Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Il diritto di difesa nel processo canonico: considerazioni introduttive e spunti ricostruttivi (di Pietro Lojacono (Prof. associato di Diritto canonico ed ecclesiastico nella Libera Università Maria SS. Assunta. Avvocato presso il Tribunale Ecclesiastico Regionale Siculo))


SOMMARIO:

1. Lo ius defensionis e l’effettiva giuridicità del processo canonico - 2. L’inizio del processo: facoltà di agire e resistere, e diritto ad un giudice terzo ed imparziale - 3. La disciplina dell’istruttoria tra principio dispositivo e principio di segretezza - 4. La pubblicazione degli atti, la discussione e la decisione: centralità della difesa tecnica - 5. I mezzi di impugnazione e l’attuazione ex post del diritto di difesa - 6. La delibazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale: il rispetto del diritto di difesa nel suo nucleo “essenziale” - 7. Il giudice ecclesiastico, l’avvocato rotale e la responsabilità patrimoniale scaturente dalla lesione del diritto di difesa - NOTE


1. Lo ius defensionis e l’effettiva giuridicità del processo canonico

La tematica concernente l’esistenza e l’attuazione del diritto di difesa nell’ambito del processo canonico è estremamente vasta e richiederebbe, come risulta evidente, una trattazione molto estesa ed articolata: ciò a motivo sia della oggettiva complessità della materia, sia delle sue connessioni con l’ordinamento italiano [1]. L’indagine non può, pertanto, non prendere in considerazione entrambi i profili, quello intraecclesiale e quello interordinamentale, e ciò ne accresce l’ampiezza. Poiché una trattazione esaustiva di una tematica così vasta esulerebbe dal compito che ci è stato affidato, ci limiteremo a fornire al lettore alcuni spunti di riflessione, scusandoci fin d’ora per l’incompletezza dell’analisi (anche le indicazioni bibliografiche saranno ridotte all’essenziale). Prenderemo in considerazione, comunque, sia la normativa generale concernente il processo canonico, sia le statuizioni particolari inerenti specificatamente alle cause di nullità matrimoniale. Ciò per un triplice ordine di ragioni: la sede che ospita questo contributo è istituzionalmente destinata alla trattazione di tematiche riguardanti il diritto di famiglia; la stragrande maggioranza dei processi canonici è attualmente costituita da giudizi di nullità matrimoniale; esiste una specifica connessione tra il rispetto del diritto di difesa e la possibilità che la pronuncia canonica che accerti la nullità di un matrimonio acquisisca gli effetti civili. Ultimata questa doverosa premessa, è opportuno prendere le mosse dall’esplicito riconoscimento dell’esistenza in capo al fedele del diritto di difesa. La vigente normativa codiciale sancisce, al can. 221, § 1, del Codice di Diritto Canonico latino emanato nel 1983 (d’ora in avanti indicato come C.I.C. o come Codex), che tutti i membri della Chiesa cattolica possono «rivendicare e difendere [il corsivo è nostro: n.d.a.] legittimamente» i diritti di cui sono titolari in ambito ecclesiale: siffatta azione di rivendica e difesa deve svolgersi «presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto». Il riferimento alla facoltà di “difendere” i propri diritti e l’in­dividuazione del processo quale sede ove esercitare siffatta facoltà vengono [continua ..]


