Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Luci ed ombre sulla 'vendetta pornografica' disciplinata dall'art. 612 ter c.p. (di Federica Panizzo, Avvocata in Verona)


 Il termine “revenge porn”, che viene comunemente utilizzato per indicare tutte le forme di diffusione non consensuale di immagini sessualmente connotate, è diventato un’espressione corrente in Italia, in seguito a tragiche vicende che hanno spinto il legislatore italiano a introdurre, molto tardivamente rispetto ai paesi del Common Law, l’art. 612 ter c.p. L’autrice fa un’attenta disamina della nuova fattispecie di reato e rileva come la sbrigativa inserzione dell’art. 612 ter c.p. nel c.d. “Codice Rosso”, l. n. 69/2019, oltre ad “appiattire” l’incriminazio­ne nella categoria del “revenge porn”, della violenza di genere, ha portato a scordare altre rilevanti questioni quale ad esempio quella della valutazione del ruolo delle piattaforme rispetto alla diffusione delle immagini intime esplicite pubblicate a prescindere dal consenso, o quella dell’incremento, in particolare tra le nuove generazioni, di quella che si potrebbe definire una necessaria “educazione digitale”.

The term “revenge porn,” commonly used to indicate all forms of non-consensual dissemination of sexually explicit images, has become a current expression in Italy in the wake of tragic events that prompted Italian lawmakers to introduce, far later than other Common-Law countries, art. 612 ter of the Italian Criminal Code. The author carefully examines the new offence and points out that the hasty insertion of art. 612 ter of the Italian Criminal Code into the Law n. 69/2019 (the “Red Code”), in addition to “flattening” the offence of gender violence in the “revenge porn” category, resulted in losing sight of other important issues, such as for example that of assessing the platforms’role in disseminating the explicit intimate images that are published regardless of consent, or that of the increase – particularly among the new generations – of what may be defined as a necessary “digital education”.

Keywords: revenge porn – photos posted without consent

SOMMARIO:

1. La vendetta pornografica: due tragedie reali e non virtuali - 2. Il controverso neologismo del 'revenge porn' - 3. Elementi costitutivi del reato di 'Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti' - 4. L’impatto sulle vittime della pubblicazione non consensuale delle immagini intime - 5. Le criticita' dell’art. 612 ter c.p. - NOTE


1. La vendetta pornografica: due tragedie reali e non virtuali

Per offrire una prima riflessione sulla nuova figura criminosa disciplinata dall’art. 612 ter c.p. rubricato “Revenge porn” potremo utilizzare un criterio aneddotico e prendere in considerazione due esempi, che bene mettono in rilievo i caratteri e l’importanza che può avere l’introdu­zione di questo reato che deve, però, saper convivere, nel nostro ordinamento, con i principi di offensività e sussidiarietà del diritto penale. La prima tragica vicenda che va ricordata è quella di T.C. In una sera del 12 settembre, l’Italia apprende dai telegiornali la notizia del suicidio di T.C. La donna di 32 anni, abitante nella periferia Napoletana, suo malgrado, divenuta nota in tutto il territorio nazionale, in seguito alla diffusione virale di alcuni video nei quali è ritratta mentre compie atti sessuali. Pare, tuttavia, che T. sia stata persuasa dal proprio fidanzato ad avere rapporti con altri uomini e a filmarla. Possiamo, quindi, affermare che la stessa fosse consenziente. Ciò che in tale vicenda appare poco chiaro sono le modalità con le quali i video siano passati dalla esclusiva disponibilità della coppia, alla libera circolazione sui dispositivi elettronici di milioni di Italiani. Stando ad una pri­ma ricostruzione sarebbe stata la stessa T. ad inviare, su pressione del fidanzato, i video ai quattro amici i quali lo avrebbero diffuso, in assenza del suo consenso. Secondo una diversa impostazione, invece, sarebbe stato direttamente il fidanzato a condividere i video e ad accusare poi falsamente i quattro amici. Va comunque considerato come, la settimana dopo essere stati registrati (aprile 2015), i video risultassero essere “in rete” su un portale hard; in pochi giorni questi divennero assai popolari e T.C. risultò essere facilmente riconoscibile sia per le immagini sia per il fatto che, spesso, il suo nome e cognome comparivano nei titoli dei contributi caricati. La ragione principale dell’accesso di tali video va ricercata nella circostanza che all’inizio di uno dei video, nel quale la ragazza con forte accento napoletano viene ripresa, esclamava: «Stai facendo un video? Bravo!». A partire da qual momento, la diffusione divenne capillare poiché i c.d. “filmini” si diffusero su tutti i siti pornografici più noti, in seguito circolando anche [continua ..]


