Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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La tutela dei minori nell'età del consenso digitale. Un approccio gius-cibernetico (di Enrico Maestri. Professore associato di Filosofia del diritto nell’Università degli Studi di Ferrara)


L’autore fa un’analisi del mondo digitale mostrando come risulti difficile individuare un corretto inquadramento della natura giuridica del cyberspazio.

Dal punto di vista giuridico, Internet non è un soggetto; la realizzazione dei vari rapporti telematici in Rete richiama l’immagine di un luogo dove si instaurano relazioni commerciali, personali o in cui vengono commessi atti illeciti.

In che misura effettivamente il diritto regoli il comportamento nel cyberspazio è una questione a sé.

Il cyberspazio è uno spazio distinto e diverso dallo spazio reale, in cui le ormai delegittimate autorità pubbliche dei luoghi reali sono sostituite dagli utenti della Rete, che dettano per se stessi regole atte a realizzare i loro desideri e bisogni.

L’assenza di frontiere fisiche nel cyberspazio determina il venir meno della territorialità, carattere intrinseco di un ordinamento giuridico, sicché appare impossibile delimitare l’ambito di operatività delle norme statali, nel cyberspazio.

L’autore rivolge poi uno sguardo particolare all’approccio dei minori ad internet e conclude osservando che finché il legislatore continuerà ad immaginare una perfetta simmetria tra azioni offline e azioni online, nessuna normazione preventiva risulterà efficace: il confine tra offline e online potrà risultare netto solo agendo sulle scelte di design degli spazi virtuali su Internet.

The author analyzes the digital world, showing how it is difficult to find a proper framework for the juridical nature of cyberspace.

From the legal perspective, Internet is not a subject; the development of various online telematicrelationships calls to mind the image of a place where commercial or personal relations are established, or in which unlawful acts are committed.

To what extent law actually regulates behaviour in cyberspace is a question apart.

Cyberspace is a space distinct and different from real space, in which the places’now delegitimized public authorities have been supplanted by the Internet’s users, who dictate for themselves rules suitable for realizing their needs and desires.

There are no physical boundaries in cyberspace, which means there is no territoriality, an intrinsic trait of a legal system. This makes it seemingly impossible to delimit the sphere of operation of state regulation of cyberspace.

The author then focuses particular attention on minors’approach to Internet, and concludes by observing that so long as lawmakers continue to imagine a perfect symmetry between offline and online actions, no preventive legislation will be effective: the boundary between offline and onlinemay become clear only by acting upon the design choices of virtual spaces on the Internet.

SOMMARIO:

1. Le architetture normative del Web - 2. Code is law - 3. Minori e intimità digitale - 4. Conclusione - NOTE


1. Le architetture normative del Web

Nonostante risulti difficile individuare un corretto inquadramento della natura giuridica del cyberspazio [1], secondo i sostenitori dell’approccio normocentrico (law-based approach) il diritto continua a disciplinare compiutamente le attività digitali di ogni cybernauta. Internet rinvia all’immagine di uno spazio virtuale, in cui la difficoltà risiede tanto nel definire le relazioni tra spazio reale e virtuale tanto nello stabilire come predisporre un diritto della Rete; esso, infatti, non può essere ancorato a un luogo territoriale. Conseguentemente, occorre individuare linee di confine non più fisiche, ma inevitabilmente logiche e concettuali [2]. Ciononostante, è pur vero che dagli inizi degli anni ’90 ogni azione compiuta in Rete ha una disciplina di riferimento, spesso corredata da sanzioni anche gravi. Non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo l’evoluzione del diritto sulle nuove tecnologie ha via via normato tutti gli aspetti della vita digitale e dei comportamenti online, arrivando a toccare qualsiasi ambito. Dunque, secondo i sostenitori del law-based approach, ogni attività che si svolge in Rete è disciplinata da una norma cui occorre prestare attenzione, perché «la Rete è un luogo profondamente concreto e capace di accogliere nel suo seno, nel bene e nel male, le più umane esigenze» [3]. Internet è, perciò, sia un insieme di norme sia una struttura dalla logica interna fondata su regole tecniche. Dal punto di vista giuridico, Internet non è un soggetto; la realizzazione dei vari rapporti telematici in Rete richiama l’immagine di un luogo dove si instaurano relazioni commerciali, personali o in cui vengono commessi atti illeciti. In che misura effettivamente il diritto regoli il comportamento nel cyberspazio è una questione a sé. Il diritto, comunque sia, «continues to threaten an expected return. Legislatures enact, prosecutors threaten, courts convict» [4]. Il cyberspazio è di per sé uno spazio del mondo reale, non solo perché da quest’ultimo può essere regolato, ma soprattutto perché gli utenti del cyberspazio vivono nella realtà: «Cyberspace is not, and never could be, the kingdom of mind; minds are attached to bodies, and bodies exist in the space of the world. And [continua ..]