2. L’inizio del processo: facoltà di agire e resistere, e diritto ad un giudice terzo ed imparziale

Analogamente a quanto accade negli ordinamenti secolari, quantomeno in quelli riconducibili alla cultura occidentale, chi intende rivolgersi alla giustizia ecclesiastica ha diritto ad avvalersi della difesa tecnica tramite la costituzione di un avvocato e di un procuratore. Si tratta, in linea di principio, di una facoltà e non di un obbligo. Soltanto in riferimento ad alcune peculiari categorie di giudizi il Codex del 1983 prevede che la parte debba obbligatoriamente essere assistita da un legale (can. 1481, §§ 2 e 3): la norma fa esplicita menzione delle cause concernenti minorenni, delle cause penali e di quelle concernenti il bene pubblico, prevedendo che l’even­tuale inerzia della parte debba essere supplita dal giudice attraverso la nomina di un patrono d’ufficio. Tra le cause afferenti all’utilitas publica rientrano indubitabilmente quelle di nullità matrimoniale (in quanto l’accertamento della validità, o meno, di un contratto-sacramento, qua­le il matrimonio, trascende il mero interesse soggettivo dei coniugi) per le quali, però, per esplicito disposto codiciale (can. 1481, § 3), non vi è l’obbligo di avvalersi della difesa tecnica. La deroga è indubbiamente dettata dal lodevole intento di agevolare il fedele che desideri far chiarezza sulla propria vicenda coniugale, ma appare potenzialmente lesiva dell’effettività del diritto di difesa, dato che ben difficilmente il quivis de populo è dotato delle competenze necessarie per svolgere il ruolo di attore, o di convenuto, in un giudizio di nullità. Di ciò sembra essere consapevole la D.C. che, dopo aver ribadito la possibilità di agire e resistere personalmente, obbliga i tribunali a far sì che entrambi i coniugi possano avvalersi dell’assistenza di un giurisperito (art. 101, § 1) [6]. La prassi processuale mostra, comunque, che sono praticamente assenti, quantomeno nell’esperienza italiana, casi in cui la parte attrice di un giudizio di nullità matrimoniale agisca senza l’intervento di un legale (è molto più frequente, invece, che un simile atteggiamento sia adottato dalla parte convenuta). Va altresì sottolineato come, proprio al fine di far sì che il riconoscimento del diritto di difesa non si esaurisca in una vuota formula, ma sia dotato di [continua ..]


3. La disciplina dell’istruttoria tra principio dispositivo e principio di segretezza

Successivamente alla contestazione della lite si svolge la fase istruttoria improntata sostanzialmente al principio dispositivo: onus probandi incumbit ei qui asserit (can. 1526, § 1). Nelle cause che concernono l’interesse collettivo, come quelle matrimoniali, il giudice ha però l’obbligo di supplire l’eventuale negligenza delle parti qualora ciò sia necessario per evitare la pronuncia di una sentenza ingiusta. Le parti godono comunque di un’amplissima libertà, dato che può essere addotto qualunque mezzo di prova che sia utile al fine dell’accertamento della verità e che sia lecito. Il Codex tipizza le tipologie di prove utilizzabili: le dichiarazioni delle parti; la prova documentale; la prova testimoniale; la perizia; l’accesso e l’ispezione; la presunzione. Al fine di garantire una piena attuazione del principio del contraddittorio la legislazione canonica, oltre a prevedere che attore e convenuto possano sottoporre al giudice i mezzi istruttori ritenuti più opportuni, stabilisce altresì che ciascuna delle parti – inclusi il Difensore del Vincolo ed il Promotore di Giustizia – venga informata delle prove addotte dall’altra e possa contestarne l’ammissibilità anche mediante l’eventuale proposizione di questioni incidentali. Una indicazione, per quanto sommaria, delle prerogative riconosciute alla parte non può non menzionare le seguenti facoltà: rendere il proprio interrogatorio e formulare una eventuale confessione giudiziale; presentare propri testimoni, conoscere i nominativi dei testi di controparte ed eventualmente chiedere l’esclusione di uno o più di essi qualora sussista una “giusta causa”; indicare al giudice degli argomenti su cui interrogare le parti stesse ed i testimoni (nella prassi i legali delle parti depositano dei veri e propri questionari che, solitamente, vengono adottati dal iudex quale base su cui condurre l’interrogatorio); produrre prove documentali oppure contestare l’ammissibilità o l’autenticità di quelle depositate dall’altra parte; chiedere l’esecuzione di una perizia di ufficio, domandare eventualmente la sostituzione del perito di ufficio, qualora si dubiti della sua competenza od imparzialità, fare istanza affinché il proprio perito (il peritus privatus) venga [continua ..]


