A seguito della “Riforma Cartabia” la negoziazione assistita in materia familiare assume un nuovo ruolo, non solo meramente deflattivo sull’attività giudiziaria, ma anche promotore di una diversa cultura della crisi familiare, fondata sulla composizione degli interessi. L’Autrice si sofferma anche sui punti di debolezza della disciplina, quali l’efficacia esclusivamente obbligatoria degli accordi di trasferimento immobiliare ed il mancato beneficio del patrocinio a spese dello Stato. In tale contesto il legislatore ha attribuito ai professionisti della negoziazione nuovi oneri e responsabilità che, pertanto, necessiteranno di specifiche competenze.
Since the Cartabia Reform, assisted negotiation in family matters has taken on a new role, not merely of streamlining judicial activity, but also of promoting a different culture of family crisis, founded upon the settlement of interests. The author also discusses the weak points in the legislation, such as the exclusively mandatory effectiveness of real estate transfer agreements, and the lack of the benefit of defence at the State's expense. In this setting, lawmakers have given negotiation professionals new burdens and responsibility that will therefore require specific skills.
1. Premessa - 2. L’estensione della negoziazione assistita alle modalità di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio e la “legittimazione” dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti - 3. La determinazione degli alimenti - 4. La previsione dell’una tantum divorzile in sede di negoziazione assistita - 5. I trasferimenti immobiliari, solo effetti obbligatori - 6. Gli ulteriori oneri a carico degli avvocati - 7. L’attività istruttoria stragiudiziale: la contraddizione degli strumenti del processo fuori dal processo in materia di famiglia? - 8. L’esclusione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato - 9. Il modello predisposto dal CNF e la mediazione familiare - 10. La negoziazione assistita in modalità telematica e l’invio degli accordi tramite modalità telematica - 11. L’ascolto del minore - 12. La disciplina della fase presidenziale e i ruoli del Pubblico Ministero e del Presidente del Tribunale: “warning” per gli avvocati e le parti - NOTE
Il procedimento di negoziazione assistita in materia familiare, introdotto nel nostro ordinamento nel 2014 [1], oggi in parte modificato dalla legge di riforma sul processo [2], è interamente finalizzato alla conclusione di un accordo finale (l’accordo), tra i coniugi, i genitori o le parti, per regolare aspetti della vita “post-coniugale” dei membri del nucleo. La parola “accordo” richiama la musica e il cuore. Non solo il diritto. L’etimologia è incerta ma l’ipotesi principale è che venga dal latino cor, cordis (cuore) a cui poi è stato affiancato il significato di accordare nella sua accezione musicale [3]. L’avvocato che si occupa di diritto delle relazioni familiari e si confronta oggi con la Riforma in materia di negoziazione assistita familiare non deve vergognarsi di tenere a mente che si sta confrontando con un ambito del diritto che più di altri si intreccia con un mondo di relazioni anche affettivo che deve essere riorganizzato e “accordato”. Nella relazione della Commissione Luiso [4] si legge che le modifiche proposte (non tutte trasferite nella legge di riforma, lo vedremo) non solo avrebbero prodotto effetti deflattivi sull’attività giudiziaria “in quanto numerosi procedimenti verranno definiti fuori dalle aule di giustizia” ma avrebbero anche contribuito “a formare una diversa cultura della crisi familiare, fondata non più sul conflitto ma sulla composizione degli interessi, nell’ottica di creare un nuovo assetto di relazioni all’esito della fine della relazione personale”. Su questa premessa, è più agevole individuare il filo rosso [5] che lega tutta la Riforma [6] in materia di negoziazione assistita familiare e comprendere anche perché il legislatore non abbia colmato alcuni spazi apparentemente vuoti, lasciando alcune norme quasi “scarne” e all’interprete un incarico che sembra un poco periglioso. Uno sguardo complessivo sulla negoziazione familiare dopo la c.d. “Riforma Cartabia [7]” ce la mostra come uno strumento elastico con il quale i coniugi o genitori o le parti, accompagnati dall’assistenza di avvocate e avvocati, hanno la possibilità di esprimere al massimo la loro volontà e autonomia per comporre i propri interessi, anziché confliggere. Tutti gli attori che [continua ..]
