Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La mediazione penale minorile: esempio virtuoso di giustizia riparativa. Rilettura dell'esperienza alla luce della riforma Cartabia (di Simona Ardesi, Avvocato in Brescia, Docente di Diritto privato e della famiglia presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore)


A partire dalla metà degli anni ’90, nell’ambito dell’intervento penale minorile, hanno via via trovato sempre maggior spazio nel nostro paese esperienze di victim-offender mediation. Pur in assenza di una normativa nazionale queste pratiche, saldamente ancorate ai principi internazionali, hanno rappresentato il tentativo di ampliare alla considerazione delle vittime e delle comunità il tradizionale sguardo reo-centrico dell’amministrazione della giustizia, proponendo un sistema di risposta al reato di natura riparativa, dialogica, consensuale. L'approva­zione del d.lgs. n. 150/2022, introducendo una disciplina organica della giustizia riparativa, consente di rileggere alla luce dei principi ivi contenuti le sperimentazioni fino ad oggi condotte.

Starting from the mid-1990s, the field of juvenile criminal intervention in our country has given more and more room to experiences of “victim-offender mediation”. Albeit in the absence of national regulations, these practices, firmly anchored to international principles, have made an attempt to extend the traditional crime-centred focus of the administration of justice to consider victims and communities, by proposing a crime response system that is restorative, dialogue-based, and consensual. The approval of Legislative Decree no. 150/2022, which introduces an organic regula­tion of restorative justice, allows the experiments carried out thus far to be reread in light of the principles contained in it.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Definizione e principi della giustizia riparativa - 3. La mediazione penale: il contesto minorile, i perché di una feconda sperimentazione - 4. Coinvolgimento volontario, attivo e consensuale delle parti - 5. La mediazione come luogo della parola. Dovere di riservatezza, inutilizzabilità delle dichiarazioni rese, tutela del segreto - 6. Principi sull’accesso, quali spazi nel procedimento penale - 7. Esiti e risvolti sul procedimento penale - 8. Esperienze di giustizia - NOTE


1. Introduzione

Il 30 giugno prossimo, salvo ulteriori proroghe, entrerà in vigore la parte della Riforma Cartabia contenuta nel d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 al Titolo IV “Disciplina organica della giustizia riparativa”. Il nostro paese accoglie così finalmente gli inviti a sviluppare programmi di giustizia riparativa formulati da più parti in sede internazionale: basti citare le Risoluzioni sui principi base sull’uso dei programmi di giustizia riparativa in materia criminale (Economic and social Council ONU n. 2000/14 e n. 2002/15), la Raccomandazione del Consiglio d’Europa (99)19 sulla mediazione in materia penale e le Raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sulla giustizia riparativa in ambito penale (19)22 e (18)8. Per la prima volta troverà quindi posto nel nostro ordinamento una regolamentazione puntuale ed appunto organica di un paradigma di giustizia che da più di vent’anni ha cercato di farsi spazio negli interstizi offerti dalle norme vigenti nell’ambito del procedimento penale minorile, dapprima, e nel contesto degli adulti poi [1]. Esperienze concrete di giustizia riparativa si sono, infatti, fatte strada fin dalla metà degli anni ’90 grazie alla sensibilità della magistratura minorile che ha saputo fin da subito cogliere le potenzialità di un nuovo modo di intendere il fare giustizia che metteva al centro non solo il minorenne autore del reato ma anche chi quel reato lo aveva subito, in una logica di reazione alla commissione dell’illecito che scommette sulla responsabilizzazione attraverso l’incontro con l’altro. Sul territorio nazionale, sebbene a macchia di leopardo e non sempre con pratiche omogenee, si sono così nel tempo andati diffondendo Servizi/Uffici/Centri per la mediazione penale/per la giustizia riparativa che hanno sperimentato, prevalentemente, una declinazione del concetto di giustizia riparativa, quella della victim-offender mediation. La mediazione penale minorile, in assenza di una copertura normativa interna, si è ispirata nella sua architettura ai principi contenuti nelle numerose fonti internazionali, anche di soft law e, per la sua applicazione, alle finalità ed ai principi del processo penale minorile che si è dimostrato incubatore propizio ad ospitare sperimentazioni che hanno prodotto una cultura della mediazione e della giustizia riparativa [continua ..]


