Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Il minore testimone nel procedimento penale: esigenze di protezione e ricerca della verità (di Francesco Pisano (Avvocato del Foro di Cagliari))


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Ascoltare il minore nel procedimento penale - 3. Il minore, testimone vulnerabile - 4. L'incidente probatorio: generalità e questioni aperte - 5. L'incidente probatorio: prospettive evolutive dell'ordinamento UE - 6. La questione del recupero delle dichiarazioni predibattimentali - 7. Metodologie di esame del minore - 8. Conclusioni


1. Premessa

È di questi giorni, mentre chiudiamo questo numero della nostra rivista, la notizia della sentenza che ha definito il processo per abusi sessuali collettivi su bambini di una scuola dell’infanzia di Rignano Flaminio da parte di un gruppo di adulti tra cui insegnanti ed un bidello: tutti gli imputati sono stati assolti. Si legge sulle cronache di genitori sconvolti che hanno preso a calci la porta dell’aula del tribunale e delle polemiche innescate dalla decisione. C’è chi teme che questo esito sancisca che quella dei bambini è una testimonianza “di serie B”; c’è chi invece sostiene che i giudici hanno correttamente valutato l’inattendibilità di dichiarazioni accusatorie raccolte in modo del tutto scorretto; altri ancora si chiedono semplicemente in quali condizioni si trovino questi bambini, dopo l’esperienza devastante di un processo che ha accertato la mancanza di vittimizzazione primaria causandone una secondaria e, si potrebbe dire, iatrogena, con conseguenze pesantissime per il loro futuro. Si tratta di una vicenda esemplare, una serie di dichiarazioni a reticolo provenienti da diversi bambini di una scuola materna, o meglio, in prima battuta, ovviamente, dai genitori che a loro volta riferivano quanto detto dai loro figli; alle prime segnalazioni avevano fatto seguito numerose sollecitazioni ai minori in fase di indagini, anche con videoregistrazioni effettuate dai genitori, ed infine la raccolta della prova in incidente probatorio. È stata poi la volta delle perizie sull’attendibilità dei testimoni, altro terreno di scontro tra esperti con diversi approcci, anche soggettivi ed ideologici e non solo tecnico scientifici. Una vicenda che pone in tutta la sua gravità il problema dell’accertamento di reati che feriscono profondamente la coscienza collettiva; accertamento che spesso può facilmente rischiare di trasformare il processo in una moderna ordalia in cui, a differenza che nell’antichità, è la persona offesa, e non l’accusato, ad essere sottoposta ad un supplizio; mentre l’imputato rischia, sull’esito di questo supplizio, pesantissime condanne. In questo quadro mi sembra importante ricordare che seppure in questo tipo di reati è spesso inevitabile che le dichiarazioni della persona offesa assumano un ruolo centrale, ed a volte anche esclusivo, nella raccolta di [continua ..]


2. Ascoltare il minore nel procedimento penale

A seguito dell’entrata in vigore della l. n. 77/2003, che ha ratificato la convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti da parte dei minori, si è sviluppata una giurisprudenza su contenuto, significato e confini dell’ascolto del minore nelle procedure giudiziarie che lo riguardano. La l. n. 54/2006, e prima ancora il regolamento Bruxelles II bis dell’Unione europea, hanno ulteriormente precisato l’obbligo di ascolto del minore nelle procedure relative ad affidamento e responsabilità genitoriale. Obbligo che ha trovato un autorevole sottolineatura nella notissima sentenza delle Sezioni Unite n. 2238/2009, che ha affermato l’obbligatorietà dell’ascolto, con onere per il giudice di motivare il perché, nel singolo caso, l’interesse del minore si tuteli meglio non procedendo all’ascolto. Giurisprudenza e dottrina vanno chiarendo che l’attività di ascolto del minore è strumentale all’esplicazione di un diritto della personalità del minore stesso. Appare del tutto evidente che l’ascolto si iscriva, qui, in una dimensione altra rispetto all’attività di ricerca della prova. Nel procedimento penale il minore è invece sentito quale fonte di prova dichiarativa: sommario informatore del pubblico ministero (ed in astratto anche del difensore che svolga indagini difensive) nella fase delle indagini preliminari; testimone nel processo, o in quella enclave di istruzione probatoria che si verifica nella fase predibattimentale con l’incidente probatorio. Delineata la fondamentale distinzione tra le due diverse cornici e finalità dell’ascolto, o se si preferisce, più sinteticamente, tra diritto ad essere ascoltato e obbligo di rendere testimonianza, non resta che esaminare la norma del codice di procedura penale che stabilisce il principio cardine dell’assunzione della prova dichiarativa: l’art. 196 c.p.p. prevede che ogni persona ha la capacità a testimoniare; l’art 497 c.p.p., 2° comma stabilisce che i minori infraquattordicenni sono esentati dall’ammonizione sulle conseguenze di dichiarazioni false e non devono dichiarare di assumere l’obbligo di dire la verità. Proprio l’analogia con la scelta operata dal sistema del processo penale venne considerata dalla Corte costituzionale nel 1975, sent. n. 149, per [continua ..]


