Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Il ruolo del notaio nella riforma della volontaria giurisdizione (di Carolina Miglionico, Notaio in Civitavecchia)


Il presente contributo esamina le nuove competenze attribuite dal legislatore con l’art. 21 del d.lgs. n. 149/2022, introdotto nell’ambito della riforma della volontaria giurisdizione.

Di indubbia portata innovativa, la disciplina introdotta presenta molti aspetti di difficile interpretazione e, nella consapevolezza che soltanto la prassi che verrà a consolidarsi nel corso del tempo riuscirà ad orientare nella sua concreta applicazione, sin da ora emerge lo sforzo dell’interprete di colmare alcune lacune legislative già evidenti.

Il presente articolo esamina analiticamente la disciplina dettata dal richiamato d.lgs. n. 149/2022, muovendo dalla qualificazione della natura delle nuove competenze attribuite dal legislatore al notaio, per poi soffermarsi su alcuni problemi ermeneutici, di carattere notarile e processuale, dalla stessa sollevati.

This article examines the new responsibilities attributed by the legislature with art. 21 of Legislative Decree no. 149/2022 to notaries, introduced as part of the voluntary jurisdiction reform.

Certainly innovative in scope, many aspects of the regulation are difficult to interpret. While aware that only time-tested practice will succeed in guiding its concrete application, the legislator’s effort to bridge any already obvious legislative gaps is now beginning.

The article analytically examines the regulations established by the aforementioned Legislative Decree no. 149/2022, first qualifying the nature of the new responsibilities that the legislature has attributed to the notary public, and then ex­ploring some hermeneutical problems, of a notarial and trial nature, that it has raised.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La natura della nuova competenza attribuita dal Legislatore al Notaio - 3. L’individuazione del Notaio competente e l’ambito di applicazione dell’autorizzazione notarile - 4. L’istanza - 4.2. La legittimazione - 4.3. L’istruttoria - 5. L’autorizzazione ed il diniego dell’autorizzazione notarile - 5.2. Il diniego - 5.3. Le comunicazioni - 5.4. La notificazione dell’autorizzazione o del diniego di autorizzazione - 5.5. L’efficacia dell’autorizzazione notarile e la mancata proposizione del reclamo - 6. Il reclamo - 6.1. I motivi - 6.2. La competenza - 6.3. Il termine per la proposizione del reclamo - 6.4. I soggetti legittimati alla proposizione del reclamo - NOTE


1. Premessa

Con la riforma Cartabia sono state attribuite ai notai nuove competenze in materia di volontaria giurisdizione. L’art. 21 del d.l. n. 149/2022 stabilisce infatti che le parti possono scegliere di rivolgersi anche al notaio, piuttosto che all’autorità giudiziaria per ottenere il rilascio di un’au­torizzazione richiesta “per la stipula di atti pubblici e scritture private autenticate nei quali interviene un minore, interdetto o in abilitato un soggetto beneficiario della misura dell’amministra­tore di sostegno ovvero aventi ad oggetto beni ereditari”. La citata novella infatti attribuisce al notaio competenza concorrente con quella dell’autorità autenticante nell’ottica di alleggerire il carico del giudice nello svolgimento di determinate attività che ha ritenuto di poter attribuire ad un altro professionista, il notaio, in ragione delle garanzie che tale figura professionale offre sia sotto il profilo della terzietà che delle competenze art. 21, 1° comma). Il Notaio viene così investito di un ruolo di grande delicatezza nella protezione dei soggetti ritenuti più “deboli” nel nostro ordinamento, perché privi di autonomia, auspicando di rendere più celere ed agevole l’ottenimento delle autorizzazioni richieste dall’ordinamento per la stipula dei negozi in cui intervengono. Tale “doppio binario” rimette alle parti interessate la scelta tra autorità giudiziaria e “notaio rogante” (art. 21, 1° comma) circa la figura cui richiedere il rilascio dell’autorizzazione, mantenendo ferma nell’ipotesi in cui la scelta cada sul notaio, la possibilità di proporre reclamo e quindi di ottenere un controllo dell’autorità giudiziaria sull’operato notarile. La scelta legislativa, di assoluta innovatività, pur raccogliendo in parte moniti della dottrina [1] e in parte proposte di riforma che si sono avvicendate nel corso del tempo [2], ha destato non poche perplessità [3] in ragione della formulazione non sempre chiara delle disposizioni introdotte, talvolta non univoche.


