Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Unioni civili e percorsi di genitorialità (di Alberto Figone, Avvocato in Genova, Membro giunta esecutiva AIAF)


L’Autore affronta il tema della filiazione all’interno della coppia omoaffettiva, evidenziando l’importan­za dell’intervento giurisprudenziale, che ha consentito di attribuire una veste legale al genitore intenzionale, nel rispetto di un approccio condiviso alla genitorialità. Sottolinea comunque la necessità di un intervento del legislatore, per evitare situazioni pregiudizievoli per i figli e discriminazioni tra i genitori, in base al loro orientamento sessuale. Ricorda come la stessa Corte costituzionale abbia recentemente sollecitato tale intervento, oramai indifferibile.

The Author deals with the theme of filiation within the homoaffective couple, emphasising the importance of the intervention of case law, which has allowed a legal guise to be attributed to the intended parent in keeping with a shared approach to parenthood. The author at any rate stresses the need for legislative intervention to prevent situations detrimental to the children and any discrimination between parents based on their sexual orientation. He recalls how the Constitutional Court itself recently urged intervention of this kind, which can be put off no longer.

Keywords: homoparentality – civil unions – surrogacy – medically assisted procreation.

SOMMARIO:

1. Una premessa - 2. L’omogenitorialità - 3. La gestazione per altri - 4. L’applicazione dell’art. 44, l. n. 184/1983 - 5. L’evoluzione giurisprudenziale - 6. Le battute d’arresto - 7. Le pronunce nn. 32 e 33/2021 della Corte costituzionale - 8. Conclusioni - NOTE


1. Una premessa

Le più recenti indagini demoscopiche evidenziano che, nel nostro Paese, le nascite sono in calo costante da anni e nel 2020, complice anche l’inizio della pandemia, hanno raggiunto il minimo storico dall’Unità d’Italia. Non è certo questa la sede per cercare di individuare le cause del fenomeno, comunque molto diversificato sul territorio nazionale. In molte regioni, infatti, da tempo il numero dei deceduti risulta superiore a quello dei nati. Nel contempo si assiste ad una maggiore aspirazione alla genitorialità proprio da parte di quelle persone impossibilitare a procreare in modo fisiologico (si pensi ai single ovvero alle coppie del medesimo sesso). In questi anni si è assistito ad una progressiva valorizzazione di percorsi genitoriali non convenzionali, da parte di una giurisprudenza sempre più attenta ai precetti costituzionali e alla disciplina eurounitaria, ma soprattutto ai principi espressi alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e alla loro interpretazione da parte della Corte di Strasburgo.


2. L’omogenitorialità

L’introduzione delle unioni civili, quale formazione sociale di diretta attuazione degli artt. 2 e 3 Cost., di cui alla l. n. 76/2016, come pure la (meno felice) contestuale disciplina delle convivenze di fatto, ha ufficializzato l’esistenza di più modelli familiari, da declinarsi in relazione di principi di libertà personale, contro ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale, sul genere o su convinzioni soggettive. In particolare, l’unione civile tra persone dello stesso sesso rappresenta, come noto, un istituto simmetrico al matrimonio, con l’estensione della relativa disciplina, pur con limiti di non poco momento (si pensi solo all’impossibilità per quella coppia di accedere all’adozione piena, facoltà rimasta di appannaggio esclusivo della coppia eterosessuale, sulla base del vetusto brocardo dell’imitatio naturae). Chi è a contatto ogni giorno, per ragioni professionali, con situazioni di crisi di coppie “normocomposte” con figli, ben può verificare come non sia la differenza di genere che rende quelle coppie migliori o più accudenti e sensibili verso le esigenze della prole rispetto a quelle tra persone dello stesso sesso, a vario titolo investite di una genitorialità, anche solo sociale. Anzi queste ultime persone, proprio perché divenute genitori a seguito di percorsi alternativi alla natura, spesso non agevoli, hanno per lo più un bagaglio (anche solo teorico) di preparazione al relativo ruolo certamente non inferiore a quelle, la cui genitorialità consegue ad un rapporto sessuale, magari consumato solo per soddisfare un piacere personale, forse neppure condiviso da entrambe. Del resto, la letteratura americana, che ha già avuto occasione di studiare il fenomeno, esclude che, in via generale, vi possano essere ricadute sui figli, per essere nati e cresciuti in un contesto “omogenitoriale” [1].