3. Il minore, testimone vulnerabile

Nel diritto vivente dell’Unione europea sia le vittime di minore età sia le vittime anche maggiorenni, di particolari reati, come i maltrattamenti e la violenza sessuale, sono definite vulnerabili ed hanno diritto ad un particolare trattamento. I minori vittime di maltrattamenti ed abusi, quindi, hanno un doppio statuto di vulnerabilità. Parlo di diritto vivente perché l’ordinamento attuale prevede lo status di vittima vulnerabile ma non ne definisce i requisiti specifici, che sono stati integrati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Il riferimento normativo è la Decisione Quadro dell’Unione europea 2001/220/GAI sulla posizione delle vittime nel processo penale. Una pronuncia fondamentale della Corte di Giustizia dell’Unione europea è stata resa su una questione pregiudiziale proposta dal giudice italiano che investita le norme della decisione quadro sulla tutela delle vittime particolarmente vulnerabili: si tratta della nota sentenza Pupino. Il PM di Firenze nel corso di indagini per maltrattamenti ed abuso dei mezzi di correzione a carico di una maestra di scuola dell’infanzia, chiedeva al GIP l’incidente probatorio allegando il rischio di deterioramento della capacità mnestica dei bambini in tenerissima età rispetto ai tempi del processo. Il Gip riteneva di non poter accogliere la richiesta in quanto l’audizione dei minori in incidente probatorio era previsto all’epoca solo quando si procedeva per reati sessuali; sollevava però questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., per l’ingiustificato trattamento che i minori, vittime fragili, ricevevano in relazione alla tipologia di reati subiti, peraltro anche nel giudizio a quo, trattandosi di reati lesivi di beni fondamentali; sollevava altresì questione pregiudiziale alla Corte UE, chiedendo se l’art 398 bis c.p.p. poteva essere interpretato alla luce della Decisione Quadro n. 220/2001 nel senso di consentire l’in­ci­dente probatorio nel giudizio a quo, considerando che la Decisione Quadro imponeva agli stati membri di garantire i diritti delle vittime vulnerabili, come i minorenni, di essere sentiti in forme protette, il minore numero di volte possibile volta, prima del processo e a non eccessiva distanza di tempo dal fatto, per limitare al massimo il [continua ..]