2. Definizione e principi della giustizia riparativa

Come anticipato, sono numerose le fonti internazionali che si sono preoccupate di perimetrare il concetto di giustizia riparativa; con poche variazioni, tanto in ambito europeo quanto nel contesto dell’organizzazione delle Nazioni Unite, ci si riferisce ad una forma di reazione alla commissione del reato basata su un paradigma dialogico-consensuale che propone il coinvolgimento attivo dei protagonisti della vicenda, ed eventualmente della comunità, chiamati a dialogare attorno alle conseguenze negative prodotte dal fatto di reato con l’aiuto di un mediatore. La giustizia riparativa viene definita nei Basic Principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters adottati dalle Nazioni Unite il 24 luglio 2002 come «qualunque procedimento in cui la vittima e il reo e, laddove appropriato, ogni altro soggetto o membro della comunità lesi da un reato, partecipano attivamente insieme alla risoluzione delle questioni emerse dall’illecito, generalmente con l’aiuto di un facilitatore». Analogamente nella Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 3 ottobre 2018, n. 8 si intende per giustizia riparativa «qualsiasi procedimento che consente a chi è stato offeso dal reato e a chi è responsabile di tale offesa, se vi acconsentono liberamente, di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni sorte con il reato mediante l’aiuto di un terzo imparziale appositamente formato». Ed infine, la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2012/29/UE (c.d. direttiva vittime) la definisce come «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale». In linea con le precedenti definizioni, l’art. 42 precisa che ai fini del d.lgs. n. 150/2022 si intende per giustizia riparativa «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore» [4]. La giustizia riparativa è quindi un modello di giustizia che non si [continua ..]


3. La mediazione penale: il contesto minorile, i perché di una feconda sperimentazione

Come noto i programmi di giustizia riparativa, primo tra tutti quello che si esplica nell’incontro reo-vittima, hanno avuto nell’ambito del processo penale minorile le prime feconde sperimentazioni. A partire dalle più remote esperienze di Torino, Milano e Bari, si è consolidata l’idea di poter arricchire un modello di risposta al reato – peraltro già considerato all’avanguardia nel panorama internazionale – di un ulteriore strumento, comunque rispettoso dei principi caratterizzanti il processo penale minorile ed in sintonia con l’attenzione in termini di adeguatezza che il legislatore ha riservato all’intervento su e per i minorenni. La centralità del soggetto autore del reato e la necessità di applicare le disposizioni in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne hanno, tuttavia, spesso determinato nel sistema della giustizia minorile un offuscamento della considerazione della vittima che, a partire dall’inammissibilità dell’a­zione civile ex art. 10, d.p.r. n. 448/1988, non di rado si sente invisibile ed inascoltata all’inter­no del processo. Sotto questo profilo, viceversa, la mediazione penale minorile si è proposta come giustizia di prossimità anche alle vittime – e in alcune situazioni alla comunità locale – senza negare la tradizionale modalità giudiziaria di reazione alla commissione di reati e senza sminuire la rilevanza dei fenomeni legati alla delinquenza minorile. Lungi dal risolversi in una tecnica di composizione del conflitto – la mediazione penale attiene viceversa pienamente alle domande profonde che ogni moderna società si pone di fronte alla commissione di fatti che, oltre ad incrinare l’ordine costituito, offendono e violano l’esistenza umana [8]. La scommessa è stata quella di provare a spostare l’attenzione dall’uso delle sole misure educative/sanzionatorie quali strumenti di risocializzazione e di prevenzione della devianza minorile, alla possibilità di reagire alla commissione del reato secondo una logica riparativa, avendo particolare cura ed attenzione anche alla prospettiva delle vittime. Nella mediazione, infatti, l’attenzione si distribuisce su tutti i soggetti coinvolti nel fatto di reato (l’autore, la vittima e la società) nell’intento di rispondere in [continua ..]


