Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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La legge 'Cirinnà' in materia di coppie di fatto ed i contratti di convivenza. Un'occasione sprecata? (di Giuseppe Bruno, Avvocato in Palermo)


L’autore si interroga sull’efficacia delle norme della l. n. 76/2016 in materia di coppie di fatto e di contratti di convivenza. Pur partendo da un quadro normativo e giurisprudenziale frammentario che comunque già riconosce diritti alle coppie di fatto, la riforma non è riuscita a creare una cornice organica dell’istituto lasciando non pochi dubbi all’interprete e regolamentando solo alcune circoscritte ipotesi di coppie di fatto che per regolamentare i loro rapporti patrimoniali possono utilizzare un tipico contratto di convivenza introdotto dalla riforma e nella realtà sino ad oggi pochissime volte utilizzato dalle coppie.

The author questions the effectiveness of the provisions of law no. 76/2016 on de facto couples and cohabitation contracts. Although starting from a fragmentary regulatory and jurisprudential framework that already recognizes rights for de facto couples, the reform has failed to create an organic framework for the institution, leaving many doubts to the interpreter and regulating only a few circumscribed hypotheses of de facto couples that, to regulate their patrimonial relations, can use a typical cohabitation contract introduced by the reform and in fact until now very few times used by couples.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La convivenza ex lege n. 76/2016 e le altre convivenze - 3. Contratti tipici ed atipici di convivenza - 4. Le funzioni del contratto di convivenza. La scelta del regime patrimoniale e la conoscibilità dei terzi - 5. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

La l. n. 76/2016, rispondendo ad un dibattito pubblico protrattosi per anni, ha cercato di dare una risposta a due istituti sostanzialmente diversi tra loro: le unioni civili e le coppie di fatto. Mentre sulle unioni civili si è cercato di dare legittimazione a coppie formate da soggetti dello stesso sesso e per le quali non esisteva alcuna forma di tutela similare a quella che per le coppie eterosessuali era realizzata col matrimonio, con la disciplina sulle coppie di fatto il legislatore ha cercato di dare una risposta a tutte quelle coppie dello stesso sesso o di sesso differente che, per scelta o per impedimento derivante dalla sussistenza di un altro vincolo, non potevano avere copertura giuridica nel matrimonio o nelle unioni civili. Analizzeremo se tale tutela è stata garantita e se sia riuscita a mettere ordine su tutta la normativa che in maniera frammentaria ha sino ad oggi regolamentato i diritti delle coppie di fatto. Inoltre vedremo se il contratto di convivenza, strumento regolatore dei rapporti all’interno delle coppie di fatto introdotto con la riforma, abbia o meno raggiunto la finalità prefissata.


2. La convivenza ex lege n. 76/2016 e le altre convivenze

Come accennato in premessa, le coppie di fatto hanno trovato riconoscimento giuridico in molte disposizioni di legge già prima dell’approvazione della “Cirinnà”. Pur in assenza di una legge organica, queste unioni, in applicazione dell’art. 2 Cost., hanno infatti trovato tutela in tutta una serie di disposizioni che, in specifici ambiti, hanno finito per equiparare i diritti delle coppie di fatto a quelli delle coppie unite in matrimonio. Basti pensare, per citarne solo alcuni, alla disciplina sui congedi parentali (l. n. 53/2000), sulla procreazione medicalmente assistita (l. n. 40/2004), sull’amministratore di sostegno (l. n. 6/2004), sulla donazione degli organi (l. n. 91/1999), sulla violenza in ambito domestico (l. n. 154/2001), o ad altre fattispecie come quella relative ai collaboratori di giustizia (l. n. 157/2010) o alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (l. n. 302/1990) dove il convivente era già equiparato al coniuge. Mancava quindi una legge di portata generale ma è indubbio che sia per opera del legislatore che della giurisprudenza, anche prima della l. n. 76/2016 esisteva una tutela delle coppie di fatto in ossequio anche alla tutela richiamata dalla Corte costituzionale con la sent. 15 aprile 2010, n. 138. Purtroppo la predetta finalità di una normativa di portata generale non è stata raggiunta con la riforma “Cirinnà” che anzi, per molti aspetti ha finito per generare confusione financo sulle certezze e sui diritti che il legislatore aveva precedentemente stabilito. La nuova normativa, infatti, ha introdotto una tutela delle coppie piuttosto minimalista definendo la coppia di fatto in maniera limitante e conseguentemente limitando l’applicazione delle norme introdotte solamente ad una ristretta cerchia di coppie di fatto rispetto a quelle generalmente tutelate con le norme prima richiamate. Infatti, il 36° comma dell’art. 1 della legge definisce coppie di fatto quelle composte da «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza mo­rale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile». Solo a queste coppie sono indirizzate le norme previste dai commi 37°-67° dell’articolo non abbracciando la nuova legge l’intero fenomeno delle [continua ..]