Il “nuovo” 1° bis comma dell’art. 6, l. n. 162/2014 ha finalmente esteso la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli – minorenni e maggiorenni ma economicamente non autosufficienti – nati fuori del matrimonio, nonché alla modifica delle condizioni già determinate nei due casi precedenti. La legge di riforma ha così soddisfatto la necessità, non più eludibile [20], di superare la discriminazione ancora in essere sul piano processuale e della negoziazione assistita nei confronti dei figli delle coppie di fatto, rispetto ai figli di coppie coniugate. Discriminazione che già era stata risolta da tempo sul piano del diritto sostanziale dove i figli, di genitori coniugati e non, sono ormai pienamente parificati [21] tra loro nel loro comune ed unico status di “figli”. Il nuovo 1° comma bis dell’art. 6 prevede anche la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita per la determinazione dell’assegno di mantenimento a carico dei genitori, su richiesta del figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente. La norma ha “aperto” la porta della negoziazione assistita anche ai figli e non più soltanto ai genitori, legittimandoli a beneficiare dello strumento alternativo alla strada giudiziale. La legittimazione del figlio maggiorenne ad invitare i genitori alla negoziazione assistita sarà, seppur autonoma, concorrente con quella eventualmente spettante al genitore [22] che con esso coabiti [23] (nel caso di separazione, divorzio, scioglimento dell’unione di fatto o civile) – alla stregua di quel che accade in sede processuale [24]. Lo stesso si può dire nell’ipotesi di richiesta di mantenimento da parte del figlio ormai non più convivente con nessuno dei due genitori [25]. Invero, poiché i genitori sono entrambi obbligati ex art. 337 septies c.c. a contribuire al mantenimento del figlio, ci pare che sia il figlio che ciascuno dei due genitori possa ritenersi legittimato ad invitare l’altro genitore a partecipare alla negoziazione per la determinazione del suo mantenimento [26]. Qualcuno insiste nell’affermare che seppure il figlio è legittimato a proporre la negoziazione “la riforma non prevede la partecipazione del figlio alla [continua ..]
C’è da salutare con favore anche la previsione dell’art.1 bis dell’art. 6 laddove estende la possibilità di ricorre alla negoziazione assistita per la “determinazione degli alimenti, ai sensi dell’articolo 433 del codice civile”, e per la modifica di tali determinazioni. Posta l’ampiezza della previsione, potranno richiedere gli alimenti ricorrendo alla via della negoziazione assistita anche le coppie di fatto [33] con figli e senza figli e gli uniti civilmente. Il merito di questa apertura è per un verso quello di permettere alle coppie di fatto con figli di ricorrere alla c.d. “giurisdizione forense” per concordare in un sol procedimento la disciplina del mantenimento e affidamento dei figli e la eventuale determinazione degli alimenti ma per un altro anche quello di consentire alle coppie di fatto senza figli (che non potevano sino ad oggi ricorrere alla negoziazione assistita familiare [34]) di non imboccare obbligatoriamente la strada processuale per far valere il diritto agli alimenti. Non solo, con il rischio di rappresentare una visione onirica alla Philip Dick, anche questa nuova previsione lascia immaginare ulteriori possibili aperture per il futuro [35]. Posto infatti che gli alimenti possono essere richiesti da altri e vari soggetti, quali ad esempio il tutore o l’amministratore di sostegno, ci pare che anche costoro potrebbero ricorrere alla negoziazione assistita familiare permettendo così all’istituto di esplicare appieno la sua funzione di ridurre il carico dei Tribunali e di “esaltare” la responsabilità e autonomia privata, senza rigidi formalismi. Non pare infatti che ci siano ragioni ostative – a parte il deterrente dell’esclusione dal beneficio del patrocinio a spese dello Stato – considerato, come detto sopra che la norma parla anche in questo caso di convenzione conclusa tra “le parti” e non più solo tra “genitori” o “coniugi” mostrando la chiara intenzione di aprire la porta ad altri attori che gravitano intorno al nucleo familiare.
