Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il nuovo regime delle impugnazioni (di Alberto Figone, Avvocato del Foro di Genova, Vice presidente AIAF nazionale)


L'Autore esamina il nuovo regine delle impugnazioni nei procedimenti relativi alle persone, ai minori e alle famiglie, come introdotti dal d.p.r. n. 149/2022. Si sofferma in particolare sul reclamo avverso i provvedimenti provvisori ed urgenti nei giudizi della crisi familiare, sull'appello e sul ricorso per cassazione, confrontando vecchia e nuova disciplina. Affronta poi la questione pratica legata all'incidenza della normativa, di cui al citato d.p.r., sui procedimenti in corso.

The author examines the new regime of challenges in proceedings relating to people, children, and families, as introduced by Presidential Decree no. 149/2022. She focuses in particular on challenging provisional and urgent measures in family crisis judgments, on appeal and before the Supreme Court of Cassation, comparing old and new regulatory frameworks. She then deals with the practical issue connected to the legislation’s impact, as per the aforementioned Presidential Decree, on proceedings in progress.

SOMMARIO:

1. Una premessa - 2. Reclamo contro i provvedimenti provvisori ed urgenti - 3. Appello - 3.2. Forma e rito - 3.3. Domande e prove nuove - 3.4. Inammissibilità o improcedibilità - 4. Ricorso per cassazione - 4.2. Ricorso e controricorso: forma e deposito - 4.3. Rito - 5. Una nuova causa di revocazione - 6. Rinvio pregiudiziale - 6.2. Procedimento - 7. Decorrenza del nuovo regime - NOTE


1. Una premessa

Il Titolo IV bis del Libro II del codice di rito contiene anche una disciplina unitaria per l’appel­lo avverso le pronunce in materia di persone, minori e famiglia, che si sostituisce ai differenti mezzi di impugnazione in precedenza esistenti, in ragione della natura e dell’oggetto delle pronunce stesse (appello con citazione contro le sentenze in materia di status filiationis; ricorso in appello, da trattarsi secondo il rito della volontaria giurisdizione, per le sentenze di separazione e divorzio; reclamo contro i decreti camerali, quanto alle controversie sull’affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, sulle modifiche delle condizioni di separazione e divorzio, ma soprattutto avverso tutti i provvedimenti del Tribunale per i minorenni). Le innovazioni apportate al regime del ricorso per cassazione hanno invece portata generale e si applicano a tutte le impugnazioni, a prescindere dall’oggetto della sentenza. Nel contempo, la riforma, con riferimento ai procedimenti di separazione, divorzio, scioglimento dell’unione civile e di affidamento di figli non matrimoniali, è intervenuta pure sulla disciplina del reclamo, in precedenza contenuta nell’art. 708, ult. comma, c.p.c., in relazione alle ordinanze presidenziali [1]. Prima di procedere all’esame dei diversi mezzi di impugnazione, pare necessaria una premessa quanto ai relativi termini. Il nuovo art. 326 c.p.c. conferma che i termini già stabiliti nell’art. 325 c.p.c. per tutte le impugnazioni (ivi comprese quelle in materia familiare) sono perentori e decorrono dalla notificazione della sentenza, con la precisazione che ciò vale sia per il soggetto notificante che per il destinatario della notificazione, dal momento in cui il relativo procedimento si perfeziona per quest’ultimo. Si tratta di un principio che la giurisprudenza aveva già più avuto ad affermare [2]. La regola continua a non essere operativa nei casi previsti nei nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c. e negli artt. 397 e 404, 2° comma, c.p.c. (relativi tutti a forme di impugnazione diverse dall’appel­lo e dal ricorso per cassazione: rispettivamente, revocazione ed opposizione di terzo).


