Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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L'istruttoria nel nuovo procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie. L'ascolto del minore (di Filippo Danovi, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di Diritto dell'arbitrato interno e internazionale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca)


Nell'auspicato obiettivo di dare vita anche nell’ambito delle controversie che riguardano le persone, i minori e le relazioni familiari a un processo “giusto” e realizzare in tal modo le sottostanti, fondamentali e imprescindibili finalità di giustizia, il legislatore ha effettuato un corretto bilanciamento tra valori non sempre e convergenti e individuato il giusto punto di equilibrio per l'accertamento e fissazione dei fatti all’interno del processo, nella concentrazione delle tutele e con esse dei tempi del processo, con correlata eliminazione dell’attività inutili; nel rafforzamento dei poteri inquisitori del giudice; nella introduzione di un generale dovere di collaborazione tra le parti e tra le stesse e il giudice; e infine nella valorizzazione della posizione del minore e del suo ascolto.

Aiming to create – also in the area of litigation relating to people, children, and family relationships – a “fair” trial, and in this way to achieve the bedrock, fundamental goals of justice, lawmakers have struck a proper balance among values that are not always convergent, and have identified the precise point of equilibrium for verifying and anchoring the events within the trial. They have found this equilibrium by concentrating protections and, with them, the times of the trial, with the correlated elimination of useless activities; by strengthening the judge’s investigation powers; by introducing a general duty of collaboration among the parties and between them and the judge; and lastly by focusing on the child’s position and listening to him or her.

SOMMARIO:

1. Il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie - 2. Il ruolo del giudice e i poteri istruttori officiosi - 3. L’iniziativa del p.m. dal punto di vista dell’istruttoria - 4. La concentrazione delle tutele - 5. Il dovere di leale collaborazione - 6. L’iter relativo all’istruttoria: la deduzione delle relative istanze - 7. Il giudizio di ammissione - 8. La fase di assunzione - 9. L’istruttoria e l’ascolto del minore - 10. Conclusioni - NOTE


1. Il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie

La recente riforma del processo civile introduce nell’ordinamento un nuovo comparto normativo organico e analitico, che contiene la disciplina dettagliata del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie (artt. 473-bis ss. c.p.c.). Il nuovo rito si pone come modello unitario per tutti i procedimenti contenziosi che riguardano la giustizia familiare e minorile, con alcune specifiche eccezioni, pure tipizzate [1]. Si tratta di un’innovazione di grande portata sistematica, che rivoluziona l’intero mondo della giustizia familiare e minorile e offre agli operatori del diritto e a tutti gli utenti del servizio giustizia la possibilità di superare l’eterogeneità e frammentarietà dei riti un tempo esistente, individuando anche per la fase della tutela dei diritti una disciplina uniforme, retta da unitari principi fondamentali e assistita da idonee garanzie. La scansione dell’iter processuale è disciplinata dagli artt. 473-bis.12 ss. c.p.c., attraverso i quali, nel descrivere i momenti salienti del nuovo rito e le attività agli stessi ricollegabili, il legislatore ha in particolare radicalmente innovato la fase introduttiva (artt. 473-bis.12 ss. c.p.c.) e la fase decisoria (art. 473-bis.28 c.p.c.). Più limitati appaiono, da un punto di vista “numerico-quantitativo”, gli interventi relativi alla fase istruttoria; anche questa fase, tuttavia, da sempre momento cardine del processo in quanto volta all’accertamento e alla fissazione del fatto (e in tal modo indispensabile per la definitiva chiarificazione di uno dei formanti tipizzanti il sillogismo giudiziale), risulta a sua volta profondamente innovata alla luce del complessivo disegno sistematico espresso dal legislatore. Ed invero, una serie di principi e regole generali che fa da cornice di fondo all’intero impianto del nuovo processo minorile e delle famiglie finisce per avere importanti ricadute anche sulla disciplina istruttoria, e ciò tanto nella dimensione soggettiva del processo e dei suoi protagonisti, quanto dal punto di vista strutturale.


