Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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La comunione legale dei beni. La attualità di un vecchio istituto a seguito della sentenza delle sezioni unite della cass. N. 18287/2018 (di Giulia Sarnari. Avvocato in Roma)


A seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, i principi che hanno ispirato il legislatore del 1975 allorquando ha introdotto il regime della comunione legale dei beni appaiono attuali. Afferma l’autrice che la perequazione tra coniugi già potrebbe essere attuata se gli stessi non scegliessero al momento del matrimonio il regime della separazione dei beni. L’autrice si sofferma in particolare sui rapporti bancari tra i coniugi in regime di comunione legale dei beni.

After the United Sections decision n. 18287/2018, the principles that inspired lawmakers in 1975 when introducing the legal communion of assets appear current. The author maintains that equalization among spouses might already be implemented if they were not to choose, at the moment of their marriage, the regime of separation of assets. In particular, the author discusses banking relationships between the spouses living under the legal communion of assets.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Comunione legale dei beni e rapporti bancari e finanziari - 3. Comunione legale dei beni e conto corrente - 4. Comunione legale dei beni e superamento della presunzione di titolarità - 5. Comunione legale dei beni e donazione - 6. Comunione legale dei beni e donazione del terzo - 7. Comunione legale dei beni e investimenti finanziari - NOTE


1. Premessa

La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha introdotto il regime della comunione legale dei beni (art. 159 c.c.), come regime operante automaticamente in assenza di scelta dei coniugi, sia con riferimento ai matrimoni celebrati successivamente alla riforma, ma anche con riguardo ai matrimoni già celebrati, qualora nessuno dei due coniugi nei due anni successivi alla riforma non avesse manifestato una volontà diversa. Come è noto “nell’imporre” la comunione legale dei beni quale regime patrimoniale primario della famiglia, il legislatore di allora ha voluto disegnare un sistema che, lungi dall’attuare una comunione universale, comprendente anche i guadagni di ciascun coniuge, fa cadere in comunione gli incrementi patrimoniali che i coniugi vanno via via realizzando insieme e che si concretizzano attraverso l’investimento del risparmio che, a differenza del reddito, il legislatore del 1975 considera prodotto in pari quote dai coniugi [1]. Lo scopo perseguito allora dal legislatore era quello di tutelare la donna, che pur non conferendo nella famiglia la propria retribuzione da lavoro (o, conferendone una minore rispetto a quella del marito), spendeva comunque enormi risorse personali per la cura della famiglia, e che non più subalterna al marito e soggetta alla potestà maritale, al contempo, con lui, alla pari, individuava un progetto di crescita economica comune, per la cui realizzazione il legislatore del 1975 non considera rilevanti le risorse finanziare effettivamente impiegate dai coniugi e le rispettive quote di danaro investite da ciascuno, ma piuttosto, le energie personali, le idee, le intuizioni, le rinunce, la solidarietà dell’un coniuge verso l’altro, il lavoro domestico, la cura dei figli [2]. A ben vedere la comunione legale dei beni è dunque un regime patrimoniale che tutela non solo il coniuge più debole economicamente, ma in un ottica più ampia, è un regime che offre primariamente riconoscimento giuridico alla vita matrimoniale che si va formando, al progetto matrimoniale comune, a ciò che si costruisce insieme nel corso della vita in comune, perché definisce e tutela l’impegno reciproco dei coniugi (oggi a seguito della l. n. 76/2016 anche degli uniti civilmente) che spinti da ragioni affettive, giorno per giorno nello svolgersi del rapporto, spendono energie e risorse non solo [continua ..]