2. Reclamo contro i provvedimenti provvisori ed urgenti

L’art. 473-bis.24 c.p.c., al 1° comma, richiama in buona sostanza il regime di cui al citato art. 708 c.p.c.; non si parla più, all’evidenza, di ordinanze presidenziali, ma di provvedimenti temporanei e urgenti, di cui all’art. 473-bis.22, che saranno assunti anche nelle controversie di affidamento di figli non matrimoniali. In mancanza di qualsiasi diversa previsione, è da ritenere che trovino conferma le conclusioni già fatte proprie da un consolidato orientamento giurisprudenziale: il reclamo continuerà ad essere ammissibile in presenza di dedotti errori gravi e manifesti, evincibili dalla lettura degli atti, essendo demandata alla fase istruttoria, e poi a quella decisionale, ogni altra differente forma di riesame [3]. La prima novità è individuabile nel 2° comma, dove è contemplato il reclamo anche contro i provvedimenti temporanei assunti in corso di causa (ossia le ex ordinanze del giudice istruttore), sia pure con un ambito ben delimitato; si fa infatti riferimento ai provvedimenti che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, ovvero prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori, ovvero ne dispongono l’affidamento a soggetti terzi. Preme ricordare come, prima della riforma, si fosse dibattuto sulla reclamabilità delle ordinanze del g.i. (con l’espressa eccezione di quelle in punto amissione delle prove); una parte molto minoritaria della giurisprudenza di merito l’ammetteva, sulla base della natura cautelare in senso lato di dette ordinanze [4]. Ovviamente, non si trattava del reclamo ai sensi dell’art. 708 ult. comma, c.p.c., dovendosi escludere qualsiasi interpretazione estensiva, bensì dello strumento proprio del regime cautelare uniforme di cui all’art. 669 terdecies c.p.c. Nonostante questa fosse l’indicazione elaborata dalla Commissione Luiso, il 2° comma dell’art. 473-bis.24 ha esteso al reclamo in esame le medesime regole contemplate nel 1° comma, attribuendo pertanto la relativa competenza alla Corte d’Appello. Una novità accomuna le due forme di reclamo (con un’in­novazione rispetto al regime precedente); il termine di dieci giorni prende a decorrere dalla conoscibilità del provvedimento, che può avvenire, in via alternativa, con comunicazione di cancelleria, [continua ..]


3. Appello

3.1. Generalità Nell’ambito del nuovo rito familiare, una peculiare disciplina è dedicata all’appello, che diverge da quello relativo al rito contenzioso generale, di cui agli artt. 339 ss. c.p.c. Il termine per proporre appello è in oggi unitario (trenta giorni dalla notificazione), ovvero sei mesi dal deposito della sentenza ex art. 327 c.p.c.; scompare dunque il diverso regime tra reclamo (dieci giorni dalla notificazione) e ricorso/atto di citazione (trenta giorni), salvo sempre il termine “lungo” semestrale, in difetto di notificazione.


3.2. Forma e rito

In base all’art. 473-bis.30 c.p.c., l’appello si propone con ricorso, contenente le indicazioni di cui all’atto di citazione ex art. 342 c.p.c.; il contenuto dell’appello rimane inalterato, pur nella diversità delle forme in ragione del rito. Il ricorso rappresenta la forma propria di tutte le impugnazioni, per le quali in precedenza era previsto il rito camerale; ci si riferisce non solo ai provvedimenti, conclusivi di un procedimento assoggettato già in prime cure a detto rito, ma pure alle sentenze, per le quali così era disposto (quelle in tema di separazione e divorzio). La novità riguarda il gravame nei confronti delle sentenze, in precedenza sottoposte interamente al rito ordinario nel corso dell’intero giudizio di merito (ad es. sullo status filiationis, ovvero sullo scioglimento della comunione fra coniugi). Il procedimento non diverge sostanzialmente dal regime pregresso, là dove fosse stata prescritta la forma del ricorso. Ai sensi dell’art. 473-bis.31 c.p.c., il presidente della Corte d’Appello, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, nomina il relatore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione, come pure il termine entro il quale l’appellante deve provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto all’appellato. Tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di novanta giorni, a meno che la notificazione debba effettuarsi all’estero: il termine sarebbe allora elevato a centocinquanta giorni: la disciplina dei termini, come si vede, corrisponde a quella di cui all’art. 342 c.p.c. Diversamente dal primo grado non è previsto un termine massimo (se pur non certamente perentorio) fra deposito del ricorso e prima udienza. In conformità a prassi già condivise in tutti gli Uffici giudiziari italiani, il presidente acquisisce ex officio le relazioni aggiornate dei servizi sociali o sanitari eventualmente incaricati e ordina alle parti di depositare la documentazione fiscale aggiornata. L’appellato deve costituirsi almeno trenta giorni prima dell’udienza, mediante deposito della comparsa di costituzione, nella quale è tenuto ad esporre le proprie difese in modo chiaro e specifico (cfr. l’art. 473-bis.32 c.p.c.). Nella stessa comparsa l’appellato può, a pena di decadenza, proporre appello incidentale. [continua ..]