4. Coinvolgimento volontario, attivo e consensuale delle parti

Inscritta, quindi, totalmente nei principi della giustizia riparativa, la mediazione penale promuove l’incontro faccia a faccia tra la persona indicata come autore dell’offesa [10] e la vittima del reato [11] in uno spazio che, pur garantendo la riservatezza rispetto ai contenuti del dialogo e quindi in uno spazio privato e intimo, continua a rimanere ancorato saldamente alla sfera dell’etica pubblica. Pur essendo un incontro tra le parti, infatti, non si riduce mai a un fatto privato tra le parti; l’incontro si svolge, infatti, non “al posto della legge” ma “all’insegna della legge”. La mediazione, come ogni altro programma di giustizia riparativa, è sempre stata proposta come attività libera, volontaria e consensuale. Libera nel senso che le parti – certamente la parte offesa ma anche la persona indicata come autore dell’offesa – hanno assoluta facoltà di aderirvi oppure no, senza che il legittimo rifiuto di adesione alla proposta determini conseguenze processuali di alcun genere. Una mediazione non fattibile per mancato consenso di una o entrambe le parti lascia immutate le posizioni processuali di ciascuno. Il principio della libertà, nelle sperimentazioni fin qui condotte nei vari Servizi/Uffici/Centri, è sempre stato un principio assoluto: nessuno può essere costretto a partecipare all’incontro di mediazione, né essere costretto a partecipare ai colloqui preliminari individuali che normalmente si precedono l’incontro di mediazione con l’altro. La libertà di adesione alla proposta, comporta altresì che in qualsiasi momento il percorso di mediazione possa essere interrotto; un’iniziale adesione, anche solo al fine di raccogliere informazioni sull’attività, può poi essere seguita dalla legittima scelta di non partecipare all’incontro. La mediazione è volontaria nel senso che si basa sulla volontà collaborativa delle parti; i mediatori non detengono alcun potere autoritativo-coercitivo né competono loro funzioni decisionali. Non sono dotati né della spada che divide il torto dalla ragione, né della bilancia che misura il peso della sofferenza inferta e quella da infliggere. La mediazione è, infine, consensuale perché l’esito positivo o negativo e la riparazione – simbolica o materiale – sono [continua ..]


5. La mediazione come luogo della parola. Dovere di riservatezza, inutilizzabilità delle dichiarazioni rese, tutela del segreto

La mediazione è uno straordinario luogo di narrazioni. Le vite umane e la sofferenza hanno bisogno di essere raccontate [12]. Oltre al presupposto irrinunciabile del libero consenso delle parti, la proposta della mediazione ha sempre offerto la garanzia che quanto reso noto durante l’attività di mediazione (sia durante i colloqui preliminari che durante l’incontro) sarebbe rimasto riservato e non comunicato al­l’autorità giudiziaria se non nelle parti e sui contenuti che le parti stesse concordemente avrebbero inteso riferire. Corollario di tale riservatezza – condizione essenziale affinché l’incontro tra le parti possa compiersi pienamente – era che i mediatori, nell’esercizio della loro attività, si potessero sentire e fossero riconosciuti legati ad un vincolo di segretezza. In modo puntuale ed articolato, gli artt. 50,51 e 52 del d.lgs. n. 150/2022 intitolati “Doveri di riservatezza”, “Inutilizzabilità” e “Tutela del segreto” hanno confermato e rafforzato quanto già nei protocolli operativi dei Servizi/Uffici/Centri per la mediazione e nelle Linee guida del Dipartimento della giustizia minorile e di comunità era stato considerato imprescindibile. Nell’incontro con l’altro, il principio della riservatezza consente alle parti di raccontare, a se stessi e all’altro, una verità che spesso nelle aule giudiziarie viene percepita come non narrabile perché di fronte ad un indice puntato e alla minaccia di un male da espiare, umanamente e anche giuridicamente, il silenzio resta un’opzione legittima. Nella stanza di mediazione si ricostruisce un racconto più vicino alla verità di quanto non si possa fare nel contesto processuale. La garanzia di confidenzialità e l’assenza di potere autoritativo-coercitivo dei mediatori, consentono infatti alle parti di narrare molto più di quello che si riesca a dire al giudice, ai servizi sociali minorili e, spesso, anche a genitori ed avvocati.