2. Comunione legale dei beni e rapporti bancari e finanziari

L’istituto della Comunione legale dei beni che è complesso, deve essere senz’altro molto alleggerito. La disciplina della comunione legale dei beni non è di facile comprensione, l’art. 177 c.c. con i suoi 4 punti e i seguenti artt. 178 e 179 c.c. non disegna un sistema semplice e serissime problematiche sorgono con riguardo ai rapporti bancari e finanziari. Colpisce constatare ancora oggi quanto non sia chiaro quali siano le sorti dei conti correnti bancari dei coniugi intestati singolarmente e cointestati, rispetto alle norme sulla comunione legale dei beni, sia con riguardo al momento in cui il regime è in piena attuazione, nel corso del rapporto, sia con riguardo, al momento dello scioglimento, quali siano le sorti dei rimborsi e delle restituzioni alla comunione. I coniugi che si separano (quei pochi che sono in comunione legale dei beni!) se mostrano di avere ormai acquisito una certa consapevolezza, circa quale dei beni immobili è proprio e quale dei beni immobili è da ritenersi “caduto” nella comunione, di fronte al danaro e al rapporto bancario che con il danaro e per il danaro si instaura, appaiono confusi, poco consapevoli dei loro diritti e vanno ad attribuire al singolo coniuge rapporti bancari che dovrebbero ricadere in comunione legale o viceversa attribuiscono alla comunione legale rapporti bancari che invece dovrebbero esserne esclusi. La formulazione letterale delle norme introdotte a definire e a disciplinare la costituzione, l’am­ministrazione e lo scioglimento della comunione legale dei beni, senz’altro non è chiara, ma dalla disamina degli artt. 177, 178 e 179 c.c., emerge che l’investimento familiare protetto dal legislatore del 1975 è quello immobiliare, la casa acquistata dai coniugi e l’azienda coniugale, inserita dal legislatore del 1975 evidentemente per tutelare in una qualche maniera l’apporto di energie spese dalla donna nella famiglia, nelle più svariate forme e senza alcuna identità e inquadramento lavorativo specifico. Ma nessuna chiarezza vi è sugli acquisti della famiglia, diversi da quello immobiliare, mentre l’amministrazione delle finanze e del risparmio della famiglia si atteggia in maniera più articolata, rispetto alla modalità primaria dell’investimento immobiliare disciplinata e tutelata dalla legislatore del 1975. Nel nostro paese [continua ..]


3. Comunione legale dei beni e conto corrente

Il senso di proprietà che avvertiamo per il nostro denaro è il medesimo che avvertiamo anche per il conto corrente bancario in cui è depositato, ma, è noto, il dato giuridico è ben diverso. Senz’altro il danaro è un bene mobile, suscettibile come tale di essere oggetto di proprietà da parte di uno o di entrambi i coniugi e come tale, dunque, può essere, sia un bene della comunione, che un bene personale destinato solo alla comunione de residuo, che un bene personalissimo a norma dell’art. 179 c.c., il quale è escluso possa ricadere nel regime legale. Ciò è chiaro in astratto, tuttavia, essendo il danaro, nella sua forma un bene fungibile, nella realtà è davvero difficile stabilire quale sia la provenienza di una somma di danaro, in vigenza di regime di comunione legale dei beni e in assenza di prova, sarà considerato di proprietà comune, secondo la presunzione di cui all’art. 195 c.c. Tale questione rimane teorica in quanto il danaro non viene conservato ed amministrato nella sua forma, ma viene depositato in banca ed anche il suo acquisto avviene mediante transazioni contabili che non prevedono il passaggio di danaro da un soggetto all’altro, operazioni bancarie sempre più usuali e accessibili. Nel momento in cui il danaro è “in banca” se, come evidenziato, è vero che il proprietario di quella somma determinata che risulta dal saldo attivo, non percepisce alcun cambiamento nella titolarità del proprio diritto, diversamente, quel diritto di proprietà sul denaro depositato, da diritto reale, diventa diritto di credito verso la banca, alla restituzione dell’importo medesimo per equivalente, e ciò a norma dell’art. 1834 c.c. Orbene, si è molto dibattuto circa la possibilità di far cadere in comunione non solo l’acquisto di diritti reali, ma anche l’acquisto di diritti di credito e quindi di conseguenza far rientrare in comunione anche i conti correnti del singolo coniuge aperti successivamente al matrimonio, quale acquisto di un nuovo diritto di credito che accresce, al pari dell’acquisto di un diritto reale, a norma dell’art. 177, lett. a), c.c., la comunione dei beni. A riguardo la Sezione I della Cassazione nel 2004 con sent. n. 8002 aveva detto che «Il regime di comunione coniugale di cui all’art. 177 c.c. [continua ..]


