L'autrice analizza i rapporti tra il principio di indisponibilità dell'assegno divorzile, nella parte in cui assolve a una funzione assistenziale del coniuge debole, e le modifiche introdotte dalla riforma Cartabia che, se sotto certi aspetti riprendono i precedenti orientamenti, sotto altri introducono delle modifiche che potrebbero avere rilevanti risvolti applicativi per la tutela del coniuge. La riforma introduce, inoltre, una sorta di statuto delle domande aventi a oggetto diritti indisponibili, nel quale però sembra non potersi includere la domanda di assegno divorzile. Si delinea così un quadro in cui la tutela del coniuge debole non passa più tanto per l'indisponibilità dell’assegno divorzile, ma per la garanzia di una disposizione consapevole del medesimo.
The author analyzes the relationships between the principle of alimony inalienability, in the part in which fulfils a welfare function of the spouse, and the rules introduced by the Cartabia reform that, while in some respects confirm the previous guidelines, in other introduce changes that could have significant implications for the protection of the weaker spouse. The reform also introduces a kind of statute for claims relating to unavailable rights, but it does not seem to include the one for an alimony. This provides a framework in which the protection of the weaker spouse no longer passes so much for the unavailability of the divorce allowance, but rather for the protection of a conscious disposition of the same.
1. L’indisponibilità dell’assegno divorzile. Cenni - 2. I segnali contrastanti della giurisprudenza e della normativa - 3. Indisponibilità dell’assegno e obbligo di discovery - 4. Indisponibilità dell’assegno e decadenze nel petitum - 5. Indisponibilità dell’assegno e impugnazioni - 6. Conclusioni - NOTE
La natura disponibile o indisponibile dell’assegno divorzile è da sempre motivo di contrasto in dottrina. La tesi classica riconduce l’indisponibilità dell’assegno per il coniuge, di mantenimento e divorzile, sia all’art. 160 c.c., sia alla natura assistenziale e alimentare della prestazione [1]. Questi due elementi, tuttavia, si sono consistentemente modificati negli anni; attualmente, prevale infatti la tesi della disponibilità degli assegni, contraddetta però, come si vedrà, da parte della giurisprudenza. La tesi che sostiene la disponibilità dell’assegno divorzile si basa su varie argomentazioni [2]. In primis, l’elemento storico: l’art. 160 c.c. è erede di una normativa già contenuta nel Code Napoléon che rispondeva alla ratio di scongiurare che i coniugi potessero, con atto di autonomia negoziale, derogare alla fondamentale regola per cui l’uomo era il capo della famiglia [3]. La norma era pertanto applicabile esclusivamente fintanto che il matrimonio era nella sua fase non patologica, non quando i coniugi erano separati e men che meno quando il vincolo era cessato, dopo il divorzio. Detta argomentazione sarebbe confermata dalla collocazione sistematica dello stesso art. 160 all’interno del codice civile, ossia nel Capo VI rubricato “Del regime patrimoniale della famiglia” e non in quello precedente relativo allo scioglimento del vincolo e alla separazione. Ancora, un ruolo fondamentale lo giocherebbe la circostanza per cui gli assegni per il coniuge seguono il principio della domanda, ragion per cui, seppur il giudice dovesse accorgersi del pregiudizio a danno del coniuge debole, non potrebbe far altro che omologare l’accordo o omettere ogni statuizione sull’assegno, in quanto non richiesto [4]. Infine, queste conclusioni sarebbero suffragate dalle modifiche introdotte dal legislatore, in particolare dalla riforma sulla degiurisdizionalizzazione, sulle quali brevemente ci si soffermerà appresso, che consentirebbero la sostanziale disponibilità del vincolo, omettendo qualsiasi controllo sostanziale sugli accordi ad opera del Tribunale ove non vi siano figli da tutelare [5]. Prima di approfondire l’analisi è doveroso soffermarsi su quale sia la parte dell’assegno divorzile che risponde a una funzione di assistenza del coniuge, e se ed in che misura [continua ..]