3.3. Domande e prove nuove

Il giudice dell’appello può adottare i provvedimenti indifferibili, di cui all’art. 473-bis.15. Se ammette nuove prove, dà con ordinanza i provvedimenti per la loro assunzione, per la quale può delegare il relatore. Il generale divieto di nuove domande ed eccezioni, come pure di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 345 c.p.c. si applica – nel procedimento di famiglia e minori – limitatamente alle domande aventi ad oggetto diritti disponibili. Si tratta di un principio certamente nuovo, quantomeno a livello normativo. Fino alla riforma, ed anche dopo, il divieto del novum è stato sempre rigorosamente applicato in tutti i procedimenti assoggettati al rito contenzioso. Regole differenti operavano per quelli da trattare in sede camerale, attesa l’estrema genericità dell’art. 739 c.p.c.: la giurisprudenza aveva di regola ritenuto ammissibili nuove domande ed accezioni, come pure nuovi mezzi di prova, purché sulle stesse si fosse potuto integrare il contraddittorio, con ciò ritenendo ammissibile anche la produzione di documenti che la parte avrebbe potuto produrre in prime cure [9]. Sta di fatto che, in particolare, tutto quanto attiene ai figli minori (affidamento e mantenimento, assegnazione della casa familiare) rientra nel campo dei diritti indisponibili; si riduce pertanto di molto, nel settore delle persone, minori e famiglie, la portata della preclusione dell’art. 345 c.p.c. Se da un lato pare certo che la norma operi di regola quanto all’assegno di separazione e divorzio (salvo una componente, di natura squisitamente alimentare) [10] controversa ne è l’applicabile in relazione ai figli maggiorenni (quanto agli aspetti economici e all’assegnazione della casa). Non è infatti agevole ricondurre nell’ambito dei diritti indisponibili situazioni che riflettono soggetti dotati di capacità di agire, come tali legittimati anche ad esplicare intervento autonomo nella controversia tra i genitori. Ma vi è di più. Occorre bilanciare il rigore dell’art. 345 c.p.c., con quanto affermato in precedenza dalla giurisprudenza, che ha ritenuto ammissibili domande di assegno di separazione o divorzio in appello, quando il relativo diritto fosse maturato dopo la decisione di primo grado.


