Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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La tutela penale del minore vittima di reato: profili sistematici e spunti critici (di Lorenzo Picotti (Ordinario di Diritto penale e Diritto penale dell’Informatica, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Verona))


SOMMARIO:

1. Premessa: il "minore" di fronte al diritto penale - 2. Il minore quale "soggetto" (passivo) titolare di diritti inviolabili alla stregua delle fonti so­vra­nazionali - 3. "Meritevolezza" costituzionale e "bisogno" effettivo di tutela penale dei diritti e degli inte­ressi dei minori - 4. Profili sistematici: beni giuridici protetti e collocazione dei delitti a danno dei minori nel codice penale - 4.1. Delitti contro la vita - 4.2. Delitti contro l'integrità fisica e psichica - 4.3. Delitti contro la libertà personale e di "sfruttamento" dei minori - 4.4. Delitti contro la libertà ed integrità sessuali - 4.5. Delitti contro la "morale familiare" e lo stato di famiglia - 4.6. Delitti contro i diritti ed interessi patrimoniali od economici dei minori, in specie contro il diritto al mantenimento - 4.7. Delitti contro altri provvedimenti giudiziari a tutela dei minori, in specie la violazione delle misure contro la violenza nelle relazioni familiari - 5. Conclusioni


1. Premessa: il "minore" di fronte al diritto penale

La trattazione del tema, assai ampio ed articolato, concernente la tutela penale del minore “vittima” di reato deve muovere da una premessa, che ne consideri la posizione più generale nel nostro ordinamento positivo. Ed al riguardo va sottolineato che l’interesse del diritto penale per i minori è ancora prevalentemente centrato sulla sua posizione di specifico “autore” di reati, in conformità ad una secolare tradizione risalente alla seconda metà dell’Ottocento, allorché l’approccio criminologico ed empirico della Scuola positiva fece emergere la necessità di non ignorare il problema della delinquenza minorile, per la pericolosità sociale che poteva dimostrare e per l’esigenza di un trattamento specifico ed individualizzato: per cui, andando al di là dell’“incapacità” giuridica dei minori stessi ad essere considerati o meno penalmente responsabili di reati (secondo la concezione classica della Scuola di Francesco Carrara, ispiratrice del Codice penale Zanardelli del 1889, secondo cui la responsabilità penale avrebbe sempre presupposto un “libero arbitrio” ben difficile da riconoscere in soggetti non ancora maturi), il sistema non doveva comunque ignorarli, ma anzi stabilire speciali misure di difesa sociale e, nel contempo, “correzionali”, per contrastarne il rischio di recidiva e per tendere alla loro (ri)educazione e (ri)socializzazione. A tal fine si imponeva una previa differenziazione fra i diversi possibili “tipi” criminologici, cui dovevano corrispondere altrettante tipologie di misure trattamentali. Un siffatto programma è stato solo parzialmente attuato nella successiva legislazione ed, in particolare, è limitatamente filtrato nel codice penale Rocco del 1930, in cui si è introdotta la distinzione fra minori non imputabili (artt. 97 e 224 c.p.) ed imputabili (artt. 98 e 225 c.p.), non pericolosi e pericolosi (ex artt. 203 e 204 c.p.), prevedendosi per questi ultimi specifiche “misure di sicurezza” sia detentive (quali i riformatori giudiziari, anche “speciali”: art. 223 e 227 c.p.), che non detentive (quale la libertà vigilata ex art. 228, ult. comma, c.p.). Nel contempo, un’intera disciplina speciale, che toccava il campo civile, amministrativo e penale, è [continua ..]


