L'autrice tratta del sistema delle preclusioni e decadenze attuato dal d.lgs. n. 149/2022 nell’ambito delle controversie familiari, soffermandosi sulle differenze determinate dalla natura dei diritti su cui si controverte. Nell'ambito delle peculiarità che connotano la fase istruttoria dei procedimenti relativi alla crisi familiare si analizzano gli ampi poteri istruttori riconosciuti in capo al giudice ed il tema delle c.d. prove atipiche, categoria particolarmente discussa ma che assume un ruolo determinante nel diritto di famiglia.
The author discusses the system of barring and forfeiture of rights implemented by Legislative Decree no. 149/2022 in the context of family disputes, examining the differences determined by the nature of the rights subject to argument. In the setting of the particular features characterizing the investigation phase in proceedings relating to family crisis, the broad investigatory powers granted to the judge and the issue of atypical evidence – a category that, although particularly debated, takes on a decisive role in family law – are analyzed.
1. L’intervento della riforma sul sistema delle preclusioni e delle decadenze - 1.1. (Segue). Diritti disponibili ed indisponibili - 2. Poteri istruttori officiosi del giudice della famiglia e dei minori - 3. Prove atipiche: ammissibilità ed efficacia probatoria - 4. Esempi di prove atipiche - 4.1. Scritti provenienti da un soggetto estraneo al giudizio - 4.2. Atti, decisioni e prove assunti in altri procedimenti - 4.3. Relazioni investigative, perizie stragiudiziali e relazione del coordinatore genitoriale - 4.4. Prove digitali (messaggi Whatsapp, email, schermata dei social network, registrazioni sonore e audiovisive, ecc.) - NOTE
Nel nuovo procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, sulla scorta dei principi e criteri direttivi dettati dalla legge delega n. 206/2021 ed a seguito dell’attuazione operata dal d.lgs. n. 149/2022, con l’obiettivo di ridurre le tempistiche e concentrare l’attività processuale, si è intervenuti anche sul sistema delle preclusioni e delle decadenze. Con particolare riferimento ai giudizi di separazione e divorzio è venuta meno la struttura bifasica presidenziale-merito ed è stato ridotto sensibilmente il numero degli atti processuali, con ripercussioni sul momento di formazione del thema decidendum e probandum. Il legislatore delegato è intervenuto sul contenuto degli atti introduttivi del giudizio e ha previsto oneri di allegazione documentale ai medesimi atti, in capo ad entrambe le parti. In particolare, ai sensi dell’art. 473-bis.12, 1° comma, lett. f), c.p.c., il ricorso introduttivo deve contenere l’indicazione specifica dei mezzi di prova, dei quali l’attore intende valersi, e dei documenti che offre in comunicazione. La l. n. 206/2021, al 23° comma, lett. f), aveva previsto in capo al ricorrente l’onere di allegazione, a pena di decadenza, per le sole domande aventi ad oggetto diritti disponibili, dei mezzi di prova e dei documenti. La stessa novità era prevista anche per il convenuto al 23° comma, lett. h) della legge delega [1]. Nel ricorso, inoltre, si devono indicare eventuali altri procedimenti aventi ad oggetto, in tutto o in parte, le medesime domande o domande ad esse connesse (allegando copia degli eventuali provvedimenti, anche provvisori, già adottati in tali giudizi), nonché allegare specifica e significativa documentazione nel caso di domande di contributo economico [2], o comunque in presenza di figli minori, ed il piano genitoriale, nei procedimenti relativi a questi ultimi. Il convenuto, ai sensi dell’art. 473-bis.16 c.p.c., nella comparsa di risposta, deve fornire le indicazioni previste, anche a pena di decadenza, dagli artt. 167 [3] e 473-bis.12, 2°, 3° e 4° comma c.p.c. A seguito degli atti introduttivi, ex art. 473-bis.17 c.p.c., le parti potranno depositare ulteriori memorie difensive prima dell’udienza di comparizione e, comunque, entro termini concentrati in cui operano specifiche decadenze. Come osservato, «l’articolo 473-bis.17 c.p.c. regola le [continua ..]