4. Comunione legale dei beni e superamento della presunzione di titolarità

Sulla scorta di tale ragionamento, si può anche andare oltre e consentire ai coniugi di superare anche la presunzione di contitolarità di un conto corrente e di provare con ogni mezzo la titolarità esclusiva del proprio danaro che è confluito su quel conto corrente cointestato, senza farsi condizionare dalla formale intestazione che presenta il conto corrente. E di fatti se la Suprema Corte ha sancito che il guadagno del singolo coniuge e il danaro di cui all’art. 179 c.c. messo sul proprio conto corrente personale non cade in comunione (il primo solo in comunione de residuo), non già perché è accantonato su un conto corrente personale, ma perché il bene-denaro è personale a norma dell’art. 177, lett. b) e lett. c), c.c., o personalissimo, a norma dell’art. 179 c.c., non si vede per quale ragione lo stesso ragionamento non debba estendersi anche all’ipotesi in cui tale denaro sia posto dal coniuge titolare di esso, in giacenza, su un conto corrente comune ad entrambi i coniugi in regime di comunione dei beni. Seguendo il ragionamento della Suprema Corte, che ha scartato l’ipotesi preconcetta della comunione dei beni che acquista ipso facto ogni diritto di credito, non vi è alcuna ragione per ritenere che la contitolarità di un conto corrente in regime di comunione dei beni attribuisca nel rapporto interno tra correntisti diritti diversi da quelli che attribuisce il solo regime della comunione dei beni. Non va dimenticato che con riferimento al conto corrente bancario intestato a più soggetti, il codice civile prevede una sola regola. L’art. 1854 c.c. stabilisce che nel caso in cui il conto corrente bancario è intestato a più di una persona a firma disgiunta con facoltà per ognuna di effettuare operazioni anche separatamente, ciascun cointestatario può esigere in qualsiasi momento il saldo attivo e risponde in solido con gli altri del saldo passivo, ma è noto che la elaborazione giurisprudenziale è giunta da tempo ad affermare che tale norma è operante solo nei rapporti tra i cointestatari del conto corrente bancario e la banca, ma non nei rapporti tra i contitolari del conto che sono disciplinati dall’art. 1298, 2° comma, c.c.; conseguentemente nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi [continua ..]


5. Comunione legale dei beni e donazione

Chiariti tali aspetti, nell’imbattersi nel caso di specie, ci si avvede subito che l’aspetto probatorio è davvero arduo, considerato che nello svolgersi della vita familiare solitamente i coniugi, utilizzano conti personali e conti cointestati senza avere riguardo alla titolarità del denaro che vanno a depositarvi. Assume rilevanza anche la movimentazione in uscita, laddove risulta nella maggioranza dei casi difficile individuare se l’uscita è stata utilizzata per l’adempimento di un’obbligazione del singolo coniuge, per adempiere ad una obbligazione della comunione, per adempiere all’obbliga­zione che ciascun coniuge ha al mantenimento della prole e dell’altro coniuge a norma degli artt. 143, 147 e 148 c.c. [11]. Non infrequente è peraltro il ricorso alla eccezione della esistenza della donazione indiretta, quando un coniuge versa denaro proprio sul conto cointesto con l’altro coniuge, eccezione peraltro che come è noto, viene postulata e ritenuta fondata anche in caso di conto corrente cointestato in regime di separazione dei beni e anche ove manca la sacralità della forma scritta. La Cassazione a Sezione Unite nel dicembre 2017 con sent. n. 18725 ha definitivamente chiarito che il regime della forma solenne è esclusivamente proprio della donazione tipica, e risponde a finalità preventive a tutela del donante, per evitargli scelte affrettate e poco ponderate, volendosi circondare di particolari cautele la determinazione con la quale un soggetto decide di spogliarsi, senza corrispettivo, dei suoi beni. Per la validità delle donazioni indirette, invece, non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità e, affermano le Sezioni Unite, che seguendo quest’ordine di idee, si riconduce alla donazione indiretta anche la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario. Ovviamente non bisogna dimenticare che [continua ..]