2. La natura della nuova competenza attribuita dal Legislatore al Notaio

La prima questione da affrontare dell’intervento legislativo in esame, è relativa alla natura, giurisdizionale o meno, delle nuove competenze notarili. A tal proposito si evidenzia che trattasi di attività, rientranti nell’ambito della c.d. giurisdizione volontaria, la cui natura è sempre stata discussa anche prima della riforma in esame [4]. Tradizionalmente, infatti, non è pacifico se venga effettivamente in rilievo un’attività giurisdizionale, in quanto parte della dottrina ha sostenuto che tali attività abbiano carattere amministrativo [5]. Aderendo alla dottrina che riconosce natura giurisdizionale all’attività di cui si discute, occorre tener presente che tali funzioni giurisdizionali vengono definite “costituzionalmente non necessarie” [6], in quanto funzioni che il legislatore non deve necessariamente attribuire ad un giudice, ma che può, per ragioni di opportunità, attribuirgli in ragione delle garanzie che offre sotto il profilo sia della terzietà ed imparzialità, che delle competenze tecniche. In altri termini, al giudice «sono devolute un complesso di funzioni che possono distinguersi a seconda che si tratti di funzioni giurisdizionali costituzionalmente necessarie (cioè che il legislatore ordinario non può non attribuire almeno in ultima battuta al giudice) e funzioni giurisdizionali costituzionalmente non necessarie (cioè che il legislatore ordinario è libero di attribuire o no al giudice)» [7]. Tale scelta di mera opportunità del legislatore è stata, fino ad oggi, nel senso di attribuire lo svolgimento delle peculiari attività giurisdizionali di cui si discute comunque al giudice, nonostante in dottrina in più occasioni, nella prospettiva di fondo tendente ad individuare soluzioni per far fronte alla crisi della giustizia civile, è stata ampiamente auspicata l’attribuzione quantomeno di talune delle attività giurisdizionali costituzionalmente non necessarie a figure diverse dal magistrato, quali, in primis, il notaio. L’intervento normativo in esame assume dunque, sotto questo profilo, un connotato di grande innovatività, dato che il legislatore, pur non sottraendo in toto al giudice determinate competenze, le attribuisce in via concorrente al notaio, cui l’avente diritto può rivolgersi per [continua ..]


3. L’individuazione del Notaio competente e l’ambito di applicazione dell’autorizzazione notarile

L’art. 21, al 1° comma, della norma in esame, stabilisce che “le autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e scritture private autenticate … possono essere rilasciate …. dal notaio rogante”. La ratio della scelta effettuata dal legislatore risiede nella delicata valutazione sottesa all’autoriz­zazione, per la concessione della quale devono ricorrere i presupposti normativi di volta in volta richiesti per la stipula di negozi aventi come parti soggetti incapaci. Sotto il profilo dell’individuazione del notaio competente a rilasciare l’autorizzazione, la lettera della norma è, dunque, chiarissima nel senso di riservare il potere autorizzatorio al solo “notaio rogante”, senza che possa trovare spazio l’applicazione dei medesimi criteri di competenza richiesti dal codice di procedura civile per l’individuazione del Giudice Tutelare, anche con riferimento ai criteri di competenza per territorio. Qualora così non fosse, si negherebbe la stessa operatività della riforma, svilendo al contempo le ragioni di semplificazione e di tutela degli incapaci ad essa sottese. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, all’ipotesi in cui debba essere stipulato un atto nell­’interesse di due soggetti sottoposti a misura di protezione che risiedano in regioni differenti. A differenza di quanto accade per la richiesta al giudice, la richiesta al notaio non può incontrare limitazioni territoriali, se non quelli funzionalmente collegati con la figura del notaio stesso, ovvero quelli dettati dalla Legge Notarile. Tale competenza risulta essere slegata dal luogo in cui sono ubicati i beni oggetto dell’atto, dal luogo di domicilio o di residenza delle persone nel cui interesse il provvedimento è richiesto, dal luogo in cui è posta la sede notarile: l’unico criterio per l’individuazione del notaio competente a provvedere sulla richiesta di autorizzazione previsto dalla norma è, infatti, quello del “collegamento funzionale” [13], ossia del conferimento dell’incarico al notaio per il ricevimento di un atto pubblico o l’autenticazione delle sottoscrizioni di una scrittura privata autenticata. Con riferimento ai confini dell’autorizzazione notarile rispetto alle ipotesi riservate in via esclusiva al Giudice Tutelare, occorre far riferimento al primo ed al 7° comma [continua ..]