2. Code is law

Internet rappresenta un universo di flussi e di attriti privo di qualsivoglia governance estranei ai propri utenti: basti pensare che, allo stato attuale, circa 30 corporations controllano il 90% del traffico mondiale della rete. Gli Internet Service Provider (ISP), vera e propria spina dorsale della rete, preferiscono l’autogestione e l’autoregolamentazione a qualsiasi forma statale e sovranazionale di controllo giuridico [20]. Gli Stati, nel tentativo di riaffermare la propria sovranità digitale, cercano di monitorare, filtrare o proteggere i flussi digitali, ma i dati di Internet «sono replicabili all’infinito ed esistono in molteplici luoghi allo stesso tempo. Essi possono essere reindirizzati o inoltrati illegalmente a determinati destinatari, mentre i riceventi hanno la possibilità di eluderli, come pure di accedervi» [21]. Sulla base di tali premesse e in contrapposizione al riduzionismo normativistico, i cui sostenitori ritengono che il diritto continui a disciplinare compiutamente le attività digitale di ogni utente, si intende difendere la tesi che il code supplisce alle carenze endogene del diritto. Lo sviluppo della Rete, d’altro canto, non è stato accompagnato da un enforcement giurisdizionale adeguato alla tutela dei nuovi diritti informatici; pur tuttavia le capacità tecnologiche e la progettazione dei sistemi informatici impongono ex ante regole sanzionatorie ai partecipanti. L’assenza di frontiere fisiche nel cyberspazio determina il venir meno della territorialità, carattere intrinseco di un ordinamento giuridico, sicché appare impossibile delimitare l’ambito di operatività delle norme statali. Spesso sulla base della sviante analogia tra attività offline e attività online si applica il diritto internazionale privato: questo succede ad esempio relativamente alle transazioni online. Ma ancora una volta, appena si tenta di applicare la regola secondo la quale le persone domiciliate in uno degli stati contraenti indipendentemente dalla loro nazionalità saranno sottoposte alla giurisdizione dello stato del loro domicilio, ci si accorge che questo test non vale per Internet, la cui indeterminatezza geografica pare chiaro che la parola “domicilio” poco si addice al mondo di Internet. Facendo leva [continua ..]


3. Minori e intimità digitale

Ad avviso di Levmore e Nussbaum, Internet viene banalmente descritto come un luogo virtuale dove l’uomo è in grado di esercitare la libertà al massimo grado. Le sofisticate tecnologie con basse barriere all’accesso dei contenuti digitali incantano sia i libertari sia i comunitaristi, poiché consentono la divulgazione istantanea di informazioni a milioni di utenti. I regolatori, al fine di garantire sempre più la libertà di parola, promulgano leggi come il Communications Decency Act, che limita de facto la responsabilità giuridica dei service providers di Internet nell’atti­vità di divulgazione delle informazioni immesse in Rete, qualsiasi contenuto esse abbiano. Tuttavia, un Internet non regolamentato è un terreno fertile per la diffusione e l’agevolazione di comportamenti illeciti: gli abusi perpetrati attraverso la comunicazione di contenuti indecenti ed offensivi sono frutto di scelte sociali, tecnologiche e giuridiche [38]. Nell’ambito giuridico statunitense, laddove sia in gioco la tutela dei minori, qualunque tipo di discorso, ritenuto accettabile in normali circostanze, potrebbe essere vietato. La Corte Suprema ha infatti evidenziato il forte interesse pubblico nella tutela del benessere fisico e psicologico dei minori. Qualunque restrizione in materia, però, dev’essere compiuta «by narrowly drawn regulations without unnecessarily interfering with First Amendment freedoms» [39]; ciò significa che si devono sempre tenere presenti le libertà garantite dal Primo Emendamento, evitando di interferire con esse quando non sia strettamente necessario. È lecito, pertanto, vietare la vendita ai minori di materiale potenzialmente dannoso, benché inoffensivo laddove destinato ad un adulto. Allo stesso modo, durante le ore del giorno in cui è possibile che i bambini siano parte dell’audience, è lecito proibire la diffusione via radio o televisione di contenuti trasmessi con linguaggio indecente. Tuttavia, la capacità del Governo di vietare contenuti per la protezione dei minori non è illimitata; dimostrazione ne è il caso Reno v. American Civil Liberties Union [40]. In quell’occasione la Corte Suprema aveva dichiarato incostituzionali due articoli del Communications Decency Act (CDA), provvedimento del 1996 del [continua ..]


4. Conclusione

Il cyberspazio è un non-luogo ambivalente, ove molte attività si sovrappongono alle attività del mondo reale e molte attività gli sono peculiari, denotando la plasticità che gli è propria. Il tasso di crescita dell’innovazione tecnologica continua ad aumentare ed è accompagnato da nuove insidiose forme di invasione della sfera privata delle persone. È forte la tentazione di rinunciare ai propri diritti per godere del paradiso tecnologico che ci viene offerto. Nell’ecosistema digitale compare una nuova entità – la persona digitale – quale esito tecnologico della riconfigurazione della nozione classica di persona. Lo sviluppo delle applicazioni 4.0 permette la connessione tra persone e loro corrispondenti identità digitali: soggetti che formano legami senza vincoli di spazio e di compresenza fisica diventano parte di uno sciame digitale [54]. La nostra privacy è progressivamente erosa dalla nostra crescente accondiscendenza, apatia, indifferenza o supporto esplicito a misure che ci sono presentate come indispensabili o innocue. Se è ancora prematuro affermare che la privacy è ormai morta, le giovani generazioni sono protagoniste di una prassi culturale e di una socializzazione primaria lontane dal concetto di privacy. La persona digitale è il risultato dei dati prodotti dalla persona fisica, orpello elettronico, corpo-informazione, corpo-password; essa è, in definitiva, il ricettacolo di dati e di informazioni raccolti e processati che formano la biografia digitale della persona [55]. Ma, si badi, nella persona digitale non viene smarrita la corporeità del soggetto: questi non si distacca dalla sua materialità, ma viene socialmente mutato e tecnologicamente disciplinato, al punto tale che i sistemi informatici potrebbero indurlo a tenere scientemente comportamenti contra legem. Rimane il fatto che la persona, seppur trasmutata da un punto di vista sia genetico (cyborg) sia cibernetico (inforg), mantiene intatto il diritto alla dignità e alla scelta delle informazioni conoscibili dalla società tramite il web. Come l’integrità fisica viene protetta dal potere pubblico tramite l’habeas corpus, così nel contesto digitale il corpo della persona digitale viene protetto tramite [continua ..]


NOTE