Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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La violenza di genere e la violenza intrafamiliare: emergenze che esigono soluzioni. La Riforma Cartabia risponde con il rito speciale violenza (di Lorenza Razzi, Avvocata in Prato)


L'autrice tratta le ipotesi di vittimizzazione secondaria nelle varie fasi del procedimento civile: l’affida­mento dei figli; i procedimenti de responsabilitate; l’invito alla mediazione; il mancato coordinamento tra autorità civile e penale.

Si conclude con una breve analisi delle norme della Riforma Cartabia sul “Rito violenza”, volte ad evitare la vittimizzazione secondaria delle vittime di violenza e a garantirne la tutela processuale.

The author discusses the cases of secondary victimization in its various phases of civil proceedings: awarding custody of children; de responsabilitate proceedings; application for mediation; lack of coordination between the civil and criminal authorities.

She concludes with a brief analysis of the Cartabia reform’s rules on “Violence procedure,” aimed at preventing the secondary victimization of violence victims and at guaranteeing their defence in court.

SOMMARIO:

1. La violenza domestica o di genere e la vittimizzazione secondaria nel processo - 2. La vittimizzazione secondaria nei procedimenti de responsabilitate - 3. Il “Rito violenza” della Riforma Cartabia - 4. Considerazioni conclusive - NOTE


1. La violenza domestica o di genere e la vittimizzazione secondaria nel processo

La violenza domestica, o di genere, nella Riforma ha avuto un’attenzione speciale, e questa è una delle novità “culturali” portanti della Riforma. La Riforma Cartabia, oltre ad avere il merito di avere unificato i riti e le tutele ha anche quello di avere – finalmente – affrontato l’impatto delle questioni legate ai fatti di violenza domestica, o di genere, sui procedimenti che regolano la crisi della famiglia, curando che il dettato normativo sia aderente ai principi della Convenzione di Istanbul [1]; facendo sì che tali vicende abbiano una tutela processuale dedicata. L’allarmante diffusione, o forse sarebbe meglio dire emersione, di condotte di violenza domestica e nei confronti delle donne ha portato all’adozione di numerosi interventi da parte del legislatore, nazionale e sovranazionale, per il suo contrasto. Il nostro legislatore è da tempo consapevole della necessità di individuare le misure idonee a contrastare il drammatico fenomeno, e lo ha fatto, sinora, in prevalenza rafforzando la tutela penale, con la introduzione di specifiche norme [2]. Ciò rappresenta una dovuta risposta delle istituzioni, ma ha dimostrato di non essere la soluzione del problema, non avendo avuto l’ef­fetto di diminuire il fenomeno (la cronaca riporta, in media, un femminicidio ogni tre giorni). Occorre sottolineare con forza che il fenomeno ha radice culturale: la Convenzione di Istanbul, ratificata in Italia con la l. 27 giugno 2013, n. 77, ha inserito il contrasto alla violenza domestica e di genere nella categoria della tutela dei diritti umani. La violenza deve essere combattuta alla radice, che è culturale, e il luogo per eccellenza dove si esplica in tutte le sue forme, fisica, psicologica, economica, è la famiglia. È dunque nell’ambito delle relazioni familiari che deve concentrarsi l’azione di contrasto alla violenza. È, peraltro, estremamente complesso fare emergere la violenza in sede processuale, e in particolare nel processo civile. La vittimizzazione secondaria, come il legislatore della Riforma ha ben presente, è la principale conseguenza del mancato riconoscimento della volenza di genere in sede civile. La Convenzione di Istanbul contrasta la vittimizzazione secondaria con la previsione, all’art. 18, che le parti contraenti debbano adottare le misure necessarie, legislative o di altro [continua ..]


2. La vittimizzazione secondaria nei procedimenti de responsabilitate

Nei procedimenti cosiddetti de responsabilitate si danno frequentemente provvedimenti di sospensione dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, con pari limitazione della responsabilità genitoriale sia del genitore che ha agito la violenza domestica, sia del genitore vittima. È dato di comune esperienza che quando viene attivato un procedimento avanti al Tribunale per i Minorenni a seguito di segnalazione di condotte violente agite da un genitore ai danni dell’altro, e in presenza di figli/e minori, vengano adottati provvedimenti, ancora una volta standardizzati, che dispongono l’affidamento del figlio/a al Servizio Sociale, anziché al genitore non violento. Il che inevitabilmente implica il dubbio sulla adeguatezza della capacità genitoriale della vittima, che viene così limitata nella gestione dei figli/e, costretta ad interagire con soggetti istituzionale (i Servizi), ed esposta al giudizio anche da parte di questi. Raramente i provvedimenti di questo tenore (che ricorrono soprattutto nei procedimenti davanti al Tribunale per i Minorenni) ne specificano la motivazione; si può solo opinare che il genitore vittima sia ritenuto incapace di proteggere il minore dalla violenza assistita. Anche in questo ambito vanno dunque evitati i provvedimenti generici, che non tengono conto delle caratteristiche della violenza domestica, e che determinano distorsioni che difficilmente saranno rimediabili nel corso del procedimento, e che ricadono in danno delle donne vittime di violenza e dei minori. L’art. 31 della Convenzione di Istanbul, non ci stanchiamo di sottolinearlo, prevede che «al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, devono essere presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione». Anche la disciplina del diritto di visita del padre è un provvedimento che di regola viene assunto in modo stereotipato, in assenza di accertamento sulla rispondenza delle visite al benessere dei figli, e rappresenta un’altra, grave forma di vittimizzazione secondaria. Laddove la violenza non venga riconosciuta, o sottovalutata, non viene adottata alcuna tutela per i figli e per le madri, con il rischio che le condotte violente si realizzino di nuovo o in danno dei minori nei periodi di frequentazione, o in danno della madre, nel momento in cui il padre prelevi o riceva i minori per [continua ..]