4. L’istanza

4.1. Il contenuto Dal punto di vista formale, la norma prevede una richiesta scritta ad opera delle parti. Non è, dunque, richiesto alcun particolare requisito di forma, se non la forma scritta. In ragione della formulazione della norma, e della peculiare disciplina che ci occupa, appare assai difficile ammettere la richiesta verbale nelle ipotesi di urgenza, se del caso ricorrendo, in via di interpretazione analogica, all’art. 43 disp. att. c.c., in forza del quale nei casi urgenti la richiesta di un provvedimento può essere fatta al Giudice Tutelare anche verbalmente. Quanto al contenuto, l’analogia funzionale con il ricorso dei procedimenti della volontaria giurisdizione, ha indotto a chiedersi se sia possibile far riferimento, mutandis mutandis, all’art. 125 del codice di rito. Per quanto non ci troviamo di fronte ad un ricorso, avente natura giurisdizionale, rivolto all’au­torità giudiziaria, il parallelo può essere comunque di ausilio al fine di individuare il contenuto necessario della richiesta di cui si discute. Ciò, anche in considerazione del fatto che la norma cui si guarda, come possibile parametro di riferimento (ossia l’art. 125 c.p.c.), è una norma di carattere generale che mira ad individuare il contenuto essenziale degli atti processuali di parte, e non già una norma che mira a disciplinare, come di contro opera l’art. 163 c.p.c., in modo analitico, il contenuto dell’atto introduttivo di un determinato giudizio. Ad ogni modo, indipendentemente dal ricorso in via analogica all’art. 125 c.p.c., sembrerebbe corretto ritenere che la richiesta debba contenere l’indicazione: 1) del “notaio rogante” cui viene rivolta l’istanza; 2) delle parti interessate all’autorizzazione [15]; 3) dell’oggetto (petitum immediato e mediato); 4) delle ragioni della domanda (causa petendi). Si ritiene opportuno che dalla richiesta risultino gli elementi che giustificano la legittimazione del ricorrente, ossia gli elementi necessari per dimostrare che il ricorrente è investito del potere di chiedere il provvedimento. Si ritiene, peraltro, che gli elementi mancanti o erroneamente indicati nella richiesta potrebbero essere integrati o rettificati dal notaio nell’autorizzazione, dal momento che, come abbiamo già evidenziato e come avremo modo di vedere meglio più avanti, nell’ambito dei [continua ..]


4.2. La legittimazione

Con riferimento ai soggetti legittimati a proporre istanza per il rilascio dell’autorizzazione de quo l’art. 21 pone diverse questioni interpretative. Prima fra tutte l’individuazione dei soggetti riconducibili alle “parti”, ovvero se la norma richieda che l’istanza possa essere presentata esclusivamente dall’interessato, ove capace, o dal suo rappresentante legale; oppure da entrambe le parti dell’atto notarile con la conseguenza che si richiede che l’autorizzazione riguardi sia l’interessato, ove capace, o il suo rappresentante legale ove soggetto incapace, oltre alla controparte contrattuale, o invero solo quest’ultima. La funzione dell’autorizzazione, quale strumento di protezione del soggetto incapace, nella cui sfera giuridica, peraltro, si produrranno gli effetti connessi all’autorizzazione stessa [17], impone di ritenere che l’istanza debba essere presentata dai soggetti cui il codice civile conferisce la legittimazione – per minori, interdetti, inabilitati, amministrati – ovvero dai soggetti coinvolti nelle vicende relative ai beni ereditari. In ragione di detta esigenza dovrebbe escludersi che l’istanza provenga soltanto dalla controparte. Al contempo, sarebbe ben possibile che i legali rappresentanti dell’incapace (o l’interessato, ove capace) e la controparte, individuino congiuntamente il “notaio rogante”, ma appare preferibile ritenere che la legittimazione attiva, come d’altro canto avviene per la richiesta dinanzi al­l’Autorità giudiziaria, dovrebbe comunque essere imputata soltanto al rappresentante del soggetto incapace (o all’interessato, ove capace). Un ulteriore aspetto da analizzare sul dettato normativo dell’art. 21, è il richiamo alla nozione di “procuratore legale”, dal momento che tale figura non sembra più appartenere al tessuto giudiziario del nostro ordinamento. Il procuratore legale era il soggetto, laureato in giurisprudenza ed abilitato, che poteva rappresentare la parte in giudizio in cause civili e penali davanti alle Corti d’appello, ai Tribunali e un tempo alle Preture, del Distretto in cui era compreso il Tribunale competente. Con la riforma del 1997, il legislatore ha soppresso, come noto, l’albo dei procuratori legali, prevedendo espressamente che «il termine “procuratore legale” contenuto in [continua ..]