2. Il minore quale "soggetto" (passivo) titolare di diritti inviolabili alla stregua delle fonti so­vra­nazionali

Sono state soprattutto le fonti e previsioni sovranazionali che hanno spinto il legislatore italiano, negli ultimi due decenni, ad intervenire con nuove o riformulate incriminazioni penali dirette ad assicurare o rafforzare la tutela penale del minore contro abusi e fatti lesivi, di cui molto frequentemente è vittima silenziosa o rassegnata o, comunque, inascoltata. Lo stesso riconoscimento della sua piena dignità e qualità di “uomo” (o “donna”) è implicitamente negata dalla concezione sottesa al termine “minore”, tuttora corrente – e resistente – nel diritto italiano, che allude ad un soggetto non (ancora) completamente pari ad un “maggiorenne” (adulto). Ma da tale pieno riconoscimento occorre invece muovere, per giungere ad un’effettiva protezione e garanzia dei suoi diritti fondamentali ed “inviolabili”, che per l’art. 2 Cost. appartengono ad ogni “persona” umana, come solennemente proclamato dalle Convenzioni internazionali, a partire dalla “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948, che ne individua il momento genetico nella stessa “nascita”. Su tale base essenziale vanno poi sviluppati gli specifici strumenti di protezione dei minori, in quanto soggetti in fase di crescita, evoluzione e maturazione, non ancora autosufficienti né capaci di autonoma ed efficace difesa dei propri diritti, che sono perciò maggiormente esposti al rischio di aggressioni e violazioni da parte sia di singoli che di organizzazioni criminali. In questa sede basti richiamare la fondamentale “Convenzione sui diritti dei bambini” (o “fanciulli”: in inglese children, nozione comprendente, ex art. 1, «ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni»), promossa dalle Nazioni Unite e firmata a New York il 20 novembre 1989, che rende esplicito l’obbligo degli Stati aderenti di dare preminente considerazione, in ogni decisione, all’«interesse superiore del fanciullo» (art. 3) ed impone loro di prendere ogni «adeguata misura» e «provvedimento» (compresa, dunque, l’introduzione di apposite sanzioni penali, pur se non espressamente menzionate) per «proteggere» i fanciulli (bambini, ragazzi, giovani) dalla droga [continua ..]


3. "Meritevolezza" costituzionale e "bisogno" effettivo di tutela penale dei diritti e degli inte­ressi dei minori

Il problema che concretamente si pone a livello degli ordinamenti nazionali, nel cui ambito soltanto possono trovare concreta attuazione le esigenze ed, anzi, i veri e propri obblighi di tutela penale derivanti dalle menzionate fonti sovranazionali, è quello dell’effettiva “meritevolezza” dei diritti e degli interessi dei minori, nonché “necessità” (o “bisogno”) di loro protezione attraverso sanzioni di natura penale, in conformità ai due parametri della Strafwürdigkeit e dello Strafbedürfnis elaborati dalla dottrina tedesca per articolare i il giudizio di sussidiarietà penale. Non si tratta soltanto, per il legislatore, di dare adeguata formulazione tecnica alle fattispecie incriminatrici, in attuazione delle norme sovranazionali e nel rispetto dei principi di legalità e di tassatività, ma anche di vagliarne il contenuto alla stregua delle esigenze sostanziali di offensività e di proporzionalità, che devono sempre porsi come “limiti”, nella scelta dello strumento penale, per un moderno Stato democratico di diritto, in quanto a sua volta fortemente incisivo sui diritti delle persone cui si deve applicare. Al riguardo, rifermenti importanti per la legittimazione costituzionale delle scelte legislative di penalizzazione in materia di protezione dei diritti e degli interessi dei minori possono rinvenirsi in un complesso di norme, che oltre al menzionato art. 2 Cost. – aperto al pieno “riconoscimento” e, dunque, alla “garanzia” e tutela “positiva” dei diritti inviolabili dell’uomo, quali affermati nelle fonti e Convenzioni internazionali – deve includere l’art. 3, commi 1 e 2, Cost., secondo cui deve essere garantita la “pari dignità sociale” ed eguaglianza (anche) dei minori, contro ogni discriminazione anche “di fatto”, essendo compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli» che «impediscono il pieno sviluppo della persona umana»: compito che dunque si raccorda strettamente con le più specifiche previsioni di cui agli artt. 30 e 31, in specie 2° comma, Cost., che pongono i minori al centro degli obblighi giuridici di mantenimento, istruzione e educazione, nonché più in generale [continua ..]