3. Contratti tipici ed atipici di convivenza

Quanto detto in precedenza sulla specialità della legge in esame si riverbera anche sull’inter­pretazione giuridica del contratto di convivenza previsto dalla “Cirinnà”. Come abbiamo avuto modo di vedere, il contratto di convivenza previsto dal 50° comma può essere stipulato solo dalle coppie di fatto individuate al 36° comma. Conseguentemente ci si è chiesto se le altre coppie che non rientrano nei canoni del 36° comma possano ugualmente disciplinare i loro rapporti in forma contrattuale o meno. Se dovessimo interpretare la norma in esame come norma di carattere generale e non speciale, dovremmo per assurdo arrivare alla conclusione che sarebbero nulli tutti i contratti di convivenza stipulati da soggetti non rientranti nei requisiti previsti al 36° comma. Paradossalmente l’effetto sarebbe quello di impedire la stipula di contratti di convivenza a tutti quei soggetti privi dei requisiti richiesti dal predetto comma. Tuttavia, interpretando la disciplina in esame come norma speciale, è pacifico che oltre ai contratti previsti da tale normativa possano continuare ad esistere altri contratti di convivenza, regolati dall’art. 1322 c.c. in quanto regolanti interessi comunque meritevoli di tutela, sottoscritti da soggetti privi dei requisiti previsti dall’art. 36 o che comunque non vogliono utilizzare, anche per gli effetti pubblicistici, la normativa in esame. Tuttavia, mentre il contratto regolato dall’art. 1322 c.c. può esplicare i suoi effetti solo tra le parti senza effetti verso i terzi, il contratto speciale previsto dalla “Cirinnà” è soggetto alla forma di pubblicità prevista dal 52° comma mediante iscrizione all’anagrafe del comune di residenza delle parti ed in quanto tale è opponibile ai terzi. Ovviamente nell’ipotesi in cui il contratto dovesse essere affetto da nullità ai sensi del 57° comma (presenza di un vincolo matrimoniale di una delle parti, o minore età o parte interdetta), la nullità del contratto farebbe venir meno gli effetti pubblicistici previsti dal 52° comma e quindi l’opponibilità ai terzi, continuando a mantenere efficacia tra le parti quale contratto regolato dall’art. 1322 c.c. Possiamo comunque concludere che se per stipulare un contratto di convivenza previsto dalla “Cirinnà” occorre che la [continua ..]


4. Le funzioni del contratto di convivenza. La scelta del regime patrimoniale e la conoscibilità dei terzi

Ma quali aspetti possono essere regolati dal contratto di convivenza previsto dalla l. n. 76/2016? Una prima risposta ci viene dalla lettura del 53° comma in forza del quale il contratto può contenere l’indicazione della residenza, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune ed il regime patrimoniale scelto tra le parti. Dalla lettura del predetto comma emerge chiaramente che il contratto non è destinato a regolamentare i rapporti personali della coppia ma esclusivamente alcuni aspetti patrimoniali. Invero, la prima bozza del disegno di legge, oltre ai richiamati aspetti, prevedeva anche la possibilità di costituire diritti ed obbligazioni patrimoniali nell’ipotesi di cessazione del rapporto per cause diverse dalla morte. Inoltre veniva introdotto un diritto successorio tra le parti in deroga all’art. 458 c.c. ed infine, la previsione di un assegno di mantenimento, alla cessazione del rapporto, in favore del soggetto più debole. Tali previsioni, tuttavia, sono state stralciate dalla norma esitata dal legislatore che nel corso dei lavori parlamentari ha eliminato aspetti che sicuramente sarebbero risultati innovativi come la deroga ai patti successori e l’assegno di mantenimento. Tornando ai contenuti indicati al 53° comma, accanto alla scelta della residenza comune, requisito peraltro previsto ad probationem dal 37° comma, la norma affronta il problema della modalità di contribuzione alle necessità della vita comune prevedendo che questa debba effettuarsi «in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo». Tale norma, confermando il dovere reciproco di assistenza morale e materiale previsto al 36° comma, ricalca il testo normativo dell’art. 143 c.c. con la differenza, però, che mentre la contribuzione alle necessità della famiglia nel matrimonio è stabilita per legge, qui è invece de­mandata ad un accordo contrattuale nel quale si potrà tenere conto, non solo delle risorse di ciascuno, ma anche del contributo lavorativo e casalingo delle parti. Si discute, tuttavia, in dottrina se la regolamentazione di tale apporto debba sempre rispondere al criterio di proporzionalità previsto per le coppie coniugate anche in forza dell’art. 160 c.c. Appare preferibile la tesi che esclude tale criterio atteso il fatto che [continua ..]


5. Conclusioni

L’infelice scrittura, in molte parti, delle norme introdotte ha lasciato non pochi dubbi all’in­terprete e non poche incertezze su quali disposizioni patrimoniali possono essere inserite nel contratto di convivenza. Prova di ciò il fatto che ad ormai più di 3 anni dall’entrata in vigore della “Cirinnà” emerge un uso molto ridotto dei contratti di convivenza previsti da quella legge. Abbiamo raccolto i dati riguardanti alcune grandi città e da questi emerge un disinteresse dif­fuso all’uso dello strumento contrattuale con un dato omogeneo su tutto il territorio nazionale. Eclatante il dato di Milano dove, a fronte di 1.975 convivenze registrate dall’entrata in vigore della legge ad oggi, sono stati depositati all’anagrafe appena 8 contratti di convivenza. Stesso dato emerge in città del centro nord come Firenze dove su 380 convivenze registrate sono stati depositati 15 contratti di convivenza o in città del sud come Palermo dove a fronte di 140 convivenze i contratti registrati sono appena 4. Evidentemente il ricorso al contratto non risponde alle esigenze ed agli interessi di una coppia che generalmente, non optando per il matrimonio o l’unione civile, disdegna di essere legata da vincoli. A ciò si aggiunga l’inapplicabilità per tutte quelle coppie non contemplate dalla nuova legge come quelle costituite da soggetti ancora vincolati od alle cosiddette “convivenze assistenziali”. Un segnale, forse il più evidente, di una riforma che sul versante delle coppie di fatto non è riuscita a rispondere alle aspettative del dibattito che l’ha preceduta e che conferma come dinnanzi ad essa appare più agevole regolamentare i rapporti ricorrendo al contratto nelle forme previste dall’art. 1322 ovvero ad altri strumenti di tutela comunque stipulati al di fuori della precaria ed incerta normativa esaminata.


NOTE