4.3. L’istruttoria

In forza di quanto disposto dall’art. 21, 2° comma: «il notaio può farsi assistere da consulenti, ed assumere informazioni, senza formalità, presso il coniuge, i parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione, o nel caso di beni ereditari, presso gli altri chiamati e i creditori risultanti dall’inventario, se redatto. Nell’ipotesi di cui all’articolo 747, quarto comma, del codice di procedura civile deve essere sentito il legatario». Per quanto concerne il potere del notaio di “assumere informazioni”, questo deve intendersi pacificamente quale potere ufficioso, esercitabile, in quanto tale, indipendentemente dalla sussistenza di una richiesta in tal senso da parte del soggetto che ha richiesto l’autorizzazione che sicuramente non si esaurisce nella mera audizione dei soggetti indicati dalla norma. Ciò posto, però, non appare possibile ritenere che l’attribuzione al notaio del potere di “assumere informazioni” equivalga ad indicare un vero e proprio modello istruttorio in tutto e per tutto parificabile a quello che il legislatore conferisca al giudice. L’attribuzione da parte del legislatore al notaio del potere di chiedere informazioni, infatti, non ha carattere generico, ma è ben circoscritto, sul piano soggettivo, mediante l’indicazione soltanto di taluni soggetti, ovvero il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione, o nel caso di beni ereditari, gli altri chiamati e i creditori risultanti dall’inventario, se redatto. Al contempo, la lettera della norma ha cura altresì di sottolineare come detta “assunzione di informazioni” debba avvenire “senza formalità”. È bene rimarcare, infatti, come quello in esame non possa qualificarsi come un vero e proprio metodo istruttorio, ma semmai come un’istruttoria estremamente semplificata, sulla falsariga di quella che pone normalmente in essere il giudice tutelare. Ciò non vuol dire, peraltro, che possano essere totalmente pretermessi taluni adempimenti, come la verbalizzazione dell’assunzione delle informazioni o che, quanto meno, si dia conto delle risultanze dell’assunzione delle stesse nel corpo del testo dell’atto con il quale il notaio concede o [continua ..]


5. L’autorizzazione ed il diniego dell’autorizzazione notarile

5.1. L’autorizzazione L’art. 21, 4° comma, dispone che: «l’autorizzazione è comunicata, a cura del notaio, anche ai fini dell’assolvimento delle formalità pubblicitarie, alla cancelleria del tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale e al pubblico ministero presso il medesimo tribunale». Dalla formulazione della norma, non sembra che il legislatore abbia richiesto particolari requisiti da un punto di vista formale. Sebbene non sia indubbio che l’autorizzazione debba rivestire la forma scritta, al fine di consentire l’assolvimento dei conseguenti obblighi di comunicazione ed eventualmente di notificazione richiesti dalla norma e garantire il diritto di impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria, difficile è sostenere che debbano essere rispettati gli ulteriori formalismi richiesti per l’atto pubblico e per le scritture private autenticate. Benché, infatti, si tratti di un atto emesso dal notaio nell’esercizio della sua funzione, l’autoriz­zazione non può considerarsi un vero e proprio un atto ricevuto dal notaio. Alla luce di quanto detto, potrà essere stesa in calce alla richiesta scritta delle parti di cui al­l’art. 21. Quanto al contenuto dell’autorizzazione, ci si è chiesti se il notaio possa rilasciare un’autoriz­za­zione differente rispetto a quanto richiesto dalla parte istante. La tematica in esame, attinente all’applicabilità in sede di volontaria giurisdizione del principio della domanda e di quello della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, è stata già affrontata dalla dottrina e giurisprudenza con riferimento all’autorizzazione giudiziale. Secondo un orientamento ormai consolidato in dottrina, il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nei procedimenti camerali, non opera alla stessa stregua dei procedimenti ordinari, in considerazione degli ampi poteri inquisitori riservati al giudice [21]. In particolare, è stato affermato che in tale ambito non vige un divieto di ultra et extra petita partium, in quanto la domanda di parte funge soltanto da stimolo all’esercizio dei poteri deliberativi del giudice, i quali sono fissati dalla singola norma che, di volta in volta, tipizza ogni fattispecie [22]. In questa ottica si è [continua ..]