2. Il controverso neologismo del 'revenge porn'

La locuzione “revenge porn”, soprattutto dopo la tragica vicenda di T.C., è divenuta una espressione corrente anche in Italia. Osserva, sul punto la dottrina, come siano comunque importanti delle precisazioni sul piano semantico e sul piano delle scelte di politica criminale [3]. È curioso notare come tale dicitura, destinata ad avere una valenza tecnica dal punto di vista della disciplina giuspenalistica, debba il suo contributo alla definizione contenuta nel Urban Dic­tionary, un dizionario on-line dedicato ai neologismi e alle espressioni slang della lingua inglese. Stando a tale fonte costituirebbe “revenge porn” «l’homemade porn uploaded by ex girlfiend or (usually) ex boyfriend after particulary vicious breakup as a means of humiliating the ex or just for own amusment»[4]. Il “revenge porn” rappresenta, però, un inquietante grosso affare. Prima dell’avvenuto spegnimento, avvenuto nel 2012, del più noto sito web creato da Hunter Moore denominato l’“Is Anyone Up?” questo riceveva una quantità pari a circa trenta mila visitatori al giorno. In questo, come in altri siti venivano rappresentate e visitate per Io più donne. Le donne sono anche quelle più frequentemente visitate e commentate. Potremo dire «nulla di nuovo sotto il sole» ma tale dato è la prova di come sia veritiero il suggerimento, secondo il quale è maggiore il livello cui è potenzialmente esposto il genere femminile e come questo sia maggiormente esposto all’abuso sessuale. Le nuove scelte di criminalizzazione del fenomeno, adottate da alcuni ordinamenti costituiscono, a mio modo di vedere, un passo in avanti, anche se l’intervento del legislatore ap­pare, tuttavia, frammentario ed essenzialmente concentrato sulle pratiche vendicative che vedono quali protagonisti gli ex partner. Se torniamo, per un attimo alla definizione che viene offerta dall’Urban Dictionary cogliamo un ulteriore dato: la vendetta pubblica che l’ex partner desidera ottenere chiama in causa una forma di pornografia c.d. “amatoriale”. Non è casuale l’uti­lizzo del termine “homemade”, la donna presa di mira sarà, quindi, quasi sempre una [continua ..]


3. Elementi costitutivi del reato di 'Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti'

Secondo la lettera del delitto di “Diffusione illecita di immagini o Video sessualmente espliciti” tale delitto sussiste quando: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate alfine di recare loro nocumento. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi in cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio». Tale delitto è sistematicamente collocato nell’ambito dei “Delitti contro la persona”, in particolare tra i “delitti contro la morale”. Il dettato normativo si apre con una clausola di riserva o salvaguardia: sussiste solo se il fatto concreto non integri gli estremi costitutivi di altra, più grave, fattispecie criminosa. Da un punto di vista del soggetto agente, il reato in esame è un reato comune in quanto suscettibile di essere commesso da “chiunque” (donna o uomo anche se, statisticamente, appare essere più un delitto commesso dal maschile in danno del femminile. È per tale ragione che appare corretta – seppur con le dovute precisazioni che verranno illustrate in seguito – la sua collocazione tra i delitti che connotano la violenza domestica o di genere) [8]. Sotto il profilo obiettivo, siamo in presenza di [continua ..]