2. Il ruolo del giudice e i poteri istruttori officiosi

Dal primo punto di vista, con la riforma sono stati codificati alcuni principi fondamentali che attengono alla figura del giudice, del pubblico ministero, dei difensori e delle parti. Ci si riferisce, in particolare, al nuovo art. 473-bis.2 c.p.c. che per la prima volta e per tabulas riconosce in capo al giudice poteri di intervento officiosi a tutela dei minori particolarmente ampi, quali quelli di nomina del curatore speciale nei casi previsti dalla legge, di adozione dei provvedimenti opportuni anche in deroga al principio della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c.) e, per quanto segnatamente in questa sede interessa, di disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria. Già da questo punto di vista soltanto si coglie una chiara linea direzionale impressa dal legislatore della riforma, in adesione a principi che peraltro già rappresentavano parte del tessuto connettivo del sistema di diritto vivente, in base ai quali a tutela dei minori al giudice devono sempre essere attribuiti ampi poteri di intervento, anche al di fuori della cornice dell’oggetto del giudizio identificata dall’impulso e dalla concreta iniziativa delle parti [2]. Del resto, si suole sovente precisare che in questo particolare ambito più che un vero e proprio potere di impulso processuale alle parti compete piuttosto unicamente la possibilità di una sollecitazione dell’e­sercizio di un potere che resta appunto officioso [3]. In questa cornice, la previsione di un potere inquisitorio suscettibile expressis verbis di operare «anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile» non deve stupire, trattandosi di una formula che già il legislatore conosce e ha impiegato ad esempio in materia di processo del lavoro (art. 421 c.p.c.). L’esercizio di un potere officioso resta poi in questi casi comunque correttamente governato e bilanciato dalla fondamentale necessità di rispetto del contraddittorio, che costituisce un canone ineludibile del processo non soltanto nei rapporti diretti tra le parti, ma anche in una dimensione trilaterale, proprio per consentire alle parti di poter reagire ad eventuali iniziative officiose dell’organo giudicante. In ambito istruttorio, questo fondamentale [continua ..]


3. L’iniziativa del p.m. dal punto di vista dell’istruttoria

Un’ulteriore iniziativa dal punto di vista istruttorio può poi provenire anche dal pubblico ministero, da sempre soggetto dotato di una particolare configurazione e ruolo all’interno del processo familiare e minorile, che racchiude in sé alcune fondamentali caratteristiche ricollegabili all’organo giudicante (in particolare la terzietà, l’imparzialità e, “a monte”, la stessa sottostante connotazione soggettiva di ruolo) con i caratteri della parte, che riducono dunque la responsabilità finale propria del giudice e possono più liberamente condurre un potere di iniziativa, laddove ritenuto utile a tutela di diritti indisponibili o di rango pubblicistico e in ogni caso della posizione del minore coinvolto nel processo. A tale scopo, la riforma ha significativamente introdotto una disposizione volta a disciplinare i poteri di iniziativa del pubblico ministero anche dal punto di vista istruttorio. A tal fine l’art. 473-bis.3 c.p.c. stabilisce che «nell’esercizio dell’azione civile e al fine di adottare le relative determinazioni, il pubblico ministero può assumere informazioni, acquisire atti e svolgere accertamenti, anche avvalendosi della polizia giudiziaria e dei servizi sociali, sanitari e assistenziali». Dal punto di vista della concreta declinazione delle prerogative di impulso spettanti al pubblico ministero, il legislatore ha dunque utilizzato una formula generica e per tale motivo volutamente ampia, che fa riferimento al potere di assumere informazioni, acquisire atti e svolgere accertamenti. Con riferimento all’assunzione di informazioni, in particolare, la stessa consiste in un elemento istruttorio non previamente tipizzato e dal carattere estremamente vario ed eterogeneo, che la riforma ha esplicitamente contemplato in un numero abbastanza significativo di casi. Si pensi, ad esempio, oltre alla disposizione in esame, al caso del rifiuto del minore a incontrare il genitore (art. 473-bis.6 c.p.c.), all’ipotesi in cui vi sia necessità di emanare in via immediata i c.d. provvedimenti indifferibili (art. 473-bis.15 c.p.c.), o comunque gli ulteriori provvedimenti tem­poranei e urgenti di cui all’art. 473-bis.22 c.p.c. e nel caso di reclamo contro avverso detti provvedimenti (art. 473-bis.24 c.p.c.), nei casi di violenze familiari o di genere (art. 473-bis.40 ss. c.p.c.), e infine nei casi dei procedimenti di [continua ..]