4. Profili sistematici: beni giuridici protetti e collocazione dei delitti a danno dei minori nel codice penale

Passando ora all’esame delle diverse fattispecie previste nel vigente ordinamento positivo italiano, poste a tutela penale dei minori, che vi assumono quindi la posizione di “vittime”, bisogna ricordare che se ne rinvengono in svariati ambiti e corpi normativi, con palese assenza di un organico disegno legislativo, frequenti incoerenze di formulazione e di livelli sanzionatori. Per cui non è agevole ricostruire le linee di fondo di un sistema che, come già detto (supra, par. 1), non nasce da unitarie scelte del legislatore, ma è frutto di uno stratificarsi d’interventi disparati e di differente origine storica, aventi portata e finalità politico-criminali diverse, dettate dal contesto in cui sono stati concepiti, spesso per esigenze contingenti. Per delinearne, seppur senza pretesa di esaustività, il quadro assai complesso e poi, eventualmente, vagliarne la conformità alle esigenze di protezione penale espresse dalle sopra richiamate fonti sovranazionali e costituzionali, occorrerà dunque considerare primariamente i vari beni giuridici che di volta in volta costituiscono lo specifico oggetto della tutela penale, che non sempre sono coerenti con la variegata collocazione “topografica” dei reati da considerare nelle diverse parti, sezioni, capitoli o titoli del codice penale, ovvero – al di fuori di esso – in singole leggi speciali.


4.1. Delitti contro la vita

Innanzitutto troviamo nel Titolo XII, dedicato ai delitti “contro la persona”, ed in particolare nel suo Capo I che riguarda i delitti contro la vita e l’incolumità individuale, specifiche norme che rafforzano la tutela penale della vita dei minori, fin dal momento del termine della gravidanza, come chiarisce la speciale disposizione dell’art. 578 c.p., che pur costituendo una norma “di privilegio” per la madre che si trovi nelle particolari condizioni di abbandono materiale e morale in cui commetta infanticidio, espressamente equipara il «feto durante il parto» al «neonato [...] dopo il parto», riconducendoli entrambi alla nozione giuridica di “uomo” di cui alle diverse fattispecie in materia di omicidio, sia doloso, che preterintenzionale, che colposo. Al fine di garantire, poi, l’applicazione delle comuni fattispecie omicidiarie, specifiche disposizioni escludono sempre la rilevanza del “consenso” del minore degli anni diciotto, rispetto al­l’ipotesi più mite dell’omicidio del consenziente (art. 579, 3° comma, n. 1, c.p.), e del minore degli anni quattordici, rispetto a quella di istigazione od aiuto al suicidio, reato le cui pene sono comunque aggravate, se la vittima è invece minore degli anni diciotto (art. 580, 2° comma, c.p.). Quando poi la vittima minorenne sia “discendente” dell’autore del reato, a questo si applicherà la circostanza aggravante speciale prevista per l’omicidio, anche preterintenzionale, e per le lesioni personali dolose, ex artt. 576, 1° comma, n. 2; 577, 1° comma, n. 1 e 585 c.p. Ed in questo ambito vanno anche menzionate due speciali circostanze aggravanti: la prima inserita nell’art. 575, 1° comma, n. 5) c.p., quale riformulato dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38, che stabilisce la pena dell’ergastolo se il delitto di omicidio è commesso «in occasione della commissione di taluno dei delitti» di violenza sessuale, atti sessuali con mino­renne e violenza sessuale di gruppo di cui appresso si dirà (par. 4.4); l’altra relativa alla morte cagionata dal colpevole di sequestro di persona in danno di minore, ai sensi dei nuovi comma 3 e 4 dell’art. 605 c.p., [continua ..]