4. L'incidente probatorio: generalità e questioni aperte

Nato per porre rimedio al rischio di compromissione o perdita della fonte di prova (es.: testimone anziano o malato; necessità di accertamenti su cose soggette a deterioramento o distruzione) l’istituto dell’incidente probatorio, con riferimento ai minori diviene strumento per realizzare, nella raccolta della prova, l’equilibrio tra le esigenze di protezione del testimone minorenne ed il rispetto del contraddittorio nella formazione della prova stessa. Il quadro degli strumenti per la protezione del minore nel processo, cioè l’audizione a porte chiuse, la sottrazione all’esame incrociato, l’assistenza affettiva di un familiare o di una persona significativa, l’assistenza dei servizi ai sensi dell’art 609 decies c.p., risulta notevolmente arricchito dal meccanismo di assunzione anticipata della prova a richiesta di una delle parti. È da precisare che la persona offesa non riveste la qualità di parte fino alla costituzione di parte civile; essa può solo sollecitare il pubblico ministero a chiedere l’incidente probatorio e non esistono strumenti di impugnazione del diniego del PM a procedere in tal senso. La Corte di Giustizia dell’Unione europea si è recentemente pronunciata, sempre su questione pregiudiziale proposta dall’ufficio gip gup di Firenze, nel senso che tale mancata previsione nel nostro ordinamento non viola la decisione quadro sui diritti delle vittime. L’aspetto maggiormente delicato di questo istituto è costituito dalle modalità con cui avviene l’audizione testimoniale, spesso non direttamente curata dal giudice (per le indagini preliminari o dell’udienza preliminare), ma da parte di un esperto che dal giudice è nominato. La previsione di cui all’art 498 c.p.p., che il giudice nell’esaminare il minore possa avvalersi «del­l’ausilio di un esperto di psicologia infantile», è assai vaga riguardo al contenuto di questo avvalersi. Questo ha comportato lo sviluppo di diverse prassi, non solo in relazione all’età del minore, il che appare del tutto sensato, ma anche in dipendenza di scelte ed approcci differenti da parte degli uffici giudiziari, e a volte di diversi giudici dello stesso ufficio, oltre che in dipendenza dell’ap­proccio e delle convinzioni personali dei singoli esperti di volta in volta [continua ..]


5. L'incidente probatorio: prospettive evolutive dell'ordinamento UE

Come si è precedentemente osservato la materia di cui ci occupiamo è fortemente segnata dal peso della legislazione sovranazionale. Il contesto giuridico europeo è caratterizzato da due elementi fondamentali collegati all’entrata in vigore del trattati di Lisbona: il primo è l’abo­li­zione del terzo pilastro UE, in cui rientrava l’ambito GAI, giustizia e affari interni, e che era caratterizzato in senso internazionalista e non sovranazionale, con normazione che impegnava i singoli Stati a raggiungere determinati obiettivi, ma non incidendo in modo immediato nei loro ordinamenti; il secondo è la costituzionalizzazione della carta di Nizza ed il recepimento nel diritto dell’Unione dei principi CEDU e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In forza di questi elementi oggi dobbiamo fare i conti con una normazione europea sui temi della giustizia delle persone e delle relazioni, compresa la giustizia penale, che sempre più è direttamente efficace nell’ordinamento interno e con il potere del giudice sovranazionale di individuare le norme interne incompatibili con l’ordinamento sovranazionale e quindi da disapplicare. Clamoroso esempio di questa evoluzione, tra i tanti, è stata la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea che ha di fatto aperto le porte delle carceri italiane dichiarando che doveva essere disapplicata la norma che criminalizzava la mancata ottemperanza all’ordine di espulsione da parte dell’immigrato irregolare per contrasto con la direttiva rimpatri dell’Unione. Tornando al nostro tema, è in corso di preparazione una direttiva UE in materia di protezione delle vittime nel procedimento penale che sostituirà la decisione quadro e che a differenza di quest’ultima ha un ben più forte carattere di vincolatività per gli stati membri. La proposta di direttiva, COM(2011), tra le altre cose presenta due elementi degni di nota: a) l’espressa individuazione dei minori e delle vittime di reati sessuali come vittime particolarmente vulnerabili; b) l’obbligo di raccolta delle dichiarazioni del minore fin nella fase di indagine in modo che esse abbiano efficacia probatoria nel processo. L’entrata in vigore della direttiva, così come della ratifica della convenzione i Lanzarote, porranno rimedio alle attuali incertezze e [continua ..]


