Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Lo stato di abbandono della giurisprudenza della Cassazione e della Corte EDU (di Alberto Figone (Avvocato in Genova; Direttore scientifico della Scuola di alta Formazione dell’AIAF “Milena Pini”))


SOMMARIO:

1. Generalità - 2. L’assistenza dei genitori e dei parenti - 3. La forza maggiore - 4. La giurisprudenza della Cassazione - 5. La giurisprudenza della Corte EDU - 6. Conclusioni - NOTE


1. Generalità

L’adozione piena c.d. “interna” (ossia di minori che si trovano nel territorio italiano) presuppone la preventiva declaratoria dello stato di adottabilità del minore e l’esito positivo dell’affi­damento preadottivo. In base all’art. 8, 1° comma della l. n. 184/1983, sono dichiarati in stato di adottabilità i minori in situazioni di abbandono, perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi; ciò a condizione che la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio. La nozione di abbandono rappresenta certamente l’aspetto più rilevante e discusso di tutta la problematica adozionale. Già la l. n. 431/1967 (sull’“adozione speciale”), ripresa, nello specifico, senza particolari modifiche da quella n. 184/1983, individuava in tale elemento fattuale il presupposto dell’adozione dei minori. Non era la prima volta tuttavia che l’espressione “abbandono” comparisse in un testo normativo; la legislazione assistenziale anteriore si riferiva piuttosto frequentemente ai minori “abbandonati”, ma erano evidentemente diversi gli effetti: il ricovero in Istituto o, nella migliore delle ipotesi, l’affidamento provvisorio ad un’altra famiglia. La scelta del legislatore è stata quella di non definire in maniera precisa e circostanziata quale sia la condizione del minore in stato di abbandono, preferendo utilizzare una clausola generale, che lasciasse all’interprete una valutazione più adatta alle diverse realtà e alle condizioni del singolo caso concreto. Già in una risalente pronuncia la Corte costituzionale aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma della previgente disciplina che ammetteva l’ado­zione solo per i minori che non avessero raggiunto gli otto anni di età al momento della segnalazione al Tribunale per i Minorenni. La Corte teneva allora a precisare che «avvertita come, a seguito di un bilanciamento tra i diritti della famiglia (“legittima o naturale”) e quelli del minore, la legge avesse predisposto condizioni e procedimenti tali da rendere possibile l’adozione speciale, con i relativi effetti giuridici; solo nei confronti di minori, di cui con le opportune garanzie, sia accertata l’esistenza [continua ..]


2. L’assistenza dei genitori e dei parenti

La situazione di abbandono di un minore può ricorrere sia quando non vi sia una famiglia (e quindi il minore risulti figlio di ignoti, ovvero orfano di entrambi i genitori e privo di parenti), sia quando essa sussista. Nella prima ipotesi, l’abbandono è in re ipsa, e non richiede ulteriori indagini; altrettanto non può dirsi nella seconda. Il comportamento dei genitori, considerato come indice per la rilevazione dello stato di abbandono, può essere commissivo ed omissivo. Quanto al primo vengono in considerazione le forme di violenza su minori: fisica, sessuale, ma anche morale. Si tratta di situazioni di gravità e di durata nel tempo, che assai frequentemente integrano ipotesi di reato (lesioni, maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, incesto). Talora non di violenza si tratta, ma di trasmissione, con l’esempio o la costrizione, di valori del tutto inaccettabili per la nostra società: la spinta al furto, all’accattonaggio, alla prostituzione, il tutto in un contesto dove il giudice deve esercitare con cautela il suo prudente apprezzamento, tenendo conto dell’ambiente in cui il minore vive e delle risorse disponibili. Sta di fatto che anche l’eccesso di cura che il genitore può manifestare verso il figlio può integrare gli estremi dell’abbandono, ove induca il minore in uno stato di totale dipendenza e mancanza di autonomia. Più frequentemente si riscontrano tuttavia comportamenti omissivi: trascuratezza, malnutrizione, pessima cura dell’igiene personale ed ambientale, disinteresse nel seguire il figlio sotto il profilo medico, mancato assolvimento dell’obbligo scolastico. In pratica di gravissime inadempienze agli obblighi che l’art. 147 c.c. impone ai genitori, nei cui confronti nemmeno una pronuncia di decadenza, ovvero di limitazione della responsabilità genitoriale potrebbe costituire un efficace rimedio (anzi, sovente provvedimenti de potestate precedono la declaratoria di adottabilità). Quanto ai parenti tenuti a provvedere al minore, molto si è discusso in ordine alla relativa individuazione. Gli unici soggetti obbligati all’assistenza morale e materiale del minore sono infatti i genitori; un tale obbligo neppure grava su chi è tenuto agli alimenti. L’orientamento giurispru­denziale prevalente fa riferimento ai parenti entro il quarto grado, su presupposto che [continua ..]