6. Principi sull’accesso, quali spazi nel procedimento penale

In assenza di una normativa sulla giustizia riparativa, la mediazione penale minorile aveva fino ad ora trovato ingresso negli interstizi normativi del d.p.r. n. 448/1988, sfruttando alcuni spazi interpretativi e di discrezionalità dell’autorità giudiziaria. In modo abbastanza uniforme sul territorio nazionale gli agganci utilizzati sono stati prevalentemente l’art. 9 e l’art. 28 del d.p.r. n. 448/1988: da un lato, la valutazione della personalità del minorenne è stata intesa in senso dinamico in modo da potersi estendere anche all’eventuale partecipazione alla mediazione, dall’altro la previsione secondo cui il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e promuovere la conciliazione del minorenne con la persona del reato, è stata interpretata in modo da salvaguardare comunque la volontarietà della partecipazione essendo stata intesa nel senso che la prescrizione del giudice è finalizzata alla promozione dell’attività riparativa con la conseguenza che l’invio alla mediazione non andrebbe mai considerato come un obiettivo del progetto di messa alla prova valutabile poi ai fini dell’esito della stessa [13]. Il ricorso all’art. 9 ha consentito l’attivazione della mediazione sia in un tempo molto prossimo alla commissione dei fatti su invio della Procura minorile, sia nelle fasi più avanzate del procedimento, all’udienza preliminare o durante il dibattimento, potendo tanto il Pubblico Ministero quanto il giudice acquisire elementi circa la personalità del minorenne in ogni stato e grado del processo. Più di recente, a seguito del d.lgs. n. 121/2018, la mediazione si è potuta inserire anche nella fase esecutiva della pena. È evidente che il tempo in cui si colloca la proposta dell’incontro può avere un significato ed un impatto, sia per il reo sia per la vittima, molto diverso; in alcuni casi è importante che vi sia un intervento tempestivo, in altri risulta più opportuno attendere e prendere un po’ di distanza dagli accadimenti. L’art. 44 del d.lgs. n. 150/2022 conferma che i programmi di giustizia riparativa possono essere promossi e realizzati in ogni stato e grado del procedimento nonché nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza [14], precisando altresì che non sussistono [continua ..]


7. Esiti e risvolti sul procedimento penale

La riflessione formatasi attorno alle pratiche di mediazione ha sempre ritenuto necessario che il risultato positivo di tale percorso potesse avere una ricaduta positiva sul procedimento penale in termini di una sua conclusione anticipata, di accesso privilegiato a misure non detentive o di mitigazione della risposta sanzionatoria [15], prevedendo viceversa che una mediazione non fattibile per mancato consenso di una o tutte le parti o una sua conclusione non positiva non dovesse avere effetti nel procedimento penale. Tali principi sono chiaramente previsti oggi all’art. 58 del d.lgs. n. 150/2022 che chiarisce che l’autorità giudiziaria debba valutare lo svolgimento del programma di giustizia riparativa e, anche ai fini di cui all’art. 133 c.p. l’eventuale esito riparativo, garantendo viceversa che la mancata effettuazione del programma, la sua interruzione o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non possano produrre effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa. Per esito riparativo si deve intendere qualunque accordo, risultante dal programma di giustizia riparativa, volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti (art. 42, d.lgs. n. 150/2022). L’esito riparativo potrà essere simbolico [16] o materiale [17] ma deve sempre rispondere ai principi di ragionevolezza e proporzionalità ed essere il frutto di un accordo consensualmente raggiunto dalle parti. L’incontro di mediazione è sempre apparso all’autorità giudiziaria come una scatola nera, inaccessibile nei contenuti e la comunicazione trasmessa dai mediatori al soggetto inviante si risolveva nella sintetica informazione dell’avvenuta (o meno) mediazione e del suo esito. Il d.lgs. n. 150/2022 precisa oggi – fatto salvo il dovere di riservatezza nei contenuti dello scambio interpersonale e delle dichiarazioni rese – che, al termine del programma, venga trasmessa all’autorità giudiziaria procedente una relazione contenente la descrizione delle attività svolte e dell’esito riparativo raggiunto. Solo su richiesta dei partecipanti e con il loro consenso potranno essere eventualmente trasmesse ulteriori informazioni. Il mediatore dovrà altresì comunicare la mancata effettuazione [continua ..]


8. Esperienze di giustizia

In qualche occasione di confronto è stato avanzato il sospetto che lo strumento della mediazione penale potesse rendere meno giustizia alle vittime di quanto garantito dal sistema tradizionale e che potesse rappresentare una “scorciatoia” per la persona indicata quale autore del fatto. Si vuole qui concludere, al contrario, ricordando come incontrare l’altro comporti per entrambe le parti uno sforzo, proponendo un percorso dagli esiti non scontati. Incontrare l’altro esige coraggio, capacità di mettersi in gioco, impegno e fatica. La giustizia riparativa – e ce lo conferma la disciplina organica che il legislatore ci ha consegnato – è improntata a serietà; non c’è afflizione o durezza ma certamente profondità e rigore, attitudini che dovranno continuare a sostenere una proposta che permetta alle parti di riconoscersi reciprocamente e di riaffermare i superiori beni giuridici che la norma penale tutela e che la commissione del reato ha violati. Solo in questo modo l’incontro di mediazione contribuirà, fedelmente ai principi che la governano, a garantire alle parti esperienze di giustizia.


NOTE