4. La pubblicazione degli atti, la discussione e la decisione: centralità della difesa tecnica

Al termine dell’istruttoria si procede alla c.d. pubblicazione degli atti, disposta dal giudice (can. 1598). La pubblicazione consente alle parti di prendere visione della documentazione processuale, facoltà della quale sono in precedenza prive (cfr. supra, al par. 3) e che possono esercitare, comunque, entro un lasso di tempo predeterminato dallo stesso giudice (generalmente trenta giorni); agli avvocati è altresì data facoltà di ottenere, previa apposita richiesta, una copia degli atti (nella pratica il tribunale procede di ufficio alla consegna del fascicolo processuale), copia che deve restare nella esclusiva disponibilità del difensore e non può essere consegnata ad alcuno, incluso il proprio assistito (can. 1598, § 1, ed art. 235, § 2, della D.C.). Si tratta anche in tal caso di una peculiarità non irrilevante, poiché priva la parte di una facoltà che generalmente i moderni ordinamenti processuali prevedono: qui il timore che le acquisizioni del processo canonico vengano utilizzate in sedi estranee alla società ecclesiale, ad es., nel foro statuale – e, di conseguenza, siano distolte dalle loro finalità istituzionali, l’accertamento di una verità ricercata per motivazioni di ordine squisitamente spirituale, per essere “piegate” al perseguimento di scopi estranei all’ottica escatologica della salus animarum –, ha prevalso sull’esigenza di assicurare un integrale esercizio dello ius defensionis. La pubblicazione deve riguardare, di regola, la documentazione processuale nella sua integralità: qualora si tratti però di una causa avente per oggetto questioni inerenti l’utilitas publica, il giudice ha facoltà di stabilire che parte degli atti non venga fatta conoscere ad alcuno; ciò purché siffatta secretazione sia necessaria «per evitare pericoli gravissimi» [14]. La previsione in parola è stata oggetto di forti critiche da parte di un orientamento dottrinale che ne ha sottolineato l’idoneità a vulnerare l’effettivo esercizio del diritto di difesa [15]: la mancata conoscenza di un dato elemento impedisce di contestarlo od anche solo semplicemente di utilizzarlo, mentre non può escludersi che lo stesso elemento concorra a determinare la decisione del giudice. Le perplessità della dottrina [continua ..]


5. I mezzi di impugnazione e l’attuazione ex post del diritto di difesa

Essendo l’ordinamento canonico articolato, analogamente a quello di molti Stati, su tre gradi di giudizio, è possibile esperire, avverso la sentenza di primo grado, vari mezzi di impugnazione [17]: l’appello, gravame devolutivo a critica libera; la querela di nullità – fondata su vizi sanabili od insanabili della sentenza – e la restitutio in integrum, impugnazioni non devolutive a critica vincolata; la nova causae propositio, gravame a critica libera dotato di efficacia devolutiva, applicabile esclusivamente alle cause concernenti lo status personae. Peculiare rilevanza assume indubbiamente la querela nullitatis, giacché, lo si è già evidenziato, la negazione del diritto di difesa è espressamente annoverata dal Codex tra i vizi insanabili della pronuncia [18]. Anche la restitutio in integrum, mezzo di impugnazione straordinario esperibile contro le sentenze passate in giudicato che appaiano palesemente ingiuste, può essere utilizzata, in taluni casi, quale rimedio ad una violazione del diritto a far valere giudizialmente le proprie ragioni: tra le ipotesi in cui la restitutio, assimilabile sotto molti profili alla revocazione prevista dal diritto processuale italiano, può essere esperita il C.I.C.annovera quella in cui la decisione è stata determinata da un atteggiamento doloso tenuto da una parte a danno dell’altra e quella in cui durante il giudizio sia stata ignorata una prescrizione legislativa non avente contenuto meramente processuale (can. 1645, § 2). Non può escludersi, a nostro giudizio, che nelle due fattispecie testé menzionate, soprattutto nella prima, sia stato alterato il fisiologico svolgimento del contraddittorio con la conseguente impossibilità sostanziale di far valere le proprie ragioni. Meno direttamente connessi con l’oggetto del presente contributo appaiono l’appello e la nova causae propositio: è comunque possibile che la parte che ritenga che non le sia stata adeguatamente riconosciuta la facoltà di agire e resistere in giudizio, ma che non ravvisi la sussistenza dei presupposti necessari, stricto iure, per avvalersi dei mezzi di impugnazione a critica vincolata, ricorra ai gravami in parola. Ciò specialmente nelle cause matrimoniali che sono connotate da due peculiarità: la sentenza, analogamente a quanto [continua ..]