6. La questione del recupero delle dichiarazioni predibattimentali

Il drammatico problema che si pone attualmente in assenza di una prassi condivisa o di un vincolo normativo a svolgere senza ritardo l’attività di raccolta della prova è dato dalle conseguenze dell’impossibilità sopravvenuta di raccoglierla successivamente. È essenziale, per ragionare su questo problema, tenere conto del fatto che le dichiarazioni che il minore rende al PM o agli ufficiali di polizia dallo stesso delegati, o anche ad un esperto sempre incaricato dal titolare delle indagini, si inquadrano nell’attività di raccolta di informazioni al fine di orientamento delle indagini e di assicurazione della fonte di prova. L’indagato, ovviamente, non ha notizia di questa attività né diritto al contraddittorio. La possibilità che il materiale raccolto in questa fase possa entrare nel dibattimento diventando materiale probatorio a pieno titolo, è pertanto eccezionale e ridotta all’unica ipotesi di cui al­l’art. 512 c.p.p.: quando si tratti di atti di cui è divenuta impossibile la ripetizione per circostanze non prevedibili. Impossibilità in senso oggettivo, quindi ed imprevedibilità dell’evento da parte di chi richiede o ha interesse all’ingresso dell’atto nel dibattimento. La parte che fa la relativa richiesta è, ovviamente, onerata dal dimostrare sia l’impossibilità, sia l’imprevedibilità dell’evento che l’ha generata. Occorre considerare che non vi è alcuna norma che regoli, limiti e fornisca di garanzie di protezione l’escussione del minore da parte del titolare delle indagini, in quanto, come si è detto le garanzie sono tutte spostate in avanti e riferite all’assunzione della prova. Il risultato è che il minore può giungere al dibattimento, come all’incidente probatorio, se questo non si celebra tempestivamente, dopo ripetute dichiarazioni raccolte a verbale di sommarie informazioni testimoniali. Ebbene, non è infrequente che si ponga, nei procedimenti di cui ci occupiamo, il seguente problema: il minore non è stato sentito in incidente probatorio o questo si celebra a lunghissima distanza dai fatti: i servizi che lo seguono, o un professionista, anche incaricato dal giudice, attestano che l’audizione testimoniale costituisce per il minore un rischio di grave sofferenza psichica, oppure [continua ..]


7. Metodologie di esame del minore

Da un esame sommario dei motivi di appello e di cassazione di una grande quantità di sentenza relative ad abusi e maltrattamenti su minori, si evince che le doglianze di chi impugna sono quasi sempre relative alla mancanza di correttezza dell’assunzione della prova testimoniale della persona offesa rispetto alle indicazioni della miglio scienza ed esperienza in tema di testimonianza del minore. La realtà è che difficilmente possono essere gli esperti a dare risposte certe agli operatori del diritto soprattutto quando anche al loro interno sono divisi da visioni ed approcci estremamente differenti. Quel che certamente si deve fare è di considerare come indiscutibili i punti sui quali vi è una posizione largamente condivisa nella comunità scientifica di riferimento, quanto meno per poter chiedere di volta in volta, ad un esperto, i motivi per cui se ne discosta. Il riferimento obbligatorio è costituito da almeno tre documenti, tutti facilmente reperibili anche sull’internet: le linee guida deontologiche dello psicologo forense elaborate dall’associazio­ne italiana di psicologia giuridica; la Carta di Noto, nella versione aggiornata del 2011; ma soprattutto le linee guida della consensus conference intersocietaria sulla testimonianza del minore nel processo penale, che rappresenta certamente l’attuale riferimento scientifico maggiormente accreditato ed autorevole, trattandosi di un documento sottoscritto e pubblicato nel 2010 da ben sei tra associazioni e società scientifiche rappresentative di professionisti esperti di psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza. La dialettica tra operatori del diritto ed esperti, che sono a tutti gli effetti operatori del processo penale, sarà tanto più feconda quanto più fondata su una conoscenza reciproca delle rispettive missionprofessionali nel contesto del procedimento, senza alcuna dinamica di subordinazione o di delega. L’esperto deve rendere un servizio al procedimento, portandovi il suo sapere tecnico, dandone conto rispetto agli standards della comunità scientifica di riferimento e nel rispetto delle regole e delle finalità del procedimento stesso; spetta soprattutto al giudice, ed è interesse delle parti, assicurare tale rispetto.


8. Conclusioni