3. La forza maggiore

L’abbandono viene scriminato dall’ordinamento quando dipeso da causa di forza maggiore, di carattere transitorio. Si tratta di un fattore esterno al soggetto che si impone alla sua volontà; la causa di forza maggiore nella condotta del genitore non potrà tuttavia rilevare, se stabile e perdurante nel tempo, dovendosi considerare prevalente la tutela del minore. È tuttavia altrettanto poco agevole individuare il requisito della transitorietà, che potrebbe legittimare, semmai, un intervento di tipo differente (si pensi all’affidamento familiare, che di regola non deve superare i due anni, salvo proroga). Secondo la giurisprudenza, lo stato di abbandono non può essere escluso dallo stato di detenzione al quale il genitore sia temporaneamente assoggettato; si tratta infatti di una circostanza volutamente accettata come conseguenza prevedibile del compimento di un atto delittuoso [5]; ovviamente, anche in questo caso, si imporrà una valutazione caso per caso.


4. La giurisprudenza della Cassazione

Una lettura delle sentenze della Corte di Cassazione in ordine alla declaratoria di stato di abbandono può risultare talora poco appagante. Spesso, infatti, vengono censurati in sede di legittimità profili attinenti al merito, come tali destinati ad una pronuncia di inammissibilità, ma anche talora di rigetto [6]. Non mancano peraltro pronunce che hanno rimesso gli atti al giudice a quo per una valutazione più specifica della capacità genitoriale, con particolare riferimento alle possibilità di recupero del rapporto tra il minore ed i genitori, anche a prescindere dalle risultanze di una CTU [7]. In ogni caso, costante è l’affermazione secondo cui l’adozione rappresenta l’extrema ratio, in una situazione di irreversibilità e di incapacità dei genitori di allevare e curare i figli [8]. Ciò in nome del principio sancito nell’art. 1, l. n. 184/1983 che riconosce ad ogni bambino il diritto di crescere nella propria famiglia. La suddetta affermazione, presente da tempo nella giurisprudenza e nella dottrina, trova oggi un suo preciso referente normativo nell’art. 15, l. n. 184/1983, così come novellato con il d.lgs. n. 154/2013. La situazione di abbandono va, infatti, dichiarata quando le prescrizioni impartite ai genitori, ovvero ai parenti del minore, sono risultate colpevolmente inadempienti, ovvero è provata l’irrecuperabilità delle capacità genitoriali in tempo ragionevole. Dunque, si rende necessaria una valutazione prognostica sulla recuperabilità delle funzioni genitoriali, da parametrarsi ad un tempo ragionevole (e la ragionevolezza deve essere necessariamente accertata caso per caso). È di tutta evidenza come i tempi di recupero degli adulti siano ben differenti da quelli di un minore. Per quanto attiene alla posizione dei parenti, particolare importanza viene attribuita ai nonni. Se è costante nella giurisprudenza della Cassazione l’affermazione per cui occorre la sussistenza di rapporti affettivi significativi preesistenti (ossia rapporti attuali e reciproci, idonei a denotare un legame affettivo forte e duraturo che si esprima in manifestazioni di interesse e assistenza effettiva), sta di fatto che detti rapporti non sarebbero configurabili quando l’abbandono fosse coevo alla nascita. In questo caso può rilevare anche la concreta manifestazione di [continua ..]