La Riforma ha altresì aggiunto un 3° bis comma all’art. 6 della l. n. 162/2014 con il quale ha previsto espressamente la possibilità della corresponsione di una somma una tantum nel caso di divorzio o scioglimento dell’unione civile, affidando agli avvocati negoziatori la valutazione di “equità”, “mediante certificazione di tale pattuizione, ai sensi dell’art. 5, 8° comma, della l. 1° dicembre 1970, n. 898”. Sino all’intervento della legge di riforma, la mancanza del controllo giurisdizionale sulla equità della somma escludeva che la sua previsione in sede di negoziazione assistita liberasse il coniuge obbligato da ulteriori e successivi versamenti [36]. La Riforma Cartabia ha trasferito sugli avvocati negoziatori la responsabilità della valutazione di equità della somma una tantum rendendo così possibile la sua previsione con “effetto tombale”, ovvero “liberatoria [37]” per il coniuge gravato dal versamento, con la conseguente impossibilità per il beneficiario di avanzare ulteriori pretese economiche [38]. Il legislatore ha così sottoposto una delle massime espressioni dell’autonomia negoziale delle parti (che risponde alle regole più del contratto che dell’assegno di mantenimento [39]) alla responsabilità degli avvocati negoziatori [40]. Come l’avvocato debba operare la valutazione di equità non è ovviamente precisato dalla norma ma sarà inevitabile richiamare la copiosa giurisprudenza in materia [41]. Resta la necessità che, anche ai fini di una eventuale responsabilità professionale, gli avvocati dovranno compiere una ricostruzione patrimoniale delle parti il più possibile esaustiva ed allegarla all’accordo di negoziazione. Qualcuno ha rilevato che forse sarebbe stato più corretto trasferire al Pubblico Ministero la competenza sulla valutazione di equità [42] ma la previsione del legislatore ci pare in linea con il ruolo extra processuale di warning del Pubblico Ministero [43] e di massima responsabilità degli avvocati a sostegno dell’autonomia delle parti.
La Riforma sembra porre un punto alla annosa questione dell’efficacia reale o solo obbligatoria degli accordi di negoziazione assistita in materia familiare che abbiano ad oggetto anche trasferimenti immobiliari. Il “nuovo” art. 6, 3° comma, prevede infatti ora che “gli eventuali patti di trasferimento immobiliari contenuti nell’accordo hanno effetti obbligatori”. In base al dato letterale della norma, sarà necessario pertanto un successivo e ulteriore passaggio dal Notaio per il compimento degli atti di trasferimento immobiliare e, nel caso di mancata esecuzione degli accordi, sarà necessario utilizzare il percorso lungo e periglioso offerto dagli strumenti di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. Il punto che ha posto la Riforma tuttavia è, come detto, solo apparente e lascia presagire altre evoluzioni. La previsione della possibile efficacia solo obbligatoria degli accordi, infatti, non “collima [44]” con la recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione [45] che è andata ben più avanti e – ponendo fine alla questione sino ad allora risolta in modo discordante e non uniforme dai nostri Tribunali [46] – ha riconosciuto una volta e per sempre la piena validità delle clausole di divorzio congiunto e separazione consensuale che prevedono il trasferimento della proprietà o di altri diritti reali e il valore di titolo efficace per la trascrizione, ai sensi dell’art. 2657 c.c., all’accordo contenuto nella sentenza [47]. Posta la sostanziale equiparazione dell’accordo di negoziazione assistita, una volta autorizzato o nulla ostato dal Pubblico Ministero o dal Presidente del Tribunale [48] ai provvedimenti giudiziali che definiscono i diversi procedimenti di separazione, divorzio etc., anche l’accordo di negoziazione assistita dovrebbe potere validamente prevedere trasferimenti immobiliari con efficacia reale, sia pur con un necessario passaggio dal Notaio per l’autentica dell’accordo (con attestazione della coerenza dei dati catastali con le risultanze dei registri immobiliari e con lo stato di fatto dell’immobile) secondo il principio enunciato dalla seconda sez. civile della Cassazione [49] che ha previsto la necessaria applicazione della previsione ex art. 5, 3° comma, della legge sulla negoziazione assistita anche agli accordi che prevedano il [continua ..]