4. La concentrazione delle tutele

Sempre dal punto di vista soggettivo, la riforma ha significativamente inciso sulla declinazione dell’istruttoria anche nella prospettiva delle attività (e dunque dei poteri e dei correlati doveri) riconnessi direttamente alle parti, per il tramite dei rispettivi difensori. Attività, poteri e doveri che trovano una particolare configurazione in dipendenza della struttura stessa del rito, chiaramente ispirata ai principi di immediatezza e concentrazione delle tutele e finalizzata a preservare quanto più possibile la ragionevole durata del processo. Vi è piena consapevolezza, in questo, che il tema delle tempistiche del giudizio non pertiene unicamente ai diritti (e ai correlati obblighi) di natura economico-patrimoniale, ma ha un’im­portanza centrale anche nel settore delle persone e delle famiglie, sia per l’esigenza più volte sottolineata dalla stessa Suprema Corte di poter addivenire a una definizione quanto più sollecita possibile degli status personali e familiari [6], sia in quanto tutte le volte in cui il processo incide sulla vita dei minori, il fattore tempo assume ipso facto una rilevanza ancor più cruciale [7]. A questo riguardo, il principio di concentrazione delle tutele svolge un duplice ruolo e può essere individuato in una diversa configurazione, assumendo come linea di riferimento una prospettiva “interna” al singolo procedimento, ovvero “esterna”, o si licet di interconnessione tra le possibili contemporanee richieste di tutela che possono essere formulate con riferimento a una medesima vicenda sostanziale. Dal primo punto di vista, si nota tra le pieghe della riforma una particolare attenzione all’esi­genza di concentrazione e alla connessa (e anzi strettamente compenetrata) necessità di preservare la ragionevole durata del processo attraverso la strutturazione di un rito cadenzato e retto dal principio di preclusione per quanto riguarda le domande aventi a oggetto diritti disponibili. Per i diritti indisponibili, invece, la disciplina è completamente diversa, perché la ri­emersione completa e senza limiti temporali dei poteri del giudice lascia altresì spazio ai correlati liberi poteri di sollecitazione anche istruttoria ad opera delle parti. In particolare, la fase introduttiva è connotata da una scansione particolarmente rigorosa, attraverso termini in stretta sequenza tra [continua ..]


5. Il dovere di leale collaborazione

Dal punto di vista delle parti vi è un’ulteriore disposizione che assume un rilievo centrale nel­l’ambito dei principi generali che caratterizzano il nuovo rito, e con esso la fase istruttoria. Il già menzionato art. 473-bis.2, 2° comma, c.p.c., in particolare, deve essere letto come strettamente raccordato a un’altra norma di rilievo, l’art. 473-bis.18 c.p.c., rubricato “Dovere di leale collaborazione”, nel quale si precisa che «Il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è valutabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 116, nonché ai sensi del primo comma dell’articolo 92 e dell’articolo 96». La norma, che pur recepisce indirizzi già evidenziati nella giurisprudenza, fa riferimento in particolare al dovere di disclosure ricollegato agli atti introduttivi, del quale meglio si dirà in seguito; la sua collocazione e il suo tenore, tuttavia, inducono ad attribuirle una portata ancor più ampia, nel segno di un’importante direzione da imprimere al giudizio. Tra le sue molteplici raffigurazioni il processo è stato invero descritto da un grande del ’900, Piero Calamandrei, anche come “giuoco” e come tutte le competizioni è dunque necessario sia improntato a lealtà, trasparenza e fairness. Questo è dunque il senso della nuova norma, di carattere generale e volta a informare tutti i momenti del processo e, in particolare, anche le attività delle parti sul piano istruttorio. Le parti non devono assumere atteggiamenti opachi, poiché nei processi della famiglia il bene tutelato sottostante travalica i confini della posizione personale delle parti e investe soggetti fragili quali i minori, per i quali il giudice deve adottare ogni possibile cautela e misura di salvaguardia.


