Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale e tutela della parte economicamente debole (di Giuseppe Comotti (Professore associato di Diritto ecclesiastico e canonico, Università di Verona, Avvocato))


SOMMARIO:

1. La disciplina concordataria del procedimento di delibazione delle sentenze ecclesiastiche - 2. Gli effetti della delibazione sulla tutela del coniuge economicamente debole in pendenza dei procedimenti di separazione e divorzio - 3. Tutela economica e buona fede - 4. Incidenza della delibazione sulle statuizioni economiche della separazione e del divorzio - NOTE


1. La disciplina concordataria del procedimento di delibazione delle sentenze ecclesiastiche

Il sistema matrimoniale “concordatario”, così denominato perché introdotto nel nostro ordinamento in esecuzione del Concordato lateranense del 1929, risulta integrato dal riconoscimento di efficacia civile non solo del matrimonio canonico trascritto, ma anche delle sentenze di nullità matrimoniale pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che vengano “delibate” dalla Corte d’Appello competente territorialmente, che è quella nel cui distretto si trova il Comune presso cui è stato trascritto il matrimonio. L’Accordo di Villa Madama del 1984, reso esecutivo con la l. n. 121/1985, pur confermando sostanzialmente tale sistema, lo ha – sotto diversi profili – notevolmente innovato, in particolare per quanto attiene il procedimento di delibazione, prima caratterizzato da un sostanziale automatismo, che prevedeva la trasmissione diretta da parte del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica dei provvedimenti da delibare alla Corte d’Appello; quest’ultima – senza che fosse necessario alcun atto di impulso delle parti – con ordinanza emessa in camera di consiglio pronunciava la declaratoria di efficacia civile, dopo aver effettuato dei controlli meramente formali. Ora invece il procedimento, che trova fonte principale nell’art. 8.2 dell’Accordo, deve essere introdotto o su ricorso congiunto dei coniugi (cui seguirà il rito camerale, senza che si renda necessaria – nella prassi prevalente delle Corti – alcuna udienza), oppure su iniziativa di uno solo di essi, mediante atto di citazione [1], che attiva il rito ordinario [2]; in entrambi i casi, l’ef­fi­ca­cia civile viene dichiarata dalla Corte d’Appello con sentenza. Già solo in questi termini, il sistema di riconoscimento civile delle sentenze ecclesiastiche risulta più complesso di quello delle sentenze straniere in materia matrimoniale, per le quali, secondo i disposti della l. n. 218/1995, del d.p.r. n. 396/2000 e del Regolamento della Comunità Europea n. 2201/2003, non si richiede più l’intervento di un organo giurisdizionale, essendo rimesso all’ufficiale dello stato civile che effettua la trascrizione o l’annotazione il controllo sulla conformità delle sentenze in questione all’ordine pubblico italiano [3]. Per le sentenze canoniche tale controllo compete invece alla [continua ..]


2. Gli effetti della delibazione sulla tutela del coniuge economicamente debole in pendenza dei procedimenti di separazione e divorzio

Tra le condizioni poste dalla normativa pattizia per la dichiarazione di efficacia delle sentenze ecclesiastiche, vi è quella che non sia pendente davanti al giudice italiano un procedimento «per il medesimo oggetto e fra le stesse parti», come pure quella che la sentenza canonica non sia contraria ad altra sentenza emessa dal giudice italiano (cfr. art. 797 c.p.c., nn. 6 e 7, ora sostituito dall’art. 64 della l. n. 218/1995, lett. f e g). Nel caso in cui la declaratoria di efficacia civile delle sentenza ecclesiastica giunga in pendenza dei procedimenti di separazione o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, verrà a cessare la materia del contendere in qualsiasi stato e grado di giudizio, dal momento che il passaggio in giudicato della sentenza di delibazione, riconoscendo l’originaria nullità del matrimonio concordatario, lo fa venir meno ex tunc. Per quanto riguarda la separazione, tuttavia, il sopravvenire della delibazione «fa venir meno la materia del contendere relativamente alla separazione o all’addebito, ma non incide sulla prosecuzione del processo in ordine ai provvedimenti economici, per lo meno sotto la nuova egida del matrimonio putativo» (Cass. civ., Sez. I, 18 settembre 2013, n. 21331), che in sede di delibazione possono essere provvisoriamente adottati dalla stessa Corte d’Appello, la quale però, come prevede l’art. 8.2 dell’Accordo di villa Madama, dovrà rimandare le parti davanti al giudice competente per la decisione sulla materia. Il disposto si riferisce implicitamente alla disciplina sostanziale e processuale del matrimonio putativo, cui espressamente rinvia l’art. 18 della l. n. 847/1929 (c.d. legge matrimoniale), che permane in vigore anche dopo l’Accordo del 1984. A tale riguardo, non occorre soffermarsi sull’irrilevanza del passaggio in giudicato di una sentenza di delibazione in ordine al regime giuridico, sostanziale e processuale, dei provvedimenti del giudice che riguardino i figli, per i quali permangono gli effetti del matrimonio valido, ai sensi dell’art. 128, 2° e 4° comma, e dell’art. 129, 2° comma, c.c.; e tale passaggio non può determinare la cessazione della materia del contendere nei procedimenti eventualmente pendenti di separazione o di divorzio per quanto concerne i provvedimenti che il giudice degli stessi è chiamato ad [continua ..]