3. La gestazione per altri

Gli strumenti, che la scienza medica e quella giuridica offrono alla coppia same sex per realizzare un progetto di genitorialità, sono diversi: ciò a prescindere dal fatto che quella coppia abbia contratto o meno un vincolo formale (unione civile, ovvero matrimonio in una delle Nazioni che lo ammettono, salvo il riconoscimento in Italia come unione civile). Permane peraltro a tutt’oggi una disparità di trattamento, proprio basata sul sesso, che favorisce la coppia lesbica e pregiudica quella gay. L’impossibilità fisiologica per l’uomo di gestire la gravidanza e partorire impone alla coppia maschile, che desideri un figlio proprio, il ricorso alla surrogazione di maternità o gestazione per altri (che, con terminologia greve, viene talora individuata come affitto dell’utero), espressamente vietata dall’art. 12, l. n. 40/2004, come pure da altri ordinamenti di civil law [2]. Fatto sta che questa tecnica viene considerata legale e disciplinata in maniera precisa ed analitica in molti ordinamenti, che contemperano il rispetto delle donne (colei che mette a disposizione i propri ovociti e chi accoglie nel proprio utero l’embrione, frutto di fecondazione in vitro, e porta a termine la gravidanza), con quello del nato. È sufficiente richiamare la normativa del Canada e di diversi Stati degli USA che conoscono contratti di maternità surrogata, con reciproche prestazioni tra le parti, con causa gratuita (a prescindere dalle spese e dal lucro cessante per la madre) e soprattutto con un accertamento dei requisiti soggettivi della madre portante [3].


4. L’applicazione dell’art. 44, l. n. 184/1983

In Italia le prime pronunce che hanno attribuito una veste giuridica alla c.d. genitorialità (rectius: maternità) sociale nella coppia omoaffettiva sono state rese dal Tribunale minorile di Roma, in allora presieduto dalla Dr.ssa Cavallo. Si è così è pronunciata l’adozione in casi particolari ex art. 44, lett. d) della l. n. 184/1983, del figlio che una donna aveva concepito all’estero tra­mite fecondazione assistita e poi riconosciuto alla nascita, in favore della compagna della madre, che con quella aveva condiviso e sostenuto il progetto di genitorialità. Come è noto, la nor­ma subordina tale forma di adozione (impropriamente qualificata in Italia con un errato anglicismo, come stepchild adoption) all’impossibilità di affidamento preadottivo; l’operatività della regula juris è stata estesa anche ad un’impossibilità di fatto e non solo di diritto, in situazioni di carenza degli estremi di un abbandono morale e materiale del minore [4]. Questa interpretazione, condivisa anche dalla locale Corte d’Appello [5], ha avuto in breve tempo l’autorevole avallo della Corte di Cassazione, intervenuta, tra l’altro, poco dopo l’entrata in vigore della citata l. n. 76/2016 [6]. Il 20° comma dell’unico articolo della legge, con portata generale, prevede che in tutte le previsioni normative, regolamentari e nei contratti di lavoro, il richiamo al matrimonio, ovvero ai coniugi debba estendersi anche all’unione civile, nonché alle parti della stessa, con la sola eccezione della disciplina del codice civile e di quella di cui alla l. n. 184/1983 in tema di adozione dei minori, facendosi peraltro salvo quanto previsto e consentito dalle norme vigenti (ossia dal c.d. “diritto vivente”). Da quel momento numerose sono state le sentenze dei giudici minorili che hanno riconosciuto, in termini strutturati giuridicamente, la c.d. genitorialità sociale proprio applicando l’art. 44 cit. Assai meno frequenti (e spesso osteggiate) le decisioni in tema di genitorialità sociale maschile, per le ragioni sopra evidenziate, anche se non mancano pronunce felici nelle quali il parametro utilizzato (l’accertamento dell’interesse del minore all’adozione, che il Tribunale minorile deve verificare) prescinde dal sesso dei ricorrenti [7].


5. L’evoluzione giurisprudenziale

Le situazioni che si sono presentate all’esame del giudice in questi ultimi anni sono diversificate. Basti pensare che la Corte di Cassazione ha ritenuto trascrivibile in Italia, perché non contrario all’ordine pubblico, un atto di nascita straniero (formato in Spagna, dove si era verificata la nascita), portante l’indicazione di due madri, in allora coniugate: quella che aveva messo a disposizione il proprio ovocita, fecondato con seme di donatore anonimo, e quella (la compagna della prima) che aveva accolto in grembo l’embrione e portato avanti la gravidanza [8]. Si trattava dunque di un bimbo privo di legame genetico con colei che lo aveva partorito. Ci si è chiesti se le medesime conclusioni potessero applicarsi in caso di nascita in Italia, fermo restando il concepimento all’estero (la l. n. 40/2004 infatti legittima alla procreazione assistita solo le coppie, sposate o conviventi, composte da persone di sesso differente). La giurisprudenza di merito ha risposto in senso positivo, per evitare indebite discriminazioni in ragione di un elemento esterno, quale il luogo di nascita [9]. Gli stessi giudici di merito, spingendosi oltre, hanno talvolta affermato potersi formare anche in Italia un atto di nascita attributivo della genitorialità al c.d. genitore d’intenzione, malgrado l’art. 250 c.c. faccia ancora riferimento al padre ed alla madre quale autori del riconoscimento [10]. Diversa invece la posizione dei giudici di legittimità [11]. Né va sottaciuto come la Corte di Cassazione abbia riconosciuto la trascrizione in Italia della rettifica di un atto di nascita di un minore, avvenuta all’estero, in cui era stata indicata come secondo genitore la compagna (italiana) della donna (gallese) che aveva partorito, senza che la stessa avesse legame genetico di sorta con il bambino, nato con la tecnica della fecondazione con seme di donatore anonimo [12].