La riforma ha dunque espressamente articolato le preclusioni, anche istruttorie, a seconda della natura dei diritti su cui si controverte. La distinzione tra diritti disponibili ed indisponibili connota le controversie familiari [10]. Il tema, da sempre oggetto di studio da parte della dottrina ed al centro di molteplici pronunce giurisprudenziali, ha ricevuto oggi un espresso riscontro all’interno del codice di procedura civile. Tra i diritti indisponibili vanno annoverati i diritti, sia personali che economici, dei minori. Sul punto di recente la Suprema Corte, aderendo all’orientamento ormai consolidato, ha ribadito come la tutela degli interessi morali e materiali dei figli minori sia sottratta all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti, in ragione delle esigenze e finalità pubblicistiche sottese alla protezione della prole [11]. Come è stato precisato, «nella materia dei diritti indisponibili qual è integralmente la materia minorile, sia per i diritti personali che per i diritti economici, le preclusioni non possono essere applicate dovendosi richiamare le regole di un processo non più dispositivo, ove la domanda, e l’allegazione del fatto, non è più dominio della sola parte, ma anche del p.m., finanche del giudice» [12]. Indisponibili sono anche i diritti personalissimi dei coniugi mentre i diritti economici, che riguardano questi ultimi, rientrano nell’ambito dei diritti disponibili nel rispetto delle norme imperative ed inderogabili.
Nel rito di famiglia i limiti temporali entro cui le parti devono dedurre le prove sono dunque previsti limitatamente alle domande su diritti disponibili. A tal proposito, solo nel caso in cui le parti rispettino le preclusioni istruttorie e non rimangano inerti, il giudice potrà utilizzare le prove, ritualmente e tempestivamente dedotte ed acquisite, al fine di accertare i fatti rispettivamente allegati. Ciò con le dovute precisazioni, relative alle domande di contributo economico, che di seguito verranno illustrate. Le peculiarità delle situazioni sostanziali oggetto di decisione all’interno dei processi familiari e minorili ed i diritti ivi tutelati, considerato che la maggior parte dei diritti assume il carattere dell’indisponibilità, determinano la previsione di un impianto di ampi poteri officiosi in capo al giudice, anche sul piano dell’attività istruttoria, oltre all’esclusione dell’applicazione di rigide preclusioni con riferimento all’affidamento ed al mantenimento dei minori. La massima espressione dei poteri officiosi del giudice della famiglia si realizza in caso di domande relative a minori, a tutela dei loro interessi. L’esercizio di tali poteri, con rifermento ai provvedimenti inerenti la prole, è stato oggetto di svariate pronunce giurisprudenziali aderenti all’orientamento consolidato, secondo cui i provvedimenti necessari alla tutela degli interessi morali e materiali della prole possono essere diversi rispetto alle domande delle parti e possono essere adottati anche d’ufficio essendo rivolti a soddisfare esigenze e finalità pubblicistiche, sottratte all’iniziativa e alla disponibilità delle parti stesse [13]. Nell’interesse dei minori e per i provvedimenti riguardanti l’affidamento ed il mantenimento di questi ultimi, il giudice può quindi adottare provvedimenti anche diversi o contrari rispetto a quelli oggetto delle domande formulate dalle parti. Poteri, quelli esercitabili dal giudice nell’ambito dei procedimenti familiari, cui si è trovata una giustificazione negli artt. 337 ter, 2° e 6° commi, e 337 octies c.c. [14]. Con la Riforma Cartabia si è avuto un significativo ampliamento dei poteri esercitabili ex officio dal giudice nelle controversie familiari, in attuazione dei criteri direttivi indicati dalla legge delega [15], a tutela delle parti deboli e [continua ..]
A seguito della riforma assumono ancora più rilievo le c.d. prove atipiche. Le parti, infatti, avranno una maggiore esigenza di convincere il giudice entro la prima udienza e, in ragione di ciò, potrebbero fare un uso più ampio delle prove precostituite. Come noto, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti, i fatti non contestati ed i c.d. fatti notori [21]. A ciò si aggiungano le prove disposte dal giudice d’ufficio che, nell’ambito dei processi di famiglia, come sopra evidenziato, sono espressione di specifici poteri istruttori attribuiti al giudicante. Ai sensi dell’art. 116 c.p.c. la valutazione delle prove è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, salvo che la legge disponga altrimenti. Tale norma conferisce al giudice una libertà di convincimento in merito alla valutazione delle prove con l’esclusione delle prove legali. Proprio il principio del libero convincimento ha rappresentato una delle argomentazioni su cui la giurisprudenza ha fondato, con un orientamento ormai consolidato, l’utilizzabilità nel processo civile delle c.d. prove atipiche. Per prove atipiche si intendono quei mezzi di prova che non sono ricompresi tra quelli regolati dalla legge e che di fatto entrano nel procedimento attraverso la produzione documentale [22]. Comunemente vengono annoverati all’interno di tale categoria i documenti provenienti da terzi e, comunque, a titolo esemplificativo, le perizie, i verbali acquisiti in un altro procedimento, le scritture private provenienti da terzi, le sentenze rese in altri procedimenti, le relazioni investigative, ecc. Prove che costituiscono un argomento piuttosto divisivo e dibattuto ma in cui è estremamente frequente imbattersi nei procedimenti di famiglia [23]. Secondo la Suprema Corte, nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice, è ammessa la possibilità che il giudice ponga a fondamento della decisione anche prove non espressamente previste dal codice di rito, purché fornisca adeguata motivazione della relativa utilizzazione. In altri termini, precisa la corte di legittimità, nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura e quindi non sarebbe ravvisabile un principio vincolante di tassatività delle prove. Il [continua ..]