6. L’iter relativo all’istruttoria: la deduzione delle relative istanze

Anche nel nuovo procedimento unitario in materia di persone, minorenni e famiglie l’istrut­toria è articolata secondo le tre fasi tradizionali della deduzione, dell’ammissione e dell’assun­zione dei mezzi di prova. Per quanto in particolare riguarda la deduzione delle istanze istruttorie, la stessa è stata come già accennato collocata dal legislatore all’interno di una rigorosa sequenza di atti, tutti concentrati nello spatium temporis della fase introduttiva della causa. In questa cornice, la deduzione dei mezzi di prova è stata tendenzialmente articolata in due tempi distinti. Ed invero, il legislatore ha ricollegato agli atti introduttivi di causa (ricorso e comparsa di risposta del convenuto) esclusivamente la facoltà di deduzione dei mezzi istruttori e un più puntuale, ma limitato, obbligo di disclosure di carattere patrimoniale in presenza di particolari circostanze. L’onere di deduzione dei mezzi di prova a pena di decadenza (e dunque la barriera preclusiva prevista per gli stessi) è stato invece dal legislatore rinviato alle ulteriori memorie contemplate dall’art. 473-bis.17 c.p.c., nei termini che di seguito verranno indicati. Il legislatore delegato ha quindi preferito accogliere in modo più sfumato le indicazioni contenute nella legge delega (l. n. 206/2021), che all’art. 1, 23° comma, lett. f), prevedeva un onere di indicazione, a pena di decadenza per le sole domande aventi ad oggetto diritti disponibili, dei mezzi di prova di documenti di cui il ricorrente intende avvalersi e (art. 1, 23° comma, lett. h) una correlata indicazione per il convenuto, sempre a pena di decadenza per le sole domande aventi ad oggetto diritti disponibili, dei mezzi di prova e documenti, oltre alla documentazione indicata nella lett. f) e con le stesse sanzioni per il caso di mancato deposito della documentazione senza giustificato motivo, ovvero per il deposito di documentazioni inesatte o incomplete. La scelta finale di “dilatare”, sia pur brevemente, il termine per le deduzioni istruttorie e dunque alleggerire gli oneri decadenziali a tal fine stabiliti, è dunque frutto di un temperamento, che trae spunto sia dalla modifica medio tempore intervenuta anche per il giudizio ordinario, che ha spostato l’originale indicazione contenuta nell’emendamento governativo di immediate previsioni decadenziali negli atti [continua ..]


7. Il giudizio di ammissione

Per quanto riguarda la fase di ammissione, i poteri del giudice e le articolazioni istruttorie sono ovviamente strettamente funzionali alle singole attività e fasi del processo. Per tale motivo, in relazione a quelli che sono gli oneri di allegazione e deposito della documentazione iniziali, da rispettare come visto negli atti introduttivi a pena di decadenza, un’eventuale violazione o mancata osservanza potrà essere ovviata alla prima udienza, mediante ordine del giudice di depositare la documentazione mancante, o eventualmente anche immediatamente sanzionata, ai fini della stessa emanazione dei provvedimenti temporanei e urgenti. Dal punto di vista generale, tuttavia, le istanze istruttorie devono essere definite dal giudice ad esito della prima udienza in un segmento – separato nella sostanza, ma unito dal punto di vista formale – dell’ordinanza resa al termine dell’udienza stessa. Ai sensi dell’art. 473-bis.22, 3° com­ma, c.p.c. con l’ordinanza con la quale emana i provvedimenti temporanei e urgenti il giudice provvede altresì sulle richieste istruttorie e predispone il calendario del processo, fissando entro i successivi novanta giorni l’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi. La norma risponde a un’esigenza di (per quanto possibile) preventiva fissazione (e per quanto possibile concentrazione) dei tempi del processo, analoga a quella espressa dal nuovo art. 183, 4° comma, c.p.c., per il quale il giudice predispone con ordinanza il calendario delle udienze successive, sino a quella di remissione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse.