3.4. Inammissibilità o improcedibilità

Il precedente testo dell’art. 348 bis c.p.c. prevedeva che, fuori dai casi in cui dovesse essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità, l’appello fosse dichiarato inammissibile dal giudice competente quando non avesse una ragionevole probabilità di essere accolto. L’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento dell’impugnazione non poteva essere dedotta in sede decisionale, dovendo essere trattata e decisa all’udienza di cui all’art. 350 c.p.c. La norma contemplava un’eccezione, tra gli altri, per i procedimenti nei quali è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero ex art. 70 c.p.c. La previsione non aveva mai destato particolari criticità per quanto attiene in particolare il diritto di famiglia e dei minori, per due ordini di ragioni: a) buona parte delle impugnazioni nel diritto di famiglia, prima della riforma, erano assoggettate al rito camerale e, quindi, introdotte con ricorso, ovvero con reclamo, come si è visto; b) le impugnazioni da introdursi con appello davano di regola luogo ad un procedimento contenzioso in cui è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero (si pensi alle azioni di stato). Ben pochi, quindi, i procedimenti assoggettati al disposto dell’art. 348 bis (es. quelli di scioglimento della comunione, legale ovvero ordinaria, fra i coniugi). In oggi la nuova formulazione della norma è alquanto differente dalla precedente, facendo riferimento all’inammissibilità, ovvero alla manifesta infondatezza dell’appello, già nella rubrica dell’articolo. Inammissibile è un appello, proposto fuori dei casi previsti dalla legge (es. quando è già decorso il termine per l’impugnazione), ovvero i cui motivi, in tutto o in parte, difettano dai requisiti di specificità previsti; si tratta di un vizio che preclude qualsiasi decisione sul merito del gravame. Manifestamente infondato è invece un appello, che non abbia alcuna possibilità di esser accolto (si tratta di una condizione deteriore rispetto a quello semplicemente privo di una ragionevole probabilità di accoglimento). In concreto, non è facile individuare il discrimen tra le due tipologie, anche perché la legge delega, all’art. 8, aveva previsto che, [continua ..]


4. Ricorso per cassazione

4.1. Generalità Come già anticipato, nessuna norma specifica riguarda il ricorso per cassazione contro le decisioni emesse secondo il nuovo rito uniforme per le persone i minori e le famiglie. L’art. 360 c.p.c. è stato implementato dell’attuale 4° comma, così formulato: «Quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui al primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4). Tale disposizione non si applica relativamente alle cause di cui all’articolo 70, primo comma». Nella fattispecie ex novo delineata è escluso, dunque, in linea generale il ricorso ex art. 360, 1° comma, n. 5), c.p.c., che individua come vizio deducibile in sede di legittimità anche l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti; ciò nel presupposto che i fatti di causa sono già stati ricostruiti nello stesso modo nei due gradi di merito, onde è da presumere che nessun vizio possa riscontrarsi nella decisione di secondo grado. Occorre tuttavia tenere conto che il limite della c.d. “doppia conforme”, già contemplato nell’art. 348 ter, 4° comma, c.p.c., non opera nei casi in cui il pubblico ministero è interveniente necessario, ossia, come si è già visto, nella maggior parte dei procedimenti in materia di minori e famiglia. Da tanto consegue come, in questi procedimenti, potranno essere dedotti in sede di legittimità tutti i vizi, contemplati nell’art. 360 c.p.c., ivi compreso quello sub 5) [11].