Alla categoria delle prove atipiche appartengono senza dubbio i documenti provenienti da terzi. Nella prassi sono stati comunemente qualificati come prove atipiche: gli scritti provenienti da un terzo, gli atti e le sentenze resi in un altro procedimento (verbali, sentenze di condanna, di patteggiamento, ecc.), le prove acquisite in un altro procedimento, le relazioni investigative, le perizie stragiudiziali. A seguito dello sviluppo tecnologico vi è stato, soprattutto nei procedimenti relativi alle controversie familiari, un impiego sempre più massivo anche di prove digitali (es. fotografie, email, chat, screenshot, riproduzioni audio e video, ecc.). La frequente produzione in giudizio di tali mezzi di prova ha posto il problema, che non ha trovato una risposta univoca in dottrina ed in giurisprudenza, circa la natura di tali prove e la loro efficacia.
Sull’efficacia probatoria di documenti provenienti da un soggetto estraneo al giudizio sono emerse posizioni dottrinali e giurisprudenziali discordanti. Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, confermato dalle Sezioni Unite, gli scritti provenienti da terzi estranei alla lite, non essendo assoggettati alla disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c. ed a quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., non devono essere oggetto di impugnazione per falsità, al fine di contestarne la veridicità, e possono essere liberamente contestate. Essi costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è puramente indiziario e possono contribuire a fondare il convincimento del giudice in armonia con altri dati probatori acquisiti al processo in difetto di contestazione della parte, contro cui sono prodotti in causa, e in concorso di altri elementi che ne suffraghino la credibilità e l’attendibilità [31]. Le Sezioni Unite hanno però precisato che, nell’ambito delle scritture private, «deve riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura le connota di una carica di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne la autenticità» [32].
Gli atti, le decisioni e le prove che sono state assunti in altri procedimenti come, per esempio, nei procedimenti penali o nei giudizi dinanzi al Tribunale per i minorenni, costituiscono prove atipiche. La questione assume ancora più rilevanza nei procedimenti familiari, in particolare nei casi di violenza. Ci si riferisce agli eventuali atti o prove assunte nel processo penale che abbia ad oggetto gli stessi fatti di violenza allegati nel giudizio civile [33]. A tal proposito si è già trattato dell’onere, che la riforma ha posto a carico delle parti, di indicare, negli atti introduttivi dei giudizi in materia di famiglia, gli altri procedimenti esistenti aventi ad oggetto, in tutto o in parte, le medesime domande o domande ad esse connesse (e, di conseguenza, di allegare eventuali provvedimenti ivi adottatati). Nei casi di violenza, oltre all’indicazione dei procedimenti, definiti o pendenti, relativi agli abusi o alle violenze, si deve allegare copia degli accertamenti svolti e dei verbali relativi all’assunzione di sommarie informazioni e di prove testimoniali, nonché dei provvedimenti relativi alle parti ed al minore, emessi dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità [34]. È principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui il giudice civile, in assenza di divieti, possa formare il proprio convincimento in base a prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, purché fornisca adeguata motivazione della relativa utilizzazione [35]. Con riferimento agli atti elaborati nei procedimenti penali nelle fasi di indagine (risultanze degli atti di indagini preliminari, sommarie informazioni assunte durante la fase delle indagini preliminari, risultanze della relazione di una consulenza tecnica esperita nell’ambito delle stesse), la giurisprudenza sembra ammettere che il giudice civile possa avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari, svolte in sede penale, e delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali [36]. È possibile che, nell’ambito dei procedimenti di famiglia, vengano inoltre prodotte sentenze penali. Se la sentenza penale, sia essa di condanna o di assoluzione, è passata in giudicato, la stessa, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., avrà efficacia di giudicato nel [continua ..]