La legge di riforma ha previsto ulteriori [55] oneri a carico degli avvocati negoziatori oltre a quelli già previsti dal 3° comma dell’art. 6. Il nuovo 3° ter comma, dell’art. 6 prevede infatti che gli avvocati debbano trasmettere l’accordo “senza indugio a mezzo posta elettronica certificata o con altro sistema elettronico di recapito certificato qualificato [56] al Consiglio dell’Ordine”, di uno dei due avvocati che lo hanno sottoscritto. I Consigli dell’Ordine saranno custodi di appositi archivi ad hoc e competenti al rilascio di copia autentica dell’atto alle parti e ai difensori che li hanno sottoscritti. Nel momento in cui scriviamo la norma è ancora in corso di attuazione e qualche Consiglio dell’Ordine ha appena provveduto alla creazione dell’archivio [57].
I nuovi artt. 4 bis e 4 ter prevedono la possibilità di “un’attività istruttoria stragiudiziale” consistente rispettivamente nell’acquisizione di dichiarazioni di terzi su fatti che riguardano l’oggetto della controversia e dichiarazioni confessorie delle parti “su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste” – ove la convenzione di negoziazione assistita lo preveda [58] – nel rispetto del contraddittorio e con la partecipazione di tutti gli avvocati. Nulla quaestio sulla utilità generale di tali strumenti nella negoziazione assistita obbligatoria o in ambito diverso da quello familiare. Suscita invece qualche perplessità la possibilità di utilizzo di tali strumenti tipicamente processuali in un contesto profondamente diverso da quello giudiziale. Un utilizzo proprio di tali strumenti presuppone un contesto avversariale che non è quello della negoziazione assistita familiare italiana ma che più appare simile a quello anglosassone e americano di pre-trial, zona di combattimento pre-processuale nella quale le parti mirano alla totale discovery [59]. Non solo, l’utilizzabilità delle dichiarazioni in un eventuale futuro giudizio [60] si pone in netto contrasto con le finalità compositive della lite proprie della negoziazione assistita familiare [61] soprattutto nella modalità sempre più diffusa del procedimento collaborativo. Ciò che “emerge” negli incontri a quattro in sede di negoziazione assistita deve restare riservato. Questo strumento alternativo alla strada giudiziale richiede per essere efficace – ovvero perché si possa percorrere la strada che conduce ad un accordo – un confronto libero da condizionamenti di sorta. Peraltro, ove la previsione di tali adempimenti istruttori sia contenuta nella convenzione di negoziazione, sembra in grado di superare anche gli obblighi di riservatezza ex art. 9, 3° comma, del d.lgs. n. 132/2014 [62], sia pur unicamente rispetto a quelle informazioni (ferma dunque la riservatezza di tutte le altre dichiarazioni rese e le altre informazioni acquisite nel procedimento). Nella relazione di accompagnamento al decreto di attuazione [63] viene precisato che la principale finalità di [continua ..]