4.2. Ricorso e controricorso: forma e deposito

Il nuovo art. 366 c.p.c. rimarca l’importanza della chiarezza e della sinteticità dei motivi di ricorso. Proprio per questo motivo, in data primo marzo 2023 è stato siglato tra la Corte Suprema di Cassazione, la Procura Generale della Corte di Cassazione, l’Avvocatura Generale dello Stato e il Consiglio Nazionale Forense il “Protocollo d’intesa sul processo civile in cassazione”. Con esso si è inteso aggiornare i vari Protocolli d’intesa già intercorsi a fronte dell’implementa­zione del processo civile telematico e dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti e di collaborazione tra le parti e il giudice. Si tratta di Protocollo unico, destinato a ricomprendere e superare quelli sinora siglati, ma che si pone esplicitamente in linea di continuità con quelli del 2015. Il Protocollo non contiene previsioni imperative, tali da poter determinare una declaratoria di inammissibilità del ricorso, in caso di inosservanza; si tratta peraltro di utili linee guida, in previsione di un processo più snello. L’introduzione del processo telematico anche in sede di legittimità ha condotto ad una modifica del 1° comma dell’art. 369 c.p.c., ove è stata espunta la previsione del deposito del ricorso entro venti giorni dall’ultima notificazione “nella Cancelleria della Corte”. Le medesime regole di sinteticità e chiarezza valgono pure per il controricorso. Prima della riforma Cartabia, esso doveva essere notificato al ricorrente nel termine di quaranta giorni. In oggi, invece, anche se contenente impugnazione incidentale diretta verso il ricorrente, non deve più essere notificato, bensì depositato nel fascicolo telematico entro quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale (cfr. l’art. 370 c.p.c.) Il controricorso contenente un’impugnazio­ne incidentale verso altra parte dovrà invece essere notificato e poi depositato (art. 371). Non è dunque più necessaria la previa notifica, salva sempre l’ipotesi di una impugnazione incidentale rivolta ad una parte solo “informata” del ricorso principale. Il nuovo art. 372 c.p.c. ribadisce il divieto di deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi di giudizio, con l’eccezione di quelli relativi alla nullità della sentenza impugnata e l’inammissibilità del [continua ..]


4.3. Rito

La riforma ha previsto innanzitutto l’unificazione dei riti camerali, in precedenza disciplinati dagli artt. 380-bis e 380-bis.1 c.p.c., dopo aver eliminato la sesta sezione civile, ossia la c.d. “sezione stralcio”. Pur configurando un rito camerale unico, è stato introdotto un primo procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati di cui all’art. 380-bis c.p.c. e un secondo per i ricorsi, che non risultano inficiati da dette criticità, ma che non paiono di tale rilevanza da poter essere trattati in udienza pubblica. In buona sostanza, si configurano tre tipologie differenti di procedimenti. Come anticipato, il nuovo testo dell’art. 380-bis c.p.c. stabilisce che, per i ricorsi per i quali non è stata ancora fissata la data della decisione in udienza o in camera di consiglio, il presidente della sezione o un consigliere da questo delegato può formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio quando ravvisa l’inammissibilità, l’improcedibilità o la manifesta infondatezza del ricorso (scompare la manifesta fondatezza che, in precedenza, poteva condurre alla definizione del procedimento da parte della VI Sezione civile). La proposta di definizione viene comunicata ai difensori delle parti. Se entro quaranta giorni dalla comunicazione la parte non richiede la decisione, il ricorso si intende rinunciato. Il Presidente o il consigliere della sezione pronuncia, quindi, decreto di estinzione, liquidando le spese con esonero, in favore della parte soccombente, dal pagamento dell’ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, 1° quater comma, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle spese di giustizia). Si tratta di un’ipotesi di rinuncia al ricorso per fatti concludenti, incentivata dalla necessità che la richiesta di decisione sia supportata dal rilascio di una nuova procura speciale al difensore e dal rischio che la Corte, qualora definisca il giudizio in conformità alla proposta, accanto alla liquidazione delle spese, possa applicare l’art. 96, 3° e 4° comma, c.p.c. (in ordine alla responsabilità aggravata) all’uopo esplicitamente richiamati. Il rito camerale ordinario, che può trovare applicazione anche per le Sezioni Unite, prevede la comunicazione alle parti e al Procuratore Generale della [continua ..]