3. Tutela economica e buona fede

La buona fede nel matrimonio putativo (che produce effetti anche in campo successorio, ai sensi dell’art. 584 c.c. o nell’ambito delle donazioni, ai sensi dell’art. 785, 2° comma) consiste in uno stato psicologico di ignoranza o di errore (anche solo di diritto) circa la causa di nullità che inficiava il matrimonio. Come può evincersi dalla formulazione dell’art. 128 c.c. («quando i coniugi stessi lo hanno contratto in buona fede»), la buona fede deve sussistere al momento della celebrazione del matrimonio e sarà quindi irrilevante la successiva conoscenza della causa di nullità. Lo stato soggettivo di buona fede, come si è già visto, rileva anche in ordine all’opposizione alla delibazione di una sentenza pronunciata per simulazione unilaterale; in tale caso, però, è preclusa alla Corte d’Appello qualsiasi attività istruttoria circa la sussistenza di tale elemento, dovendo essa basarsi esclusivamente su ciò che risulta dalla sentenza delibanda, della quale è chiamata a valutare l’asserita contrarietà all’ordine pubblico. Nel caso invece di invocata applicazione della fattispecie del matrimonio putativo, non è configurabile siffatto limite, perché il giudizio non ha ad oggetto la sentenza canonica, bensì la sussistenza degli elementi cui è condizionata tale fattispecie. In applicazione del principio generale (enunciato all’art. 1147 c.c. per il possesso, ma applicabile a tutti i negozi giuridici) secondo il quale la buona fede si presume, l’onere della prova ricadrà sul soggetto che invoca come fatto impeditivo del matrimonio putativo la conoscenza (o, secondo parte della dottrina, anche il dubbio) dell’altra parte circa l’invalidità. Nessuna presunzione opera invece circa la malafede del coniuge cui sia imputabile la nullità, che l’art. 129 bis c.c. pone come condizione per richiedere allo stesso una congrua indennità. Sebbene il disposto escluda espressamente che l’indennità debba essere correlata alla prova del danno sofferto, sarà dunque necessaria la prova della malafede, il cui onere graverà – secondo principi generali – su chi affermi l’esistenza di tale imputabilità, vale a dire sul coniuge che richiede la corresponsione dell’indennità in [continua ..]


4. Incidenza della delibazione sulle statuizioni economiche della separazione e del divorzio

Nessuna particolare questione si pone circa la possibilità che la delibazione intervenga dopo l’omologazione di una separazione consensuale o la sentenza di separazione giudiziale. In tali casi, le statuizioni economiche ivi previste non possono assumere valore di giudicato immodificabile, ai sensi dell’art. 2909 c.c., non solo in forza del principio del rebus sic stantibus vigente in materia, ma anche perché lo stato di separazione può sempre cessare con la riconciliazione dei coniugi o con il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, i cui provvedimenti relativi ai rapporti personali e patrimoniali tra gli ex coniugi verranno a sostituirsi a quelli della separazione. In caso quindi di delibazione, si determinerà la cessazione dello stato di separazione e, con essa, il venire meno delle statuizioni patrimoniali correlate alla separazione medesima; tale perdita si avrà peraltro ex nunc, non solo dovendosi ritenere – in generale – che l’autorità del giudicato della separazione copra, rendendole irrevocabili, le attribuzioni patrimoniali effettuate fino a quel momento, ma anche perché opereranno a loro favore le norme sul matrimonio putativo. La giurisprudenza, nonostante qualche ricorrente tentennamento, in genere ritiene che la delibazione possa essere richiesta e pronunciata anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. L’esistenza e la validità del matrimonio, infatti, costituiscono un presupposto della sentenza di divorzio, ma non formano nel relativo giudizio oggetto di specifico accertamento suscettibile di dare luogo al formarsi di un giudicato; pertanto, come ha recentemente ribadito la Suprema Corte nella già citata sent. n. 21331/2013, la sentenza di divorzio, che non abbia espressamente statuito in ordine alla validità del matrimonio, hapetitum e causa petendi diversi da quelli della sentenza canonica e quindi non costituisce un impedimento alla sua delibazione, in coerenza con gli impegni concordatari assunti dallo Stato italiano e nei limiti degli stessi. In tal caso non viene tuttavia travolta la statuizione circa la spettanza di un assegno, una volta che essa sia passata in giudicato. In tal caso, infatti, come ha ribadito la Suprema Corte, richiamandosi all’ormai consolidata ed univoca giurisprudenza di legittimità, «si applica la regola generale [continua ..]


NOTE