5. La giurisprudenza della Corte EDU

5. La giurisprudenza della Corte EDU Le suddette conclusioni in linea di diritto sono state da tempo già affermate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha evidenziato l’eccezionalità dell’istituto dell’adozione quale misura contrastante con il diritto primario del minore alla crescita nell’ambito della propria famiglia di origine, nel rispetto dell’art. 8 CEDU. La dichiarazione di adottabilità risulta pertanto legittima solo se soddisfa le condizioni cumulative di essere prevista dalla legge, ossia di perseguire un scopo meritevole e di essere necessaria in una società democratica. La nozione di necessità implica che l’ingerenza si basi su di un “bisogno sociale imperioso” e sia “proporzionata”, posto che l’art. 8 non si limiti ad ordinare allo Stato di astenersi da tali ingerenze, prevedendo anche obblighi positivi attinenti ad un effettivo rispetto della vita privata e familiare (I giudici di Strasburgo richiedono quindi che le misure che comportano la rescissione dei legami fra un minore e la sua famiglia siano applicate solo in casi eccezionali; ciò può avvenire allorché i genitori siano “particolarmente indegni” (ovvero in nome di esigenze superiori del minore, che non possono certo ridursi nell’interesse all’inserimento di una famiglia “migliore” di quella biologica). Nello stesso tempo si è evidenziato come in questo tipo di procedimenti, l’adeguatezza di una misura si valuti a seconda della rapidità della sua attivazione, posto che il decorso del tempo può avere conseguenze irreparabili sui rapporti fra il minore ed il genitore con lui convivente. Più specificamente si sono ritenute contrarie al diritto al rispetto della vita privata: a)la dichiarazione di adottabilità di tre bambini, sulla scorta delle relazioni dei Servizi Sociali e della direzione della comunità in cui erano stati inseriti, senza che i genitori avessero posto in essere comportamenti gravemente censurabili e senza che i giudici avessero motivato adeguatamente sulle difformi conclusioni di una CTU[11]; b)l’allontanamento, in funzione di una successiva adozione, del minore, nato all’estero da una maternità surrogata, senza peraltro alcun legame genetico con alcuno dei genitori risultanti nell’atto di nascita straniero. Si tratta della [continua ..]


6. Conclusioni

I principi sopra esposti sono stati ribaditi dalla Corte di Cassazione in una recente decisione, avente ad oggetto la revocazione di altra pronuncia resa in sede di legittimità, di cui la stessa opinione pubblica si era molto interessata (ci si riferisce al caso della coppia di genitori avanti negli anni, “colpevoli” di aver lasciato la figlia neonata sola in auto nel tempo necessario per il disbrigo di veloci incombenti) [18]. Detta pronuncia, come del resto già quella revocata, tiene ad evidenziare come l’età dei genitori non possa costituire certo di per sé un elemento su cui si possa parametrare l’esistenza di uno stato di abbandono del figlio, essendo ben diversa la rilevanza dell’età degli aspiranti genitori adottivi ai fini dell’accesso all’adozione. Nel contempo evidenzia come la declaratoria dell’abbandono postuli un’indagine a tutto tondo, circa l’emer­gere di una situazione altamente pregiudizievole per il minore. In altri termini l’adozione tende sempre più ad essere un rimedio estremo, in tutte quelle situazioni di mancanza totale di assistenza per il minore, senza che possa essere in alcun modo giustificabile da carenze economiche e funzionali del welfare. Del resto, proprio la Corte di Strasburgo, nell’ultima sentenza richiamata ha rilevato come gli Stati dovrebbero adottare adeguate politiche sociali di sostegno alle famiglie più povere e numerose, per garantire il benessere dei minori, che devono poter mantenere i rapporti con le famiglie biologiche.


NOTE