La legge delega aveva previsto la possibilità di ricorrere al patrocinio a spese dello Stato per tutti i procedimenti di negoziazione assistita [65] in materia familiare. La legge di riforma, tuttavia, si è limitata a prevedere espressamente la possibilità del gratuito patrocinio per i soli casi di negoziazione assistita c.d. “obbligatoria” ovvero quando il suo esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, non dunque per quella familiare, per definizione non obbligatoria. Si tratta di una limitazione non da poco per la diffusione di questa procedura che porterà molti genitori o coppie di coniugi a scegliere la strada giudiziale sia pur consensuale, in contrasto con l’obiettivo di deflazione del lavoro dei Tribunali che è insito nella previsione legislativa della negoziazione assistita. Seppur si isola qualche voce in senso contrario e più ampio [66], la Suprema Corte con recentissima pronuncia [67] ha confermato che la previsione del gratuito patrocinio si limita per previsione normativa ai soli casi in cui la mediazione o la negoziazione siano obbligatorie, e non ai casi in cui mediazione o negoziazione siano facoltative come nel caso della negoziazione assistita in materia familiare.
Il “nuovo” 7° bis comma dell’art. 2 della legge sulla negoziazione assistita, prevede che la convenzione di negoziazione sia conclusa utilizzando il modello elaborato dal CNF, salvo diverso accordo delle parti. Il nuovo modello [68] in materia di negoziazione assistita familiare ha, tra gli altri, il merito di prevedere la possibilità di inserire nella parte relativa allo svolgimento della negoziazione, il preventivo esperimento di un percorso di mediazione familiare al termine del quale le parti si incontreranno – nel rispetto del termine previsto per la conclusione della procedura di negoziazione. Chi è avvezzo alla mediazione familiare avrà rilevato che spesso i tempi della mediazione familiare non coincidono con quelli più stretti della negoziazione assistita, richiedendo più di quattro mesi di tempo [69]. Considerato per altro il generale favor mediationis del legislatore che ha previsto la possibilità di far ricorso alla mediazione familiare pressoché in ogni momento in sede processuale contenziosa, ci pare che si potrebbe immaginare – su accordo delle parti e ove necessario – una sospensione del procedimento di negoziazione per il tempo necessario alla mediazione familiare.
Il nuovo 2°bis comma dell’art. 6 prevede che la negoziazione assistita possa avvenire in modalità telematica. È certamente un lascito della disciplina speciale dettata in tempo di pandemia. Ove la convenzione preveda la possibilità di fare ricorso alla modalità telematica, “ciascuno atto del procedimento compreso l’accordo conclusivo” deve essere formato e sottoscritto nel rispetto del codice dell’amministrazione digitale [70] e viene trasmesso via p.e.c. o s.e.r.c.q. Anche gli incontri possono svolgersi da remoto purché i sistemi di collegamento utilizzati garantiscano la “contestuale, effettiva e reciproca udibilità e visibilità delle persone collegate”. Ciascuna parte può chiedere di partecipare in presenza o da remoto. È esclusa la modalità telematica per l’acquisizione delle dichiarazioni di terzi. Se, infine l’accordo è contenuto in un documento che sia stato sottoscritto dalle parti in modalità analogica, gli avvocati devono certificare la sottoscrizione con “firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata o avanzata, nel rispetto delle regole tecniche di cui all’art. 20, 2° bis comma del d.l.vo n. 82 del 2005”. L’art. 6, prevede poi che l’accordo sia trasmesso dagli avvocati con modalità telematiche al Procuratore della Repubblica per il rilascio del nulla osta o dell’autorizzazione e che, una volta apposto il nulla osta o l’autorizzazione, il Procuratore trasmetta l’accordo sottoscritto digitalmente agli avvocati delle parti. Previsione un poco “lapalissiana [71]” considerato che alcune procure come quella di Roma [72], già da tempo hanno previsto la possibilità di utilizzare la modalità di trasmissione telematica degli accordi. Altre invece ancora non avevano previsto questa possibilità e non sono ancora organizzate. Una nota [73] del Ministero della Giustizia autorizza gli uffici ad accettare il deposito cartaceo in attesa che venga strutturato il flusso telematico.