5.2. Il diniego

La disciplina in esame non analizza espressamente la possibilità che il “notaio rogante” non ritenga che sussistano le condizioni di legge affinché venga rilasciata l’autorizzazione richiesta. Nonostante tale lacuna normativa, è stato correttamente ritenuto [24] che, anche nel caso di diniego, sia richiesto un atto (un provvedimento), che deve rivestire parimenti la forma scritta per le motivazioni sopra elencate, da parte del notaio, il quale evidentemente non può non rispondere all’istanza di parte, anche quando la risposta sia negativa. Anche il diniego dell’autorizzazione richiesta sarà suscettibile di essere reclamato, ma non soggiace invece agli obblighi di comunicazione, di cui fra poco si tratterà, nei confronti della “cancelleria del tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale” e del “pubblico ministero presso il medesimo tribunale”, così come invece previsto dal­l’art. 21 solo con riferimento all’autorizzazione al compimento del negozio. Con riferimento al contenuto sostanziale dell’autorizzazione e del diniego, ovvero al loro contenuto, nonostante manchino indicazioni espresse sul punto, non sembra in dubbio che entrambe debbano essere motivati, costituendo la motivazione un requisito imprescindibile, non solo per comprendere i motivi della decisione adottata dal notaio, ma anche, e soprattutto, per consentire, ai soggetti a ciò legittimati, di proporre reclamo dinanzi all’autorità giudiziaria [25]. La necessità della motivazione rappresenta, dunque, non solo un’esplicitazione del legittimo e trasparente utilizzo del nuovo delicato potere conferito dalla legge al notaio, ma anche l’impre­scindibile strumento per tutelare al massimo gli interessi del soggetto incapace che vengono in rilievo nel singolo caso di specie.


5.3. Le comunicazioni

L’art. 21 prosegue al 4° comma disponendo testualmente che: «l’autorizzazione è comunicata, a cura del notaio, anche ai fini dell’assolvimento delle formalità pubblicitarie, alla cancelleria del tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale e al pubblico ministero presso il medesimo tribunale». Può quindi affermarsi che sul notaio grava l’obbligo di comunicare il provvedimento che ha per destinatari l’ufficio giudiziario e il pubblico ministero, oltre che naturalmente la parte istante, al fine del decorso del termine del reclamo. Diverse sono le funzioni attribuibili alle diverse comunicazioni. Con riferimento alla comunicazione alla cancelleria del tribunale competente al rilascio dell’autorizzazione, si rileva che questa abbia funzione di notizia, del tutto paragonabile a quelle che esplica il notaio incaricato di ricevere un’accettazione di eredità con beneficio di inventario o della rinuncia all’eredità al fine dell’inserimento del verbale nel registro delle successioni. Nel caso di specie infatti si pone una stringente esigenza di coordinamento fra il canale autorizzatorio giudiziale e quello notarile, posto che il giudice tutelare dev’essere informato dell’in­tervenuta concessione di una determinata autorizzazione che potrebbe essere già stata presentata in sede giudiziale o su cui potrebbe essere chiamato ad intervenire successivamente, ove venga proposta un’istanza di revoca o modifica dell’autorizzazione notarile. Deve rilevarsi, però, che ad oggi non è ancora stata prevista la costituzione di un apposito registro destinato alle autorizzazioni notarili. La comunicazione al pubblico ministero, a differenza della comunicazione all’ufficio giudiziario, è invece funzionale all’impugnazione dell’autorizzazione notarile da parte dello stesso o alla presentazione di un ricorso per revoca o modifica dell’autorizzazione e per tale motivo dovrebbe essere effettuata, non solo in caso di autorizzazione, ma anche in caso di diniego dell’auto­rizzazione. La ratio dell’attribuzione al pubblico ministero del potere generalizzato di impugnativa o di promozione della revoca o modifica dell’autorizzazione notarile va rinvenuta nell’esclusione, operata dal legislatore, dell’intervento [continua ..]


