Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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La genitorialità di intenzione alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 230/2020 (di Gabriella de Strobel, Avvocata in Verona, Responsabile AIAF Verona, Segretario Nazionale AIAF)


L’Autrice mette in evidenza le diverse interpretazioni del diritto alla genitorialità del singolo emerse tra la sent. n. 230/2020 e la sent. n. 162/2014 della Corte costituzionale.

The Author casts light on the various interpretations of the single person’s right to parenthood emerging bet­ween Constitutional Court decision no. 230/2020 and decision no. 162/2014.

Keywords: law n. 40/2004 – protection of parenthood – medically assisted procreation – right to parenthood.

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa e le tecniche di PMA - 3. Questioni di legittimità rimesse alla Corte - 4. Precedenti giurisprudenziali e decisione della Corte - 5. Riflessioni: la contraddizione della Corte costituzionale - NOTE


1. Il caso

La sentenza in esame tratta il caso di una donna che, unita civilmente ad un’altra, avviava, con il consenso di quest’ultima, una pratica di fecondazione medicalmente assistita all’estero da cui nasceva un bambino in Italia. Le donne chiedevano, pertanto, di essere registrate entrambe come madri del minore nell’atto di nascita, ricevendo, tuttavia, il rifiuto dell’ufficiale di stato civile, che annotava soltanto il nome della madre biologica. Da ciò la decisione delle due donne di adire il Tribunale per vedersi riconosciute entrambi come madri.


2. La normativa e le tecniche di PMA

In Italia, la procreazione medicalmente assistita è regolamentata dalla l. n. 40/2004 [1]. L’obietti­vo di tale legge è reso chiaro dall’art. 1 che così dispone: «Al fine di favorire la soluzione dei pro­blemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Per poter accedere alla procreazione medicalmente assistita sono necessari specifici presupposti. Infatti, ad essa possono ricorrere solo le persone che siano maggiorenni, di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi [2]. In Italia, la procreazione medicalmente assistita eterologa, fino a qualche anno fa, era assolutamente vietata, con la conseguenza che non era mai possibile ricorrere a ovuli o a semi di donatori esterni alla coppia che desiderava avere un figlio [3]. Sulla questione, tuttavia, è intervenuta la Corte costituzionale che, con sent. n. 162/2014, ha parzialmente modificato l’impianto della l. n. 40/2004, partendo dal presupposto che «le questioni toccano temi eticamente sensibili, in relazione ai quali l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio delle contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene «primariamente alla valutazione del legislatore» ma resta ferma la sindacabilità della stessa, al fine di verificare se sia stato realizzato un non irragionevole bilanciamento di quelle esigenze e dei valori ai quali si ispirano». La Consulta ha, in particolare, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, 3° comma, della l. n. 40/2004 nella parte in cui stabilisce per la coppia il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assoluta ed irreversibile [4]. A parere della Consulta, infatti, vietare la fecondazione eterologa colliderebbe con gli artt. 2, 3 e 31 Cost., ponendosi in netto contrasto con il diritto a diventare genitori ed a formare una famiglia che abbia anche dei figli, diritto che si manifesta come una forma di [continua ..]


3. Questioni di legittimità rimesse alla Corte

A seguito del ricorso depositato, l’adito Tribunale di Venezia sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, 20° comma, della l. n. 76/2016 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) [9] e dell’art. 29, 2° comma, del d.p.r. n. 396/2000 [10] e successive modificazioni (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, 12° comma, della l. 15 maggio 1997, n. 127), in riferimento agli artt. 2, 3, 1° e 2° comma, 30 e 117, 1° comma, Cost. [11], quest’ultimo in relazione all’art. 24, par. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda­mentali (CEDU) e alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo [12]. Portata anche all’attenzione della Corte la parte dell’art. 1, 20° comma della legge sulle unioni civili – in cui la tutela delle coppie di donne unite civilmente è circoscritta ai «soli diritti … e do­veri nascenti dall’unione civile» [13] – e quella dell’art. 29, 2° comma, del d.p.r. citato – che consente di indicare come genitore solo quello “legittimo” o quelli che hanno dato il consenso ad essere nominati e non anche le donne unite civilmente tra loro, che hanno fatto ricorso (all’e­stero) a procreazione medicalmente assistita. A detta del Tribunale rimettente, le disposizioni citate violerebbero: a) l’art. 2 Cost., poiché l’inapplicabilità delle regole sulla genitorialità intenzionale a coppie di donne unite civilmente precluderebbe loro il diritto alla genitorialità, diritto fondamentale dell’individuo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; b) l’art. 3, 1° e 2° comma, Cost., sotto un duplice profilo: da un lato, legittimando un’irragione­vole disparità di trattamento basata sull’orientamento sessuale e sul reddito: viene infatti privilegiato chi dispone di mezzi economici per concepire ma anche per far nascere un figlio al­l’estero e richiedere la trascrizione dell’atto di nascita straniero in Italia; dall’altro, [continua ..]