8. La fase di assunzione

Nella nuova disciplina relativa al procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, nessuna norma speciale è stata invece specificamente dedicata alla fase di assunzione, che continua dunque a essere regolamentata dalla normativa generale di riferimento contenuta nel sesto libro del codice civile e nel secondo libro del codice di rito, e in particolare dalle regole relative ai singoli istituti dell’istruttoria.


9. L’istruttoria e l’ascolto del minore

Un’indagine relativa all’istruttoria nel nuovo procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie non può considerarsi completa senza un approfondimento in ordine alla posizione del minore, indiscusso protagonista del processo. A tal fine, il profilo più rilevante è senza dubbio quello dell’ascolto. L’ascolto del minore rappresenta un istituto molto particolare, poiché di fatto tende a salvaguardare una sfera estremamente personale di profili fondamentali della vita di quel soggetto vulnerabile per eccellenza che è il minore, e ciò anche in una dimensione, quella processuale, che non dovrebbe essergli propria e dalla quale lo stesso dovrebbe prima di tutto essere protetto. In realtà, tuttavia, l’ascolto è un fenomeno ben più ampio, che addirittura preesiste al processo. Ascoltare, invero, è concetto diverso da sentire, significa riuscire a mettersi in una dimensione pronta a percepire in modo empatico inclinazioni, desideri e aspirazioni e dunque recepire le rappresentazioni, sollecitazioni e istanze che provengono dal minore [9]. In questi termini, non vi è dubbio che i primi soggetti che hanno il dovere di ascoltare i minori sono i genitori, nonché tutti gli adulti che, per ragioni familiari ovvero professionali (ad esempio insegnanti e medici) si trovano a stretto contatto con loro, e solo secondariamente quindi il giudice. Il dovere del giudice deve dunque sempre considerarsi sussidiario rispetto a quello originario dei genitori, che rimane primario. È per questo motivo, tra l’altro, che l’art. 315-bis, 3° comma, c.c. pone correttamente in risalto che: «Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano», così facendo riferimento all’ampio e indeterminato ventaglio di questioni che possono riguardare la vita quotidiana del minore, prima ancora che a eventuali procedimenti giudiziari. In questa prospettiva, l’ascolto giudiziale è e resta dunque sempre una sorta di extrema ratio. In ciò si coglie il carattere quasi ossimorico dell’ascolto giudiziale del minore, poiché in ultima analisi esso è un istituto giuridico che si svolge in una sede contenziosa rispetto alla quale il minore dovrebbe [continua ..]


10. Conclusioni

Volendo riassumere in poche battute il significato complessivo della riforma dal punto di vista dell’istruttoria, le linee guida prescelte dal legislatore potrebbero così sintetizzarsi: –    concentrazione delle tutele e con esse dei tempi del processo, con correlata eliminazione dell’attività inutili; –    rafforzamento dei poteri inquisitori del giudice; –    introduzione di un generale dovere di collaborazione tra le parti e tra le stesse e il giudice; –    e, infine, valorizzazione della posizione del minore. Soltanto attraverso un corretto bilanciamento tra questi non sempre convergenti valori può in concreto individuarsi il giusto punto di equilibrio per l’accertamento e fissazione dei fatti all’interno del processo, nell’auspicato obiettivo di dare vita anche nell’ambito delle controversie che riguardano le persone, i minori e le relazioni familiari a un processo “giusto” e realizzare in tal modo le sottostanti, fondamentali e imprescindibili finalità di giustizia.


NOTE