5.4. La notificazione dell’autorizzazione o del diniego di autorizzazione

In forza di quanto disposto dal 6° comma dell’art. 21, «le autorizzazioni acquistano efficacia decorsi venti giorni dalle notificazioni e comunicazioni previste dai commi precedenti senza che sia stato promosso reclamo». Nei commi precedenti non v’è alcun riferimento espresso a notificazioni da effettuarsi da parte del notaio. È stato ritenuto quindi che la suddetta norma intenda implicitamente far riferimento alla previsione del codice di rito civile, contenuta nell’art. 739 (rubricata “Reclami delle parti”), in forza della quale «il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato in confronto di una sola parte o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti». Pertanto, nell’ipotesi di procedimenti autorizzatori unilaterali [26] il notaio dovrà effettuare esclusivamente la comunicazione al soggetto istante e da questa comunicazione decorrerà il termine per la proposizione del reclamo, salvo ovviamente l’obbligo di comunicazione, prescritto dal 4° comma dell’art. 21, sopra analizzato. Nei casi, seppur non frequenti nella prassi, di procedimenti autorizzatori plurilaterali, il notaio dovrà effettuare, oltre alle suddette comunicazioni, anche la notificazione ai soggetti differenti dall’istante che siano legittimati a proporre il reclamo e da questa notificazione decorrerà il termine per la proposizione di quest’ultimo. Quanto alle modalità di effettuazione delle notificazioni, non essendoci attualmente una normativa che abiliti il notaio espressamente a provvedere in prima persona all’effettuazione della notificazione, analogamente a quanto consentito invece all’avvocato [27], in assenza di specifiche previsioni da parte della normativa in esame, la soluzione più prudente è quella di procedere a mezzo di ufficiale giudiziario, stante anche il tendenziale rinvio contenuto nell’art. 21, alle previsioni di cui al codice di procedura civile.


5.5. L’efficacia dell’autorizzazione notarile e la mancata proposizione del reclamo

Il 6° comma dell’art. 21 stabilisce che «le autorizzazioni acquistano efficacia decorsi venti giorni dalle notificazioni e comunicazioni previste dai commi precedenti senza che sia stato proposto reclamo. Esse possono essere in ogni tempo modificate o revocate dal giudice tutelare, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca». La norma ripropone il tenore letterale dell’art. 741 del codice di rito, ove per efficacia si intende l’idoneità del provvedimento a produrre gli effetti che gli sono propri, e quindi le relative modificazioni giuridiche. Nel caso di impugnazione dell’autorizzazione notarile ex art. 21 del d.l.gs., non si potrebbe validamente stipulare l’atto notarile destinato a produrre effetti nella sfera giuridica del soggetto incapace, e, se stipulato, non potrebbero essere considerati salvi i diritti acquistati in buona fede dei terzi. La dottrina in tema di volontaria giurisdizione [28] ha osservato come il mancato conseguimento dell’efficacia, e pertanto della definitività del provvedimento equivalga sul piano degli effetti alla mancanza del decreto stesso. Pertanto, con riguardo all’autorizzazione ex art. 21 della riforma, può affermarsi che l’efficacia dell’autorizzazione consegue per effetto dell’avvenuta definitività della stessa, e, pertanto, al vano decorso del termine per proporre il reclamo.