4.2. Delitti contro l'integrità fisica e psichica

In secondo luogo vengono protette specificamente, nel medesimo Capo I del Titolo XII, l’in­tegrità e la salute, sia fisica che psichica, del minore, non soltanto tramite la menzionata circostanza aggravante speciale delle lesioni personali dolose (ex art. 585 c.p.), ma anche mediante apposite incriminazioni, quali l’abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 c.p.) e l’omissione di soccorso (art. 593 c.p.). La prima norma configura un “reato proprio” di mera condotta, anche omissiva, consistente nell’abbandono, da parte di chi abbia la custodia o l’obbligo di cura del soggetto passivo, che si applica sempre se si tratti di minore degli anni quattordici, mentre rispetto al il minore degli anni diciotto la pena è prevista solo se l’abbandono si realizzi all’estero, da parte di cittadino italiano, cui il minore sia stato affidato nel territorio dello Stato, in conformità ad una concezione “autarchica” del potere punitivo nazionale, che non appare oggi adeguata alla globalizzazione e facilità di circolazione all’estero delle persone. Specifiche circostanze aggravanti sono stabilite se il fatto sia commesso (fra gli altri) dal genitore, dal tutore e dall’adottante. La seconda disposizione prevede a tutela – in specie – del «fanciullo minore di anni dieci» una sorta di presunzione assoluta di «incapacità» di provvedere a se stesso, con conseguente obbligo di protezione e soccorso in capo a chiunque lo trovi «abbandonato o smarrito». È stata viceversa abrogata la fattispecie “di favore” per chi commetta l’abbandono di neonato «per causa d’onore» (ex art. 592 c.p.), a seguito della l. 5 agosto 1981, n. 442, che ha operato un doveroso, seppur tardivo, adeguamento dell’ordinamento penale alle nuove gerarchie di valori riconducibili al dettato costituzionale, eliminando dal codice tutte le odiose ipotesi “di favore” per l’autore di delitti contro la vita e la persona motivate da siffatta ragione. Più di recente è stato viceversa introdotto nel codice penale, dalla l. 9 gennaio 2006, n. 7, il nuovo delitto di «pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili», per cui è prevista una specifica circostanza aggravante quando siano commesse [continua ..]


4.3. Delitti contro la libertà personale e di "sfruttamento" dei minori

Un quadro assai ampio ed in gran parte più moderno di fattispecie penali è previsto oggi a tutela della libertà del minore, da considerare sotto molteplici profili, che vanno dalla vera e propria “libertà individuale” di locomozione e stabilimento, alla “libertà morale” fino al rispetto della sua “dignità” e personalità: beni che possono essere offesi da molteplici forme di aggressione ed in specie di sfruttamento dei minori, da ricondurre alla categoria assai ampia delle c.d. “nuove schiavitù” che si presentano oggi alla coscienza sociale come un effetto intollerabile soprattutto della globalizzazione. È impossibile, in questa sede, entrare nel dettaglio delle molteplici fattispecie via via introdotte o modificate, per cui ci si limiterà a menzionare le più significative riforme intervenute, a partire dalla fine degli anni ’90, soprattutto nell’ambito del Titolo XII, Capo III, Sezione I del Libro II del codice penale, intitolata ai delitti contro la “personalità individuale”, per lo più in attuazione delle sopraindicate convenzioni e fonti sovranazionali. Innanzitutto vanno ricordate le leggi 3 agosto 1998, n. 269 e 6 febbraio 2006, n. 38, che hanno introdotto e poi inasprito ed esteso i delitti – del tutto nuovi per il nostro ordinamento – di prostituzione minorile (art. 600 bis c.p.), pornografia minorile (artt. 600 ter, 600 quater e 600 quater.1 c.p., che include ora anche la “pornografia virtuale”) ed iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600 quinquies c.p.), al fine di combattere lo sfruttamento dei minori a scopo sessuale. Sul versante della lotta alla schiavitù, alla tratta ed alle diverse altre forme di sfruttamento dei minori a fini soprattutto economici vanno ricordate la l. 11 agosto 2003, n. 228, che ha interamente riformulato i delitti di schiavitù, servitù e tratta (nuovi artt. 600, 601 e 602 c.p.), fino alle più recenti leggi 15 luglio 2009, n. 94, che ha specificamente introdotto il nuovo delitto di «impiego di minori nell’accattonaggio» (art. 600 octies c.p., che ha sostituito la più blanda contravvenzione di cui [continua ..]