La natura indisponibile di quella parte dell’assegno divorzile che riveste funzione assistenziale è tutt’ora graniticamente affermata dalla Cassazione [9] con quella giurisprudenza che fonda su detta circostanza la nullità degli accordi stipulati in vista del divorzio. La principale ragione della nullità risiede nell’illiceità della causa, perché l’accordo vorrebbe disporre di diritti che, ai sensi dell’art. 160 c.c., non sarebbero disponibili. Si tratta di un indirizzo criticato dalla maggior parte della dottrina [10] che, oltre agli argomenti sopra rilevati relativamente all’inapplicabilità dell’art. 160 c.c. ai rapporti tra coniugi successivamente alla crisi, ha sottolineato come lo stesso accordo di divorzio preceda la declaratoria dello status di divorziati. Questo indirizzo giurisprudenziale contrasta però anche con l’evoluzione del diritto di famiglia, che va verso il riconoscimento di un’autonomia negoziale dei coniugi sempre maggiore. Il riferimento è innanzitutto alla riforma sulla degiurisdizionalizzazione, che ha ampiamente ridotto e marginalizzato il ruolo del potere pubblico, e dunque del controllo del Tribunale, ove non ci siano figli da tutelare. In tal caso, i coniugi possono divorziare in comune regolamentando anche l’assegno divorzile e senza che il Sindaco possa rifiutare di recepire l’accordo, né tantomeno suggerire delle modifiche perché lo ritenga pregiudizievole della funzione assistenziale dell’assegno [11]. Lo stesso vale per la negoziazione assistita: in assenza di figli da tutelare l’efficacia dell’accordo è subordinata al mero nulla osta del p.m., che viene rilasciato una volta effettuato un semplice controllo formale sulla sussistenza dei presupposti legali per la stipula dell’accordo. Il carattere meramente formale del controllo del p.m. è suffragato sia dall’ovvia considerazione per cui detta figura professionale assai raramente matura un’elevata professionalità in materia di diritto di famiglia, sia dal fatto che la riforma Cartabia ha espressamente stabilito che, nel caso in cui l’accordo di negoziazione assistita preveda la liquidazione dell’assegno divorzile in unica soluzione, il controllo di equità è effettuato dagli avvocati [12]. Infine, oltre alle innovazioni [continua ..]
L’indisponibilità dell’assegno divorzile nella sua funzione assistenziale e la tutela del coniuge debole postulano la discovery dei documenti reddituali di entrambe le parti. L’art. 473-bis.48 c.p.c. dispone che agli atti introduttivi delle parti sia sempre allegata la documentazione patrimoniale di cui all’art. 473-bis.12, 3° comma, c.p.c. Si tratta, come noto, delle dichiarazioni reddituali e degli estratti conto dell’ultimo triennio, e della documentazione sulla titolarità di immobili e beni mobili registrati; documenti tutti che l’art. 473-bis.12 c.p.c. richiede solo in caso di domanda di contributo economico. Sebbene il punto 48 sembri estendere detto obbligo anche al caso in cui non vi siano figli minori né richieste di assegno, la precisazione è in realtà di scarsa rilevanza pratica, in quanto difficilmente una separazione o un divorzio senza condizioni perverrà al Tribunale come contenzioso e non come congiunto [14]; il riferimento sarà allora l’art. 473-bis.51 c.p.c. Poiché il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile passa necessariamente attraverso la domanda del coniuge debole, detto diritto sarebbe tutelato in ogni caso anche in assenza dell’art. 473-bis.48, essendo previsto l’obbligo di discovery in caso di domande economiche già dallo stesso art. 473-bis.12 c.p.c. Il dubbio sulla tutela del coniuge debole e del suo diritto all’assegno divorzile, sotto il profilo della discovery, sorge invece riguardo ai casi di domanda di divorzio congiunto, disciplinati dall’art. 473-bis.51 c.p.c. Infatti, mentre in caso di contenzioso la piena applicabilità dell’obbligo di discovery, anche con poteri officiosi del giudice ex art. 473-bis.2 c.p.c., assicura al coniuge debole una completa valutazione dei rispettivi patrimoni, non altrettanto può dirsi in caso di domanda congiunta. L’art. 473-bis.51 c.p.c. prevede, al 2° comma, non l’obbligo di depositare i documenti patrimoniali di cui al 3° comma dell’art. 473-bis.12 c.p.c. (comma che espressamente, a differenza di altri, viene escluso dal rinvio), bensì dispone che il ricorso deve contenere «le indicazioni […] relative alle disponibilità reddituali e patrimoniali dell’ultimo triennio e degli oneri a carico delle parti». Detta norma, come interpretata già da [continua ..]
L’art. 473-bis.12 c.p.c. elenca gli elementi che deve contenere il ricorso, senza prevedere testualmente ed espressamente nessun adempimento a pena di decadenza. Tuttavia, vi sono più elementi che depongono a favore della tesi secondo la quale già nell’atto introduttivo il ricorrente debba formulare, a pena di decadenza, le domande. In primo luogo, il fatto che prima della riforma, riguardo all’assegno per il coniuge si ammetteva, per il ricorrente, la proposizione della domanda per la prima volta in sede di memoria integrativa unicamente sull’assunto della natura bifasica del procedimento, ora eliminata [20]. Ancora, significativo è il testo della norma speculare sulle decadenze nel petitum per il convenuto, l’art. 473-bis.14, 4° comma, c.p.c., che richiama, per la costituzione, le decadenze ex artt. 38 e 167 c.c., con riferimento altresì alla decadenza per le eccezioni non rilevabili d’ufficio. Infine, l’art. 473-bis.17 c.p.c. prevede espressamente a pena di decadenza l’onere del ricorrente di formulare le domande che siano conseguenza della costituzione del convenuto, e così, specularmente, prosegue limitando, sempre a pena di decadenza, le aggiunte delle parti al thema decidendum e al thema probandum alle sole conseguenze dei nova dell’altro. Diversamente sono regolate le modifiche e precisazioni della domanda del ricorrente, nonché la produzione di documenti e l’indicazione di mezzi di prova che, ai sensi del 1° comma dell’art. 473-bis.17 c.p.c., possono essere effettuate entro la memoria successiva, a prescindere dal fatto che ciò costituisca una conseguenza della costituzione di controparte. Il fatto che queste attività debbano essere compiute espressamente a pena di decadenza non con l’atto introduttivo, ma con la prima memoria, sembra indicare la volontà del legislatore di prevedere una conseguenza così grave solo dopo aver avuto la possibilità di sentire anche la controparte, così come succede per il convenuto [21]. Pertanto, se appare chiaro che la formulazione delle domande debba avvenire a pena di decadenza nel ricorso, sembrerebbe che, a pena di decadenza, le stesse possano essere modificate e precisate entro 20 giorni prima dell’udienza, e ciò anche a prescindere dalla costituzione del convenuto, e dunque anche in caso di contumacia. Stesso discorso [continua ..]