6. Il reclamo

Come ampiamente rilevato, il 5° comma dell’art. 21 prevede che «l’autorizzazione può essere impugnata innanzi all’autorità giudiziaria secondo le norme del codice di procedura civile applicabili al corrispondente provvedimento giudiziale». Nonostante la norma in esame rechi un riferimento espresso alla sola autorizzazione e non anche al diniego di autorizzazione o, in via più generale, all’atto adottato dal notaio a fronte della richiesta di autorizzazione ricevuta, sembrerebbe corretto ritenere che (anche) il diniego di autorizzazione sia reclamabile. Tale la soluzione sembrerebbe maggiormente rispondente agli interessi del soggetto bisognoso di tutela, nonché quella più conforme al sistema, dal momento che già in occasioni analoghe è stata affermata la non fungibilità fra riproponibilità dell’istanza e reclamabilità del provvedimento di rigetto della stessa, anche da parte della Corte costituzionale (nel caso di specie, con riferimento al reclamo cautelare) [29]. Si tratta, infatti, di una soluzione che, in una prospettiva ermeneutica costituzionalmente orientata, risponde ad una fondamentale esigenza di rispetto del sistema di garanzie costituzionali proprie del giusto processo. A seconda che l’oggetto dell’impugnazione sia l’autorizzazione oppure il rigetto della richiesta, viene in rilievo il diverso interesse del legittimato attivo. Nel primo caso, infatti, l’interesse è rappresentato dalla esigenza di impedire il compimento dell’atto prima di un controllo da parte dell’autorità giudiziaria; nel secondo, l’interesse è volto ad ottenere l’autorizzazione e dunque un ampliamento della sfera giuridica soggettiva del soggetto incapace, ferma, comunque, la possibilità di proporre nuovamente l’istanza, sia al medesimo notaio, sia ad un altro notaio cui venga previamente affidato l’incarico della stipula dell’at­to che richiede l’autorizzazione, sia all’autorità giudiziaria. In analogia, rispetto a quanto affermato nel corso del tempo, per l’autorizzazione giudiziale, deve ritenersi che oggetto di reclamo possa essere sia la denuncia di una violazione di legge sostanziale o processuale; sia la deduzione della valutazione erronea dei motivi di opportunità e di convenienza a provvedere [continua ..]


6.1. I motivi

Con riferimento ai motivi oggetto di reclamo, alla luce della evidente analogia funzionale tra reclamo avverso l’autorizzazione notarile ex art. 21 e quello avverso l’autorizzazione giudiziale, deve ritenersi che possa rinvenirsi una identità tra gli stessi e che pertanto il reclamo possa riguardare il merito dell’atto (ad es. alla congruità del prezzo, una errata valutazione dell’inte­resse del soggetto incapace ritenuto dal soggetto reclamante non idoneamente soddisfatto dal­l’autorizzazione concessa o dal relativo diniego o, ancora, ad una carenza di legittimazione della provenienza della richiesta, effettuata non dal rappresentante legale dell’incapace ma dalla controparte dell’atto negoziale); il procedimento seguito dal notaio (ad esempio, perché non sia stato sentito il legatario così come prescritto dall’art. 21, 2° comma), ma anche la forma della richiesta, (ad esempio per la mancanza di richiesta scritta al notaio dell’autorizzazione, come prescrive il 1° comma).


6.2. La competenza

La competenza del reclamo è disciplinata dall’art. 739 del codice di rito, così come da ultimo riformulato dal legislatore. Tale norma dispone, infatti: «contro i decreti del giudice tutelare si può proporre reclamo al tribunale, che pronuncia in camera di consiglio in composizione monocratica quando il provvedimento ha contenuto patrimoniale o gestorio, e in composizione collegiale in tutti gli altri casi. Del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato. Contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio in primo grado si può proporre reclamo con ricorso alla corte di appello, che pronuncia anch’essa in camera di consiglio». Nella specifica ipotesi che ci occupa, dunque, dal momento che l’autorizzazione notarile deve considerarsi sostitutiva dell’autorizzazione emessa dal giudice tutelare, sarà impugnabile dinanzi al tribunale ordinario, che pronuncia in camera di consiglio. Nell’ipotesi di rilascio da parte del notaio di un’autorizzazione per atti rientranti nella competenza del tribunale, il reclamo andrà proposto dinanzi alla Corte d’Appello. Sotto il profilo della individuazione del giudice territorialmente competente, la norma andrebbe interpretata nel senso di individuare la circoscrizione nel cui ambito rientra l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente ad emettere l’autorizzazione.