5. Una nuova causa di revocazione

Con l’art. 391-quater c.p.c. è stata introdotta una nuova ipotesi di revocazione dei provvedimenti, passati in cosa giudicata (il che, ovviamente, implica il previo esaurimento dei rimedi interni), anche se resi dalla Corte di Cassazione, qualora il contenuto del giudicato integri una violazione dei diritti garantiti dalla CEDU, accertata dalla Corte europea di Strasburgo. Si tratta di un intervento che si raccorda alla Raccomandazione R. 2000-2 del 19 gennaio 2000 del Comitato dei ministri, secondo cui l’obbligo conformativo può «in certe circostanze» ricomprendere misure individuali diverse dall’equo indennizzo e che «in circostanze eccezionali» il riesame del caso o la riapertura dei processi si è dimostrata la misura più adeguata, se non l’unica, per raggiungere la restitutio in integrum [12]. Perché il rimedio possa essere attivato, occorre che: i) vi sia un accertamento da parte della Corte EDU della contrarietà della decisione giudiziale revocanda alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo o a uno dei suoi Protocolli; ii) tale violazione si sia tradotta in un pregiudizio di un «diritto di stato della persona»; iii) il rimedio risarcitorio di cui all’art. 41 CEDU in quanto finalizzato ad attribuire un’utilità economica alternativa, ossia una tutela per equivalente, non sia idoneo a compensare le conseguenze di tale violazione. La legittimazione al ricorso compete alle parti del processo definito dalla pronuncia impugnata, come pure al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, il termine finale per il suo esperimento è quello di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte. La trattazione del ricorso, come già si è anticipato, è espressamente rimessa alla pubblica udienza in ragione della particolare rilevanza del nuovo istituto. Sono espressamente fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede, che non abbiano partecipato al processo svoltosi innanzi alla Corte europea. Con il nuovo caso di revocazione, può dirsi che la Corte di Cassazione non sia più sempre l’ultimo grado della giurisdizione.


6. Rinvio pregiudiziale

6.1. Generalità L’art. 363 bis c.p.c., rubricato “Rinvio pregiudiziale” rappresenta una disposizione del tutto eccentrica rispetto al sistema. Il legislatore ha attribuito infatti al giudice di merito il potere di investire subito la Corte di Cassazione su problematiche inedite, sulle quali la Corte stessa non si sia ancora pronunciata, quando si tratti di risolvere questioni di stretto diritto. Si tratta di uno strumento che, a parere di chi scrive, presenta luci ed ombre, pur con la finalità di garantire in via anticipata l’uniforme interpretazione delle norme da parte del giudice della nomofilachia. È noto come, proprio su questioni nuove, il formarsi di un orientamento più o meno consolidato richieda un’opera esegetica lunga ed elaborata, da parte dei giudici di merito e di legittimità, con il rischio di pronunce dissonanti anche in fattispecie similari. Quante volte poi pure la stessa Corte di Cassazione rende decisioni disomogenee fra loro, anche all’interno della stessa sezione, con necessità di richiedere l’intervento delle Sezioni Unite! In questi ultimi anni si è per di più assistito ad un numero notevole di rinvii alle predette Sezioni Unite, in presenza di questioni rilevanti, magari anche non di particolare importanza, senza che nemmeno si fossero manifestati contrasti interpretativi nelle sezioni semplici. Esigenze di certezza del diritto dovrebbero caldeggiare una tale prassi, che in oggi ha trovato una sua ulteriore esplicazione nel novellato art. 363 bis c.p.c. In realtà si potrebbe pensare ad un’altra lettura della novella. È a tutti noto come, accanto al diritto formale (incardinato in un testo normativo) si ponga il c.d. diritto vivente, ossia l’interpre­tazione giurisprudenziale della legge, che ben può superare o integrare il testo scritto; il diritto vivente è frutto della stratificazione di un’esegesi della norma coerente con il contesto sociale e culturale del momento, in funzione della maggior tutela di esigenze ed istanze espresse dalla collettività. Per rimanere nell’ambito del diritto di famiglia, basti pensare come in questi ultimi anni, grazie ad un intervento interpretativo innovativo, sia stata riconosciuta la genitorialità anche all’in­terno della coppia same sex, tramite un’applicazione aperta dell’art. 44, lett. d) della l. n. [continua ..]