L’art. 473-bis.35 c.p.c. prevede il divieto di nuove domande in appello, salvo che riguardino diritti indisponibili. Il legislatore ha inteso includere tra queste ultime la domanda di assegno divorzile? La tesi contraria è suffragata da quanto rilevato nel precedente paragrafo, ossia che la lettera della legge sembra espressamente escludere dal novero delle domande che non sono soggette a decadenza, ossia quelle relative a diritti indisponibili, tutte le domande aventi a oggetto un contributo economico per il coniuge. Sembra avallare questa tesi anche l’art. 473-bis.24, 2° comma, c.p.c., che espressamente limita la reclamabilità dei provvedimenti interinali, dal secondo in poi, a quelli che coinvolgono questioni relative ai figli, con ciò delineando un regime di favore per le sole questioni relative ai minori. Poiché le domande nell’ambito del giudizio familiare sono sostanzialmente cinque (affidamento; collocamento/visita; assegnazione; mantenimento figli; mantenimento coniuge), con la riforma sembra che dette domande si suddividano in due categorie: quelle relative ai minori (assegnazione, affidamento, collocamento, visita, mantenimento) non sono soggette a nessun tipo di decadenza. E detta circostanza non sembra neppure intimamente connessa alla procedibilità d’ufficio, in quanto non si vede come il giudice possa disporre il collocamento o l’aumento delle visite del minore presso un genitore che tali circostanze non le desidera né le ha richieste. Quelle relative al coniuge e al figlio maggiorenne devono invece essere formulate nell’atto introduttivo e, solo in caso di sopravvenienze, nella prima difesa utile. Questa differenza, fondata principalmente sull’art. 473-bis.19, crea due statuti; specificamente, quello dei minori beneficia di un regime privilegiato che comporta la reclamabilità di tutti i provvedimenti interinali e la proponibilità di domande nuove in appello. L’inapplicabilità delle decadenze, stando al dato letterale delle nuove norme, consegue all’indisponibilità dei diritti. Tuttavia, merita sottolineare come questa suddivisione in statuti sembra contraddetta dal fatto che per il mantenimento del figlio minore non è ammessa la reclamabilità dei provvedimenti interinali successivi al primo. Detta circostanza peraltro era già avallata dalla giurisprudenza ante [continua ..]
Abbiamo visto come solo in un caso l’intervento della riforma abbia perso l’occasione di implementare la tutela del coniuge debole [25]. In particolare, dal punto di vista della discovery è stata introdotta una modifica che potrà avere effetti assai rilevanti per la tutela del beneficiario dell’assegno. Ciononostante, è chiaro che la nuova normativa introduca una sorta di statuto delle domande aventi a oggetto diritti indisponibili e che in questo non sembra potersi ricomprendere la domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile, in linea con le riforme precedenti. Il legislatore, cioè, sembra ben poco preoccupato dalla possibilità che si pregiudichi l’indisponibilità del profilo assistenziale dell’assegno divorzile ai danni del coniuge debole; le modifiche introdotte dalla riforma sembrano invece esprimere preoccupazione per l’inconsapevole disposizione dell’assegno medesimo, ciò che avviene quando il coniuge debole non conosce la consistenza patrimoniale attuale dell’altro e non è quindi in grado di valutare se sta rinunciando a un proprio diritto, e quale pregiudizio comporterebbe detta rinuncia [26]. Una volta chiariti questi profili è precluso al giudice ogni intervento d’ufficio e contro la volontà o nonostante l’inerzia del coniuge debole, il quale, come adulto, deve essere messo in condizioni anche di patire un pregiudizio, ove questa decisione sia consapevolmente assunta. Diversamente, per i minorenni, incapaci di provvedere a sé stessi, la riforma assicura uno statuto più tutelante. Queste conclusioni sembrano compatibili con quella giurisprudenza della Cassazione che sancisce la nullità degli accordi conclusi in sede di separazione e in vista del divorzio sul principale assunto dell’illegittimità di una rinuncia preventiva, che preclude al coniuge debole una valutazione rebus sic stantibus del patrimonio dell’altro.