4.4. Delitti contro la libertà ed integrità sessuali

La l. 15 febbraio 1996, n. 66, nel riformare profondamente la materia dei reati sessuali in generale, ha voluto segnare un forte momento di discontinuità rispetto a quella anteriormente prevista dal codice Rocco, dedicando fra l’altro una particolare attenzione alla tutela penale dei minori. Si tratta infatti di in un ambito di estrema importanza per il loro equilibrato sviluppo umano e psicologico, in cui si deve garantire, da un lato, la massima protezione contro ogni abuso, strumentale alla soddisfazione di egoistiche esigenze degli adulti, che vanno a danno di una loro adeguata maturazione, dall’altro un indispensabile e progressivamente crescente spazio di libertà, per consentire esperienze confacenti all’età, di grande rilievo per la formazione della loro personalità individuale. La disciplina introdotta ed oggi vigente è significativamente innovativa sotto diversi profili. Innanzitutto, le norme sono state collocate nel Titolo XII, Capitolo III, dedicato alla libertà personale, mentre sono state abrogate quelle previgenti, che erano collocate nel Titolo IX, dedicato ai delitti “contro la moralità pubblica”. Quanto ai loro contenuti, sono state riformulate molteplici previsioni, in specie in materia di “violenza sessuale” (art. 609 bis c.p., che ha fra l’altro superato la distinzione fra atti di congiunzione carnale ed atti di libidine) e di “corruzione di minorenne” (art. 609 quinquies c.p., che rispetto al previgente art. 530 c.p. ha soppresso l’in­cre­di­bile causa di non punibilità prevista a favore di chi commettesse il fatto, anche di congiunzione carnale e di atti di libidine, nei confronti di minore “già moralmente corrotto”); mentre sono state introdotte specifiche circostanze aggravanti delle già più severe pene, se il fatto sia commesso “nei confronti” di minore degli anni quattordici, ovvero anche di anni sedici, se autore sia l’ascendente, il genitore anche adottivo o il tutore, e comunque con una ancor più severo aggravamento di pena se il minore non abbia compiuto gli anni dieci (art. 609 ter, rispettivamente 1° comma, nn. 1 e 5, e 2° comma). Infine è stata introdotta – oltre alla nuova figura della violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies) – la nuova specifica [continua ..]


4.5. Delitti contro la "morale familiare" e lo stato di famiglia

Una collocazione separata dai delitti sessuali mantiene invece il discusso delitto di “incesto” (art. 564 c.p.), che nel diverso ambito del Titolo XI, dedicato ai delitti contro la famiglia, apre il Capo II dedicato a quelli “contro la morale familiare” (composto per il resto da un’altra unica fattispecie, bagatellare, che a conferma dell’autoritaria prospettiva da cui muoveva il legislatore del 1930 sanziona come “attentati alla morale familiare” l’esposizione per mezzo della stampa di circostanze offensive della stessa). Nell’incesto non sono in effetti protetti i diritti e libertà delle eventuali vittime ‘vulnerabili’ e più esposte all’adescamento, quali i minori – rispetto a cui resta salva, ovviamente, l’applicabilità degli esaminati delitti sessuali: tanto che lo speciale delitto in esame non compare più in molti ordinamenti penali moderni – né esigenze eugenetiche, data la punibilità di rapporti anche tra affini, bensì (come ritenuto dalla nostra Corte costituzionale, con una discussa sentenza che ha respinto le molteplici censure d’illegittimità sollevate) l’esigenza di escludere i rapporti sessuali tra componenti della famiglia diversi dai coniugi, per «evitare perturbazioni della vita familiare» ed «aprire alla più vasta società la formazione di strutture di natura familiare» (Corte cost. n. 518/2000; ad una conclusione analoga è pervenuta anche la più recente sentenza della Corte costituzionale tedesca del 26 febbraio 2008, con riferimento ad una relazione consensuale fra fratello e sorella maggiorenni). Senonché una simile prospettiva pubblicistica, di tutela di un astratto modello di famiglia, lascia aperta la paradossale possibilità che sia sanzionato anche lo stesso minore imputabile, che partecipi al­l’in­cesto. Sempre nel Titolo XI sono infine da menzionare i “delitti contro lo stato di famiglia” (Capo III), che consistono per lo più in reati di falsità documentale (ideologica od anche materiale: artt. 566, 1° comma e 567, 2° comma), ovvero in condotte di “occultamento” (art. 566, 2° com­ma), “sostituzione” (art. 567, 1° comma) di neonati o “presentazione” di fanciulli «in un ospizio di [continua ..]