La Riforma ha introdotto all’art. 6, 2° comma, una nuova previsione: ove il Pubblico Ministero ritenga che sia “opportuno” procedere all’ascolto dei “figli [74]” trasmette l’accordo entro cinque giorni al Presidente del Tribunale che fisserà entro trenta giorni la comparizione delle parti. Il legislatore ha ritenuto in questo modo di ottemperare alle prescrizioni di legge sovranazionali prima che nazionali che sanciscono la inderogabilità dell’ascolto dei minori nei procedimenti che li riguardano [75] – tranne nei casi in cui appaia superfluo o contrario al loro interesse – dando così ad un tempo risposta al doppio problema “teorico” dell’ascolto del minore e “pratico” di agevolare la circolazione all’estero degli accordi negoziati [76]. Uno sguardo sistemico alla cornice culturale e giuridica di “consensualità” e collaborazione in cui si colloca la negoziazione assistita familiare, rispetto ai tradizionali contesti giudiziari, permette di ritenere questa previsione già più che soddisfacente [77] a garantire ove necessario (leggasi ove non sia superfluo) l’imperativo sancito dalla normativa nazionale e sovranazionale sull’ascolto del minore. Invero, la presenza degli avvocati [78] impone già loro naturalmente e ben prima di arrivare ad una eventuale fase presidenziale – ove lo ritengano necessario e non superfluo – di delegare all’interno del procedimento di negoziazione assistita l’ascolto del minore ad un professionista terzo [79], individuando i temi dell’ascolto e richiedendo una relazione finale. Uno spunto interessante è offerto dal Protocollo [80] concluso tra la Procura di Genova e l’Ordine degli Avvocati di Genova in materia di negoziazione assistita, laddove prevede – a maggior garanzia del rispetto delle norme nazionali e sovranazionali in materia di ascolto del minore – che, ove gli avvocati ritengano superfluo l’ascolto del minore, ne diano atto all’interno dell’accordo. Nulla dice la norma sulle modalità di ascolto del minore, a differenza di quanto accade in sede processuale.
Qualcuno [81] avrebbe auspicato una disciplina più dettagliata della (eventuale) fase presidenziale e qualche chiarimento del legislatore sui rispettivi ruoli del Pubblico Ministero e del Presidente del Tribunale. La Riforma nulla ha aggiunto infatti alla previsione ex art. 6, 2° comma [82], della legge sulla negoziazione assistita, in presenza di figli minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti o portatori di handicap, se non il rinvio al Presidente anche nel caso in cui il PM ravvisi la necessità che “i figli” vengano ascoltati [83], oltre all’ipotesi in cui trovi gli accordi non rispondenti agli interessi dei figli. Restano immutati i tempi ristretti previsti per il rinvio al Presidente e la convocazione delle “parti”. In assenza di figli, la norma continua a tacere su cosa accada dopo che il PM abbia rifiutato il nulla osta per eventuali irregolarità rilevate [84]. Eppure, il perdurante silenzio del legislatore su questi profili non pare debba leggersi come dimenticanza. Se dobbiamo sempre cercare il filo rosso [85] che lega l’intera Riforma, anche laddove la Riforma pare tacere, possiamo agevolmente leggere l’eventuale intervento nel procedimento di negoziazione del Presidente del Tribunale su invio del Pubblico Ministero, come un limite all’autonomia delle parti che ha però finalità “conservative” dell’accordo [86], in linea con l’anima e la ratio della negoziazione assistita familiare, così come sostenuto dal Tribunale di Roma. Nel caso di irregolarità rilevate dal Procuratore pare coerente con l’anima della negoziazione familiare, consentire alle parti di adeguare l’accordo alle osservazioni del Pubblico Ministero [87]. Rispetto all’eventuale comparizione delle parti davanti al Presidente, il suo intervento all’interno del procedimento di negoziazione (perché siamo ancora nel procedimento di negoziazione e non nel territorio del processo di famiglia) va letto all’interno del “sistema” che riconosce sovranità alla volontà e all’autonomia delle parti (in rottura con il passato quando prevalente era invece la rilevanza pubblicistica della crisi familiare). Così, per poter cogliere il ruolo del Presidente del Tribunale, anche rispetto alle osservazioni del PM, come ruolo “servente (se non [continua ..]