4. L’impatto sulle vittime della pubblicazione non consensuale delle immagini intime

Benché la letteratura sul “revenge porn” si stia sempre più approfondendo va osservato come, questa si soffermi in maggior parte sulla figura dell’autore del reato. Vi è però anche un approccio criminologico al fenomeno che si concentra sugli effetti dello stesso sulle persone offese.     in tale prospettiva notiamo come l’esito di qualche prima ricerca offra un quadro allarmante: l’80% delle vittime soffrirebbe poi di stress emozionale ed ansia, mentre il 47% avrebbe, almeno una volta, pensato al suicidio [11]. Al di là dell’aspetto psicologico, l’impatto sulle vittime assume spesso contorni ancor più tangibili. Alla pubblicazione spesso fa seguito il c.d. “doxxing”, ovvero la tendenza da parte del c.d. “vendicatore”, o di chiunque condivida o veda i materiali on-line, a pubblicare le immagini intime accompagnando il tutto da informazioni personali della vittima raffigurata. In questo modo, pubblicati anche i dati sensibili della donna, questa diviene potenziale vittima anche di atti persecutori fisici o virtuali, attacchi sessuali, molestie di genere, molestie telefoniche ed, in generale, hate crimes. In una parola, la tendenza è quella ad offendere la donna biasimandola e attaccando la sua moralità. Un’altra conseguenza frequente è la perdita del lavoro da parte della vittima. Ciò accade in special modo quando la vittima ricopre un incarico educativo è ad esempio una maestra di scuola e le immagini vengono, ad esempio inviate al Preside. In generale, va rilevato come sempre con maggiore frequenza le vittime finiscano per ritirarsi dagli spazi pubblici, perdendo così importanti opportunità e, quando ciò non accade la loro “online reputation” diviene oggetto di scrupolose ricerche da parte delle aziende [12]. Senza alcuna pretesa di esaustività va detto che tra le più comuni reazioni della vittima vanno annoverate: sensazioni di vergogna, umiliazione, violazione personale ed impotenza; apprensione circa la propria sicurezza personale; la percezione di essere costantemente sotto sorveglianza, la paura di essere sorvegliate   durante il rapporto sessuale ovvero il controllo compulsivo dei siti hard, l’abbandono dell’impiego, problemi relazionali di coppia, in famiglia, nella [continua ..]


5. Le criticita' dell’art. 612 ter c.p.

Il dettato dell’art. 612 ter c.p. presenta, secondo quanto è stato osservato in dottrina, almeno due profili immediati di criticità [15]. Sotto un primo profilo, non si può non valutare, con una certa preoccupazione, la disciplina contenuta nel 2° comma dell’art. 612 ter c.p. laddove, si prevede che chi realizza le condotte del fatto tipico, successivamente al momento delta “ricezione” delle immagini o dei video sessualmente espliciti, è punibile solo se spinto dalla finalità di arrecare “nocumento” alla persona offesa. Pare, che questa parte della norma sia stata concepita per i c.d. “secondi distributori”, ossia, coloro che, ricevute le immagini dal primo distributore o scaricate dalla rete, contribuiscano, con il loro conseguente operato, a renderle “virali”. Se si considera la mancata specificazione del mittente, che potrebbe, quindi, essere anche la persona ritratta nell’immagine (c.d. sexting), si finisce per assimilare due situazione tra loro assai differenti. Il legislatore ha omesso di considerare come, ad esempio nei paesi di Common Law, circa l’80% dei casi di “revenge porn” avvenga nella forma del c.d. “selftaken” ossia immagini scattate dalla vittima poi inviate al partner [16]. Ne consegue, dunque, che la fattispecie criminosa di cui all’art. 612 ter c.p. sarà integrata solo laddove, sul piano subiettivo, sia presente il dolo specifico. Questo comporta uno scenario che sarebbe stato meglio non favorire. Se, come la vendetta pornografica sottende una finalità di ar­recare un danno alla persona offesa, gli studi angloamericani dimostrano come molte altre ipotesi di pornografia non consensuale, mediaticamente ed impropriamente, classificate come forme di “revenge porn”, si attuano sullo sfondo di finalità assai differenti rispetto al fine vendicativo. Volendo fare un esempio pensiamo al caso descritto in apertura di questo lavoro ove protagonista/vittima era T.C. ln una parola, il ricorso al dolo specifico può dirsi, dunque, un equilibrato punto di arrivo per quanto attiene la criminalizzazione delle condotte dei “secondi distributori” ma espone al rischio di rendere inefficace il reato previsto dall’art. 612 ter c.p., nella sua complessiva [continua ..]


NOTE