4.6. Delitti contro i diritti ed interessi patrimoniali od economici dei minori, in specie contro il diritto al mantenimento

Ben maggiore importanza pratica ed applicazione concreta hanno le norme penali poste a tutela dei diritti ed interessi di natura patrimoniale od economica del minore, in specie del suo diritto al mantenimento cui sono obbliati – per espresso precetto costituzionale (art. 30 Cost.) – i “genitori” ed in caso di loro “incapacità” i soggetti stabiliti dalla legge, in particolare dal codice civile. L’insieme di queste fattispecie è però sparso in diverse parti del codice penale e della legislazione speciale, concernente la separazione ed il divorzio, per cui è necessario ricomporne il quadro. Ma prima di tutto va menzionato il delitto di “circonvenzione di persone incapaci” (art. 643 c.p.), che si colloca nell’ambito dei delitti contro il patrimonio (Titolo XIII del libro II del codice penale) “mediante frode” (Capo II), benché si sostanzi – piuttosto che in un artificio o raggiro – in un abuso di condizioni preesistenti, costitute dai “bisogni”, dalle “passioni” o anche dalla mera “inesperienza” della persona minore (ovvero, in alternativa, dallo stato d’infermità o di deficienza di qualsiasi altra persona): abuso a seguito del quale il soggetto passivo è indotto a compiere un atto dannoso per sé o per altri, secondo lo schema tipico dei c.d. delitti di “cooperazione artificiosa” della vittima. Chiaramente la protezione del patrimonio del minore (o di terzi) si associa così alla tutela penale del suo pur limitato spazio di autonomia negoziale, riconosciuto dallo stesso ordinamento soprattutto nell’ambito delle attività lavorative: ed in una coerente prospettiva personalistica, appare dunque corretta un’interpretazione estensiva del concetto di effetto “dannoso” che qualifica l’atto consumativo del reato, non circoscrivendolo alla mera rilevanza economica. Il diritto del minore al mantenimento è invece specificamente protetto da altre autonome fattispecie, a partire da quella di “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, che nel suo complesso articolato punisce, innanzitutto, l’abbandono del domicilio domestico ed ogni altra “condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie” che si traducano nella «sottrazione [continua ..]


4.7. Delitti contro altri provvedimenti giudiziari a tutela dei minori, in specie la violazione delle misure contro la violenza nelle relazioni familiari

Due ulteriori fattispecie incriminatrici c.d. “in bianco” ricorrono con relativa frequenza nel campo dei possibili delitti a danno di minori. Si tratta, innanzitutto, del classico delitto di cui all’art. 388 c.p., che punisce la mancata esecuzione dolosa di un ordine del giudice, che alla stregua del suo 2° comma sanziona specificamente l’elusione di provvedimenti concernenti (fra l’altro) “l’affidamento di minori”. In tal modo, si presta ad essere applicato in tutte le molteplici situazioni in cui siano violati, ad es., gli obblighi relativi alle visite o alla permanenza di un figlio minore presso l’altro coniuge o terzi. La pena non è tuttavia particolarmente incisiva, potendo essere anche soltanto pecuniaria (in alternativa a quella detentiva “fino a tre anni”), e la procedibilità è a querela di parte, per cui la disciplina penale si presta ad essere del tutto sussidiaria alla regolamentazione ed eventuale definizione del possibile conflitto in sede civilistica. Successivamente, anche l’art. 6, l. 4 aprile 2001, n. 154, contro la violenza nelle relazioni familiari, punendo «chiunque elude l’ordine di protezione previsto dall’art. 342-ter c.c. ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione [o divorzio]», rinvia alla pena stabilita dall’art. 388 c.p., così presidiando penalmente il rispetto dei provvedimenti emanati dal giudice civile (in camera di consiglio) in casi in cui, pur senza che ricorra un reato, «la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente» ovvero anche (ex art. 5, l. n. 154/2001) di «altro componente del nucleo familiare», fra cui rientrano in primo luogo i (figli) minori. Il reato peraltro è sempre procedibile a querela di parte, per l’esplicito rinvio altresì all’ultimo comma del citato art. 388 c.p. La menzionata legge contro gli abusi nelle relazioni familiari ha altresì introdotto nuove misure cautelari di natura penale, di analogo contenuto, quale in specie l’«allontanamento dalla casa familiare» (art. 282 bis c.p.p.) – cui si è aggiunta quella del «divieto di [continua ..]


5. Conclusioni