6. Le battute d’arresto

Nel percorso sopra rappresentato non sono mancate le battute d’arresto, espressione ancora di una (ormai inaccettabile) visione della procreazione legata ad un rapporto sessuale. Ci si riferisce in particolare ad una (ben nota) sentenza del 2019 delle Sezioni Unite, che avevano escluso potersi trascrivere un atto di nascita estero in cui risultavano genitori due uomini (colui che aveva donato il proprio seme destinato alla formazione di un embrione, la cui gestazione era stata delegata ad una madre surrogata, ed il coniuge di lui) [13]. Ciò sulla scorta di un’esegesi ermeneutica della nozione di ordine pubblico, che si auspicava essere relegata a risalenti repertori giurisprudenziali e che comunque non trovasse spazio operativo in settori coinvolgenti interessi personali tanto rilevanti quali quello della filiazione. Con la sent. n. 221/2019 la Corte costituzionale si è allineata alla posizione delle Sezioni Unite, in un giudizio in cui si dubitava della legittimità del divieto di accesso della copia omoaffettiva alle tecniche di PMA [14]. La motivazione esprime principi, eccessivamente rigorosi nella ricerca delle ragioni che riescano a rendere compatibile la l. n. 40/2004 con i precetti costituzionali e convenzionali: i) la PMA non può rappresentare una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati; ii) l’infertilità “fisiologica” della coppia omoaffettiva «non è affatto omologabile all’infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive»; iii) una famiglia, composta da due genitori di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzial­mente fertile rappresenta «in linea di principio “il luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato», senza che ciò possa ritenersi arbitrario o irrazionale; iv) al momento dell’entrata in vigore della l. n. 40/2004, il grado di accettazione della c.d. omogenitorialità, nell’ambito della comunità sociale, non trovava “un sufficiente consenso” (ma il ruolo della Consulta è solo quello di ricercare la ratio legis, in relazione al momento storico e culturale in cui la legge è stata emessa, o non piuttosto quello di offrire [continua ..]


7. Le pronunce nn. 32 e 33/2021 della Corte costituzionale

Pochi mesi fa sono state depositate le sentt. n. 32 e 33/2021, con le quali la Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi sul riconoscimento dello status filiationis nei confronti del genitore d’intenzione, nel caso di nascita a seguito di ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita non consentite dal nostro ordinamento, ovvero nel caso di ricorso alla gestazione per altri [16]. In entrambi i casi, la Consulta ha riconosciuto espressamente l’esistenza di un grave vuoto nor­mativo in materia, auspicando un sollecito intervento da parte del legislatore. Se dunque, nelle più recenti sentenze in materia (n. 221/2019 e n. 230/2020), la Corte si era limitata a ribadire che la scelta di normare l’omogenitorialità restava riservata alla discrezionalità del legislatore, non sussistendo nella materia alcun divieto di matrice costituzionale, in questo caso si spinge oltre, riconoscendo la doverosità di un intervento del legislatore e formulando al riguardo un monito. Esso è forse più sfumato nella sent. n. 33/2021 (relativa ad un caso di doppia paternità, a fronte della questione di legittimità di cui si è dato atto in precedenza), ove la Corte definisce “ormai indifferibile” l’individuazione di strumenti di tutela della posizione dei nati. Esso è invece è declinato in termini particolarmente netti nella sent. n. 32/2021, laddove la Corte precisa che «non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore» [17]. Nella specie si discuteva sulla legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9, l. n. 40/2004 e 250 c.c., per non consentire l’ordinamento la formazione di un atto di nascita con l’indicazione di due madri (colei che si era sottoposta a fecondazione assistita, andata a buon fine, utilizzando propri ovociti, e la propria compagna che aveva condiviso il progetto di genitorialità). In entrambe le pronunce si afferma poi con chiarezza l’insufficienza dell’attuale disciplina del­l’adozione in casi particolari, ai fini di assicurare piena tutela alle bambine e ai bambini nati in coppie omogenitoriali, con particolare riguardo alla pienezza degli effetti, al superamento della necessità del consenso del genitore legale, nonché ad una maggiore [continua ..]


8. Conclusioni

A questo punto non rimane che confidare nell’intervento del legislatore, la cui eventuale inerzia potrebbe non escludere un intervento “demolitivo” della Corte costituzionale. Vero è che in una società come quella attuale non è ammissibile, né tollerabile rimanere sordi alle richieste di costituzione di una famiglia da parte delle coppie dello stesso sesso, ovvero disconoscere diritti ai figli in ragione del modo in cui sono venuti al mondo. Il rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU impone un cambiamento della disciplina e, prima ancora, della mentalità, contro ogni forma di discriminazione legata al genere e all’orientamento sessuale.


NOTE