La relazione investigativa è un mezzo di prova atipico, classificato come scritto proveniente da un terzo ed utilizzato con frequenza nei procedimenti familiari, come, ad esempio, nelle separazioni al fine di provare l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà ed ottenere l’accoglimento della domanda di addebito. In particolare, la giurisprudenza ha qualificato le relazioni degli investigatori privati come scritti del terzo in funzione di supporto testimoniale alla tesi della parte che li ha incaricati, ritenendo, di conseguenza, che nel processo civile non sia ammissibile la semplice conferma da parte dell’investigatore del rapporto investigativo prodotto in giudizio ma sia necessaria una conferma probatoria, su fatti precisi, circostanziati e chiari che il terzo abbia appreso con la sua percezione diretta, attraverso formulazione di prova orale su specifici capitoli [41]. Come anticipato, si ritiene che anche le perizie stragiudiziali, ossia quegli accertamenti giurati di un tecnico posti in essere al di fuori del processo, siano prove atipiche [42]. È stato osservato che alle perizie stragiudiziali, pur non potendo essere riconosciuta piena efficacia probatoria, possa essere attribuito valore indiziario e, quindi, che il giudice possa porre le stesse a fondamento della decisione, dandone adeguata motivazione, salva comunque la facoltà di parte di chiedere la prova testimoniale sui fatti accertati nella perizia [43]. Di recente la Suprema Corte ha qualificato come mezzo di prova atipica anche la relazione di aggiornamento del coordinatore genitoriale. La Corte di legittimità ha ritenuto corretto l’operato del giudice di merito che, nell’ambito di un procedimento di affidamento di figli minori, aveva basato il proprio convincimento anche sulle relazioni del coordinatore, ponendole in relazione critica con le altre risultanze istruttorie (CTU) [44]. La figura del coordinatore genitoriale, nel nostro ordinamento ad oggi ancora priva di una specifica disciplina normativa, sembra essere richiamata dal neo introdotto art. 473-bis.26 c.p.c. [45] che prevede la nomina di un esperto, su istanza congiunta delle parti, affinché intervenga sul nucleo familiare al fine di superare i conflitti, sia di supporto ai minori ed agevoli le relazioni genitori-figli. L’esperto sarà tenuto a depositare, nel termine fissato dal giudice, una propria relazione [continua ..]
Nell’istruttoria dei contenziosi familiari, grazie allo sviluppo ed alla diffusione delle tecnologie informatiche, hanno assunto un ruolo sempre maggiore le prove digitali. Ci si riferisce alla produzione in giudizio di chat (di solito tramite il deposito di screenshot), email, informazioni tratte dai social network, registrazioni audio/video, ecc., ossia quelle allegazioni delle parti direttamente depositate in formato digitale o, comunque, acquisite tramite uno strumento digitale. Ci si è interrogati circa la natura di tali prove e la loro efficacia probatoria. Secondo un orientamento le prove digitali dovrebbero essere qualificate come prove atipiche e dovrebbero essere valutate come argomenti di prova [46]. Secondo un altro orientamento, invece, le prove digitali sarebbero prove documentali riconducibili alle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. [47]. Ai sensi di tale norma, le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche ed ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Con il disconoscimento, che deve essere qualificato, ossia chiaro specifico e circostanziato, la riproduzione informatica perde la qualità di prova e degrada a presunzione semplice [48]. Il principale problema connesso all’impiego di prove digitali è quello relativo alla possibile violazione, con l’acquisizione in giudizio delle stesse, di diritti fondamentali di rango costituzionale della controparte e/o di terzi (come il diritto alla riservatezza, all’immagine, alla libertà e segretezza della corrispondenza, ecc.). Questione che si presenta con maggior frequenza nei processi di famiglia in cui è più probabile che le parti coinvolte, considerati i rapporti tra loro intercorrenti e la situazione di coabitazione, entrino in contatto, per esempio, con documenti personali e dati riservati dell’altro coniuge contenuti in email, messaggi, ecc. Documenti che vengono poi introdotti in giudizio come prove della violazione dei doveri coniugali, del tenore di vita, delle condizioni economico-patrimoniali della controparte. Viene in questione così il più ampio e dibattuto tema delle c.d. prove illecite, ossia quelle prove acquisite fuori dal processo [continua ..]