3. Il “Rito violenza” della Riforma Cartabia

Una intera Sezione, all’interno del Capo III del Libro II, del Titolo IV bis, dedicato alle disposizioni speciali, si occupa “Della violenza domestica o di genere”. Si tratta di un procedimento di famiglia speciale che in parte deroga alle norme che dettano disposizioni generali per i procedimenti di famiglia, con l’obiettivo di rafforzare la posizione processuale delle vittime di violenza; con la conseguenza che, per quanto non espressamente disciplinato, il procedimento resta soggetto alle norme del rito unitario. Il legislatore chiaramente ha inteso tutelare, nell’ambito della famiglia, la vittima di violenza in quanto donna, adottando la definizione “violenza domestica o di genere”, nella scia del dettato della Convenzione di Istanbul. Si ricava, dalla Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022, che il legislatore della Riforma ha voluto tutelare le vittime di violenza in senso lato, non limitando la tutela a una nozione solo penalistica: e intendendo con il termine violenza domestica tutti gli atti di violenza, sia essa fisica, sessuale, psicologica o economica, all’interno del nucleo familiare, ancora in linea con la Convenzione di Istanbul. Per altro verso, il legislatore ha tenuto conto del fatto che il contenzioso familiare può coesistere con iniziative assunte in sede penale dalle parti, e si è posto il problema del coordinamento tra l’autorità giudiziaria civile e quella penale. Come già richiamato, la normativa penale è stata recentemente Riformata dalla l. n. 69/2019, il c.d. “Codice rosso”, appena integrato, con norme ancora più incisive, con l. n. 122/2023 pubblicata in G.U. il 15 settembre 2023. L’art. 473 bis.40, relativo all’ambito di applicazione del rito speciale, contiene una novità che potrà avere portata dirompente: le disposizioni in tema di violenza domestica, infatti, trovano applicazione in presenza di allegazioni di abusi familiari o condotte di violenza domestica poste in essere dalle parti, l’una nei confronti dell’altra, o dei figli. Il fatto che il giudice debba prendere in considerazione la sola allegazione è di massimo interesse. Pare, infatti, che venga così introdotta una regola di giudizio nuova, addirittura suscettibile di andare in conflitto con i principi in materia di onere della prova, resa possibile dalla specificità del procedimento: e, [continua ..]


4. Considerazioni conclusive

Il legislatore della Riforma ha il grande merito di avere individuato tutti i momenti, nell’ambito del procedimento civile di famiglia, nei quali possono realizzarsi forme di vittimizzazione secondaria, di averli disciplinati singolarmente e cercato di dare specifica soluzione a ciascuno di essi. I punti nodali della Riforma possono riconoscersi in due temi. La rilevanza delle “sole” allegazioni, il che significa che l’ordinamento si pone, nei confronti delle vittime di violenza, in una condizione non giudicante, ma di ascolto accogliente, in modo da dare una risposta rapida, tutelante ed efficace. La piena applicazione all’art. 31 della Convenzione di Istanbul, che prevede che il giudice tenga conto degli episodi di violenza “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli”: dato che una corretta decisione sull’affidamento dei figli è imprescindibile, in quanto rappresenta per il maltrattante strumento di controllo e di reiterazione nell’esercizio della violenza. Ci sia consentito ricordare in chiusura (la notizia è del 22 settembre 2023) un ennesimo richiamo dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa all’Italia, che evidenzia le carenze del sistema di protezione delle donne che subiscono violenza, e definisce una “risposta inefficace e tardiva” quella delle autorità italiane alle denunce di violenza domestica subite dalle donne. Il Consiglio d’Europa ha espresso “preoccupazione” per i dati dell’Italia, che “riflettono una percentuale costantemente elevata di procedimenti relativi alla violenza domestica e sessuale archiviati nella fase delle indagini preliminari, un uso limitato degli ordini di protezione e un tasso significativo di violazione degli stessi”: in altri termini, le denunce delle donne, e di conseguenza la violenza intra-familiare e di genere vengono pericolosamente sottovalutati. La Riforma Cartabia, con l’introduzione del rito violenza, può costituire un efficacissimo strumento di sradicamento di questo male: tuttavia, da sola non sarà sufficiente, se non accompagnata da un parallelo percorso di formazione, che interessi tutti i soggetti del processo, e al contempo dal cambiamento culturale, che interessi la società intera.


NOTE