6.3. Il termine per la proposizione del reclamo

Parimenti a quanto sopra detto con riguardo alla competenza del giudice, anche i termini per proporre l’impugnazione possono essere ricavati dal disposto dell’art. 739 c.p.c., che al 2° comma li fissa in dieci giorni dal provvedimento. A seconda che si tratti di provvedimenti unilaterali oppure bilaterali o multilaterali, i termini decorrono rispettivamente dalla comunicazione del provvedimento o dalla sua notificazione. In questa sede è opportuno segnalare la differente impostazione, che se pur astrattamente sostenibile, sembra mal conciliarsi con i dettati della normativa de quo, tendente a ritenere che, in forza di quanto disposto dal 6° comma dell’art. 21, il termine per la proponibilità del reclamo sarebbe invece di venti giorni, ossia uguale al termine ivi previsto per l’acquisizione di efficacia delle autorizzazioni. Una tale soluzione, infatti, da un lato si scontra con il chiaro disposto di cui al 5° comma dell’art. 21, e dall’altro non appare pienamente supportata dalla lettera del 6° comma del­l’art. 21, il quale dispone testualmente che «le autorizzazioni acquistano efficacia decorsi venti giorni dalle notificazioni e comunicazioni previste dai commi precedenti senza che sia stato proposto reclamo». È stato sostenuto infatti che le innovazioni, rispetto a quanto disposto dal codice di procedura civile, effettuate dal legislatore sono state espressamente chiare: si pensi al termine di acquisizione di efficacia dell’autorizzazione dalle suddette notificazioni e comunicazioni, talune delle quali, peraltro, come abbiamo già avuto modo di evidenziare, hanno una mera funzione di notizia e non sono invece funzionali rispetto alla proposizione del reclamo (un esempio, per tutte, alla comunicazione dell’autorizzazione da effettuarsi all’ufficio giudiziario). Nel caso del termine per il reclamo invece il legislatore non ha ritenuto necessario intervenire con una modifica rispetto a quanto già previsto dall’art. 739 c.p.c. ed anzi ha indicato il mancato reclamo, come condizione imprescindibile per l’acquisizione dell’efficacia del provvedimento emesso dal notaio. Ciò posto, è possibile sostenere che ci troviamo di fronte di uno sfalsamento temporale fra il termine per la proposizione del reclamo (di 10 giorni) e quello per l’acquisizione di efficacia dell’autorizzazione (di 20 [continua ..]


6.4. I soggetti legittimati alla proposizione del reclamo

In conclusione, si desidera analizzare a chi spetti la legittimazione attiva a proporre reclamo avverso l’autorizzazione emessa da notaio in luogo dell’autorità giudiziaria. Mentre da un lato, la giurisprudenza, applicando così la regola generale dettata in tema di impugnazioni civili, afferma che le parti legittimate a proporre reclamo camerale sono solo quelle che hanno partecipato formalmente alla fase di prime cure, indipendentemente che si tratti di procedimenti unilaterali o bi-plurilaterali [30], diverse appaiono in dottrina le opinioni. Parte della dottrina [31] precisa che per i procedimenti unilaterali, la legittimazione spetterebbe solo a chi ha proposto il ricorso, con esclusione di eventuali altri soggetti, pur legati da situazioni di interesse, anche morale o affettivo, che abbiamo in qualche modo preso parte al procedimento (ad esempio in veste di c.d. “informatori”). Sostenendo tale interpretazione, nella fattispecie in esame, essendo la maggior parte dei casi riconducibili nell’ambito dei procedimenti unilaterali, il reclamo sarebbe, dunque, circoscritto, in linea di principio, alle ipotesi di diniego dell’autorizzazione, ferma restando la peculiare posizione del pubblico ministero [32], già sopra analizzata, ovvero al caso di accoglimento parziale della richiesta di autorizzazione o comunque difforme rispetto al petitum [33]. Nel caso di procedimenti bi o plurilaterali, secondo la tesi analizzata, il reclamo sarà proponibile dai soggetti nei cui confronti è stato instaurato il contraddittorio in primo grado, indipendentemente dalla loro effettiva partecipazione al procedimento [34]. A tal proposito alcuni autori [35] hanno puntualizzato che, sia nei procedimenti unilaterali che in quelli bi e plurilaterali, sono da considerarsi legittimati al reclamo i cd. co-legittimati disgiunti, ovvero coloro i quali non hanno proposto il ricorso ma che sono intervenuti in primo grado. Diversamente, e non senza obiezioni, altra parte della dottrina [36] ritiene di non poter considerare legittimati, né i cd. colegittimati disgiunti, i quali non hanno proposto il ricorso e non sono intervenuti in primo grado, né quanto meno i soggetti che sono stati terzi rispetto al procedimento di primo grado [37].


NOTE