6.2. Procedimento

Quanto al contenuto dell’art. 363 bis c.p.c., va rammentato che il giudice di merito può disporre con ordinanza, sentite le parti costituite, il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto. Perché si possa procedere al rinvio pregiudiziale, occorrono alcune specifiche condizioni: 1) la questione di diritto deve essere necessaria alla definizione, anche parziale del giudizio, e non deve essere stata già risolta dalla Corte di Cassazione. La necessarietà presuppone che non vi sia possibilità di definire il giudizio con un’interpretazione che prescinda dalla questione di diritto. Essa deve essere “nuova”, ossia non ancora decisa dalla Suprema Corte; semplici obiter dictum (ossia argomenti motivazionali estranei al principio di diritto) contenuti in precedenti resi in sede di legittimità non inficiano l’operatività dell’art. 363 bis c.p.c.; 2) la questione deve presentare gravi difficoltà interpretative; compito del giudice è quello di interpretare la norma e di verificarne l’operatività al caso di specie. Rilevano solo difficoltà interpretative “gravi”, e dunque quelle prive di detto carattere devono essere comunque definite dal giudice di merito; 3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi. L’intervento nomofilattico preventivo della Cassazione si giustifica proprio a fronte di prevedibili reiterazioni della questione. Questioni molto particolati, presumibilmente destinate a non riproporsi, non rileveranno ai fini in esame, anche se non è agevole pronosticare se la questione possa ripresentarsi; il fatto però che la norma faccia riferimento a “numerosi” giudizi depone verso una presumibile ripetitività della problematica in successivi plurimi procedimenti. A seguito dell’ordinanza di trasmissione degli atti al primo Presidente della Suprema Corte, il procedimento di merito è sospeso. La decisione della Corte ha effetti vincolanti nel giudizio in cui è stata resa, anche se è del tutto verosimile che la regula juris espressa sarà seguita anche in altri procedimenti. A pochi mesi dall’entrata in vigore della riforma, è già stata depositata una richiesta di rinvio pregiudiziale nell’ambito del diritto di famiglia. Il Tribunale di [continua ..]


7. Decorrenza del nuovo regime

A conclusione di questo lavoro, è indispensabile svolgere alcune precisazioni quanto all’entrata in vigore della nuova disciplina. Il testo originario dell’art. 35 del d.p.r. n. 149/2022 è stato integrato dalla l. 29 dicembre 2022, n. 197. In sintesi: in base al 1° comma dell’art. 35, le disposizioni ex novo introdotte hanno effetto, salvo che non sia diversamente disposto, con decorrenza dal 28 febbraio 2022 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a detta data. È regola comune quella per cui, facendo riferimento ai procedimenti, si intende il giudizio nella sua interezza; i procedimenti già pendenti in primo grado, alla data del 28 febbraio 2023, dovrebbero, di regola, essere ancora assoggettati alla disciplina previgente, quanto alle impugnazioni. La regola soffre però diverse eccezioni, ed in particolare: i)   in base al 4° comma del cit. art. 35, «le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436 bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati, dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023». La norma richiama espressamente le previsioni dell’ordinario appello nel procedimento contenzioso, come pure quello del rito del lavoro, ed inoltre i provvedimenti sull’esecuzione in appello. Da tanto consegue come gli appelli relativi ai procedimenti in materia di persone, minori e famiglie, inseriti nel Capo IV bis del Titolo II, in quanto esclusi dalla deroga di cui al 4° comma dell’art. 35, siano sottoposti alla regola generale del 1° com­ma. Gli appelli contro sentenze di separazione, divorzio, status filiationis, ovvero contro i decreti camerali (affidamento di figli non matrimoniali, modifiche, ecc.), emessi in procedimenti già instaurati in primo grado alla data del 28 febbraio 2023 saranno ancora assoggettati al rito pregresso. Del pari non sarà ammissibile esperire reclamo avverso provvedimenti emessi nel corso dell’istruttoria, nei procedimenti di cui si è ora detto. ii) le norme sui procedimenti in cassazione hanno effetto dal 1° gennaio 2023 e si applicano a tutti i giudizi introdotti con ricorso notificato da tale data.


NOTE