6. La delibazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale: il rispetto del diritto di difesa nel suo nucleo “essenziale”

Confidiamo che la presente esposizione, per quanto inevitabilmente sommaria e parziale, abbia consentito di individuare le peculiarità che nell’ordinamento canonico connotano l’esercizio dello ius defensionis. Siffatte peculiarità, lo abbiamo accennato all’inizio del presente contributo, non hanno una valenza meramente intraecclesiale, ma acquisiscono rilevanza anche in una prospettiva interordinamentale. Non va dimenticato, infatti, che per esplicito impegno pattizio le sentenze canoniche che dichiarino la nullità di un matrimonio concordatario sono suscettibili di produrre effetti nell’ordinamento statuale purché rispettino determinate condizioni: una di queste condizioni è proprio che nell’ambito del procedimento canonico di nullità matrimoniale alle parti sia stato assicurato «il diritto di agire e di resistere in giudizio [il corsivo è nostro: n.d.a.] in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano»; né può trascurarsi che, sempre per esplicito disposto pattizio, la rilevanza civile delle sentenze canoniche emanate nei confronti di ecclesiastici e religiosi, ed aventi per oggetto materie spirituali e disciplinari, è subordinata al rispetto delle situazioni giuridiche attive garantite dalla Carta fondamentale ai cittadini italiani, situazioni tra le quali rientra certamente, ex art. 24, 2° comma, Cost., il diritto di difesa [21]. Relativamente alle sentenze di nullità matrimoniale, preponderanti sotto il profilo quantitativo e che in questa sede rivestono senz’altro maggiore interesse rispetto ai provvedimenti penali a carico dei chierici e dei religiosi, è noto come l’Accordo del 1984 conferisca alla Corte d’Ap­pello il compito di controllare il rispetto dei requisiti cui è subordinata la delibabilità della sentenza ecclesiastica, incluso appunto il rispetto del diritto di difesa (art. 8, n. 2). L’analisi del­l’ela­borazione giurisprudenziale, sia di merito, che di legittimità, mostra come la magistratura secolare ritenga di per sé irrilevante la diversità sussistente tra la legislazione processuale italiana e quella canonica, sottolineando che il controllo ad essa affidato consiste soltanto nel verificare se in concreto innanzi al tribunale ecclesiastico le parti abbiano potuto agire e [continua ..]


7. Il giudice ecclesiastico, l’avvocato rotale e la responsabilità patrimoniale scaturente dalla lesione del diritto di difesa

Coerentemente con la fisionomia assunta dal sindacato statuale volto ad accertare il rispetto, o meno, dello ius defensionis, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in una pronuncia resa nel 2011, hanno escluso che possa farsi valere innanzi alla magistratura italiana la pretesa risarcitoria scaturente dalla violazione della normativa processuale canonica che sarebbe stata commessa da un giudice ecclesiastico nel corso di un procedimento di nullità matrimoniale: la Suprema Corte, chiamata ad esperire un regolamento di giurisdizione, ha negato che la pretesa de qua possa essere azionata davanti all’autorità giudiziaria secolare, osservando come la giurisdizione canonica si svolga in una sfera del tutto esterna, ai sensi dell’art. 7 Cost., all’ordina­mento giuridico statale; la delibazione della sentenza di nullità costituisce una mera eventualità, in quanto rimessa all’autonoma iniziativa dei coniugi, nonché al rispetto dei requisiti fissati dalla normativa pattizia, sicché non è contestabile che lo Stato e la Chiesa esercitino la funzione giudiziaria in condizione di reciproca indipendenza e sovranità. Conseguentemente, conclude la Suprema Corte, qualora il giudice ecclesiastico, agendo nello svolgimento delle proprie funzioni, abbia violato la legislazione canonica, il ristoro delle eventuali conseguenze dannose dev’essere chiesto ai competenti organi confessionali: la giurisdizione italiana sarebbe ipotizzabile soltanto quando le violazioni in parola integrassero comportamenti qualificati dall’ordinamento statale come criminosi [26]. Deve ritenersi, perciò, in linea di principio, che nel caso in cui il comportamento contra ius del giudice confessionale abbia determinato una violazione del principio del contraddittorio, la parte danneggiata non abbia altra via che il ricorso alla giustizia canonica. Va segnalato, infine, come il Tribunale di Torino sia giunto a conclusioni diverse dalla Suprema Corte in ordine ad una vicenda processuale concernente un’istanza risarcitoria avanzata nei confronti di un avvocato rotale accusato dal proprio assistito di imperizia e colpa grave nell’adempimento dei propri doveri professionali. I giudici piemontesi, chiamati a confermare, o meno, la decisione adottata dal Giudice di Pace, che si era dichiarato carente di giurisdizione in favore della giustizia ecclesiastica, [continua ..]


NOTE