’esistenza di figli in comune non autosufficienti economicamente [30] (nonché la responsabilità penale delle parti che abbiano dichiarato il falso all’USC [31]). Occorre però interrogarsi sulla funzionalità del procedimento riguardo alla verifica di tale presupposto, specie nel caso in cui le parti abbiano figli ormai da tempo divenuti maggiorenni. È stato affermato che l’ufficiale dello stato civile «è chiamato ad accertare che il figlio maggiorenne sia economicamente autosufficiente (art. 12, co. 2, d.l. n. 132/2014)» e non il diverso fatto che i genitori «debbono considerarsi esonerati o meno dall’obbligo di contribuzione», potendo solo ammettersi, riguardo a questa seconda e diversa situazione che i coniugi-genitori del figlio oggettivamente non autosufficiente possano esibire all’ufficiale dello stato civile la sentenza passata in giudicato che abbia definitivamente accertato il venir meno di tale obbligo [32]. Riterrei tuttavia che possa ammettersi la dichiarazione circostanziata dei genitori riguardo al fatto che il figlio maggiorenne, ormai adulto, sebbene attualmente in condizione di bisogno, sia stato economicamente autosufficiente per un [continua ..]


NOTE