6. Comunione legale dei beni e donazione del terzo

Altra problematica si verifica quando su un conto corrente cointestato tra coniugi o a coniugi in regime di comunione viene accreditata una somma di danaro da un terzo, ad esempio da un parente, come spesso avviene, per consentire ai coniugi di compiere un acquisto o più semplicemente per provvedere ad esigenze più o meno primarie della famiglia. Di sovente a seguito della crisi coniugale il parente che ha versato, richiede indietro al coniuge del proprio congiunto con il quale è entrato in contrasto le somme date nel corso del matrimonio. In questo caso è noto che se chi agisce richiede la restituzione di un mero prestito, tale causa deve essere esplicitata, nel senso che il versamento deve essere accompagnato dalla previsione della restituzione. Nella prassi questo spesso non avviene in quanto i legami tra familiari sono deformalizzati e basati su rapporti di affetto e di fiducia, ma la Cassazione lo ha più volte sancito e lo ha ribadito anche con una recentissima ordinanza dell’8 gennaio 2018, n. 180, con la quale ha chiarito che l’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro che non vale di per sé a fondare una richiesta di restituzione allorquando l’“accipiens” – ammessane la ricezione – non confermi altresì il titolo posto dalla controparte a fondamento della propria pretesa, ma ne contesti anzi la legittimità, essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, senza che la contestazione del convenuto (il quale, pur riconoscendo di aver ricevuto la somma ne deduca una diversa ragione) possa tramutarsi in eccezione in senso sostanziale e come tale determinare l’inversione dell’onere della prova. Se invece il parente ha inteso fare una regalia che non è di modico valore (giudizio che come noto deve essere valutato in base alle condizione oggettive e soggettive della fattispecie come ribadito proprio recentissimamente dalla Suprema Corte con sent. 14 maggio 2018, n. 11607), tale versamento è a tutti gli effetti una donazione diretta e deve quindi essere effettuato con l’atto pubblico proprio della donazione che, se manca, rende la donazione nulla. Tale principio è stata ben chiarito dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2017 poc’anzi citata [13].


7. Comunione legale dei beni e investimenti finanziari

Come dicevamo in premessa altro discorso è da fare quando il denaro proprio del coniuge in comunione dei beni viene utilizzato per effettuare degli investimenti mobiliari e questi al pari degli investimenti immobiliari, sono beni che ricadono nella comunione diretta. Per cui se il semplice conto corrente o conto deposito alimentato con tal tipo di danaro non cade in comunione, l’investimento mobiliare che dovesse essere effettuato con tali giacenze di conto corrente in regime di comunione dei beni, quale incremento patrimoniale ricade immediatamente in comunione [14]. Come già sottolineato il discrimine è dato dalla sussistenza dell’accrescimento del patrimonio personale iniziale, che va oltre il rapporto obbligatorio sottostante. In tali casi il bene originario, il danaro personale, non sussiste più si è modificato nella forma dell’investimento che è una entità autonoma, un bene che a norma dell’art, 810 c.c. cade immediatamente in comunione secondo quanto dispone l’art, 177, lett. a), c.c. La Suprema Corte con la sentenza del 2012 prima citata nel terzo paragrafo, ribadendo una pronuncia la n. 21098/2007 ha statuito che i titoli azionari, i fondi di investimento, i titoli obbligazionari acquistati da un coniuge con i propri guadagni accantonati su un proprio conto corrente personale in regime di comunione legale dei beni cadono in comunione in quanto «la comunione legale fra coniugi costituisce un istituto che prevede uno schema normativo non finalizzato come quello della comunione ordinaria regolata dagli artt. 1100 ss. c.c. alla tutela della proprietà individuale, ma alla tutela della famiglia attraverso particolari forme di protezione della posizione dei coniugi nel suo ambito con speciale riferimento al regime degli acquisti in relazione al quale la ratio della disciplina che è quella di attribuirli in comunione ad entrambi i coniugi trascende il carattere del bene della vita che venga acquistato e la natura reale o personale del diritto che ne forma oggetto» (Cass. n. 21098/2007). A riguardo tuttavia non possiamo non considerare che gli strumenti finanziari di cui all’art. 1 TUF sono molteplici [15] e che oltre agli strumenti finanziari menzionati da tale norma vi possono essere diversi prodotti finanziari che il mercato crea di continuo, per cui di volta in volta occorre fare una valutazione in fatto e [continua ..]


NOTE