4. Precedenti giurisprudenziali e decisione della Corte

Diversi i precedenti giurisprudenziali citati dalla Consulta: in primis la propria recente pronuncia, secondo cui l’esclusione delle coppie dello stesso sesso dalle tecniche di PMA non è fonte di distonia né di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale (sent. n. 221/2019) [14]. La stessa Corte di Cassazione, pronunciandosi in una fattispecie analoga a quella in esame, ha negato la modifica dell’atto di nascita di un minore nato in Italia, proprio in ragione del divieto di ricorso alla PMA per coppie dello stesso sesso, vigente in Italia (Corte di Cassazione, Sez. I civ., sent. 3 aprile 2020, n. 7668) [15]. Una tesi confermata anche dalla Corte EDU, secondo cui una legge nazionale che riserva il ricorso all’inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendole finalità terapeutica, non può dar luogo ad un’ingiustificata e rilevante disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali, proprio perché le due situazioni non sono tra loro paragonabili (Corte EDU, sent. 15 marzo 2012, Gas e Dubois c. Francia) [16]. La Corte, in particolare, ha ricordato i principi generali, secondo i quali le differenze di trattamento basate «sull’orientamento sessuale devono essere giustificate da ragioni particolarmente serie» e che «il margine di apprezzamento di cui godono gli Stati per determinare se e in quale misura le differenze tra situazioni analoghe da altri punti di vista per giustificare un diverso trattamento è di norma grande quando si tratta di prendere delle misure generali in materia economica o sociale». La scelta operata dal legislatore – osserva la Consulta – è stata quella di riconoscere piena dignità di vita familiare alle coppie omosessuali, rendendo loro applicabili le norme in materia ma­trimoniale ma non quelle relative al rapporto di filiazione. Una scelta che presuppone, quindi, la convinzione che il nucleo familiare composto da «due genitori di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile, rappresenti il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato». Scelta che, a detta della Corte, non viola gli artt. 2 e 30 Cost. perché l’aspirazione della madre intenzionale ad essere genitore non assurge al rango di diritto fondamentale nell’accezione di cui all’art. 2. [continua ..]


5. Riflessioni: la contraddizione della Corte costituzionale

Ciò che è evidente è che nel nostro ordinamento non è riconosciuto il diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali, tenuto conto che la l. 20 maggio 2016, n. 76 – sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso – non contiene una disciplina relativa ai profili della filiazione, anzi, la esclude, contemplando l’applicazione di altre norme, ma non quelle sulla filiazione. L’applicazione delle norme vigenti sull’adozione non legittimante ed in casi particolari ha consentito, peraltro, alla giurisprudenza di riconoscere la praticabilità dell’adozione in fa­vore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore, ai sensi dell’art. 44, 1° comma, lett. d), della l. 4 maggio 1983, n. 184, in questo modo valorizzando prioritariamente la tutela dell’interesse del minore. Sulla stessa linea anche la l. 19 febbraio 2004, n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita che, all’art. 5, consente solo alle «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi», restando così escluse le coppie omosessuali che la praticano all’estero, ponendosi poi il problema del riconoscimento del rapporto di filiazione con la madre intenzionale in Italia. Fermo restando, quindi, che il legislatore italiano non riconosce alcun diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali, tuttavia, è stata la stessa Corte costituzionale, con la precedente sent. n. 162/2014, che, nel dichiarare costituzionalmente illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, imposto dalla l. n. 40/2004 all’art. 4, 3° comma, ha assunto a categoria di fondamentale e assoluto il diritto di “autodeterminazione della coppia”, non espressamente previsto in Costituzione. È, infatti, già in questa sentenza, con la possibilità di ricorrere alla tecnica di fecondazione eterologa, che la Corte introduce una nuova idea di famiglia connessa al diritto individuale, discostandosi completamente dallo scopo della l. n. 40/2004 – che la escludeva – e divenendo essa stessa legislatore, anziché giudice del legislatore. È una sentenza “storica”, nel senso che, aprendo la strada alla fecondazione eterologa, cioè alla fecondazione con gamete maschile o ovulo femminile di donatore esterno [continua ..]


NOTE