Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Le competenze dell'unione europea in materia di diritto di famiglia (di Maria Caterina Baruffi, Professore ordinario di Diritto Internazionale nell’Università degli Studi di Bergamo)


L’Unione europea, per tutelare i diritti dei suoi cittadini che si spostano da un Paese all’altro, ha adottato un corpus normativo relativo ai rapporti familiari, di tradizionale competenza degli Stati. L’intervento legislativo è caratterizzato dalla settorialità e della frammentazione del sistema delle fonti, come pure da una continua evoluzione. In particolare, sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, è stata presentata una proposta di regolamento in materia di status filiationis.

 

In order to safeguard the rights of its citizens moving from one country to another, the European Union has adopted a regulatory corpus relating to family relations, traditionally under the jurisdiction of the States. The legislative intervention is marked by the sectoral and fragmented nature of the system of sources, as well as by its continuous evolution. In particular, in the wake of the Court of Justice’s case law, a proposed regulation in the matter of status fi­liationis has been proposed.

Keywords: European Union jurisdiction – European regulations on family law – proposed European regulation of status filiationis.

SOMMARIO:

1. Il sistema delle competenze dell’Unione europea - 2. Il costante ampliamento delle competenze dell’Unione europea - 3. L’inserimento del diritto di famiglia con implicazioni transfrontaliere nei Trattati - 4. Il corpus normativo europeo in materia di diritto di famiglia - 5. Cenni conclusivi - NOTE


1. Il sistema delle competenze dell’Unione europea

L’entrata in applicazione il 1° agosto 2022 del Reg. 2019/1111 [1], noto come Bruxelles II-ter, di rifusione del Reg. n. 2201/2003 (Bruxelles II-bis) [2], fornisce lo spunto per una riflessione sulla ripartizione di competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri, con riguardo al diritto di famiglia, materia particolarmente “sensibile”. Sempre più frequentemente, infatti, l’Unione europea sta incidendo in settori che tradizionalmente rientrano nelle competenze degli Stati membri, adducendo a giustificazione la garanzia dei diritti dei cittadini che esercitano la libera circolazione delle persone. L’Unione europea, come noto, a differenza degli Stati membri, gode, in base al principio di attribuzione contenuto nell’art. 5, par. 1, TUE, delle sole competenze che le sono state conferite dagli Stati e che sono codificate nei Trattati. Ciò comporta che essa può intervenire in via legislativa «esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati» (art. 5, par. 2) e, comunque, per la realizzazione degli obiettivi previsti dai Trattati stessi. Inoltre, è necessario che l’azione persegua la realizzazione di uno o più degli scopi individuati dall’art. 3 TUE, tra i quali figura la realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, senza frontiere interne, nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone (par. 2). Da tali principi discende che tutte le competenze non espressamente attribuite nei Trattati all’Unione appartengono agli Stati, come ribadito dal par. 1 dell’art. 4 TUE, in base al quale solo gli Stati sono detentori in via generale di competenze.


2. Il costante ampliamento delle competenze dell’Unione europea

La rigida formulazione del principio di attribuzione è stata nel tempo attenuata [3] dal ricorso sia a strumenti previsti dai Trattati sia a principi di origine giurisprudenziale. L’unico modo istituzionale, previsto dal TUE, per ampliare le competenze dell’Unione è l’utilizzo della proceduta di revisione, che porta ad una modifica dei Trattati, come avvenuto per l’AUE (del 28 febbraio 1986, in vigore dal 1° luglio 1987) e per i Trattati di Maastricht (del 7 febbraio 1992, in vigore dal 1° novembre 1993), Amsterdam (del 2 ottobre 1997, in vigore dal 1° maggio 1999), Nizza (del 26 febbraio 2001, in vigore dal 1° febbraio 2003) e di Lisbona (del 13 dicembre 2007, in vigore dal 1° dicembre 2009). La relativa procedura è stata radicalmente modificata nel 2009 a Lisbona per garantire maggiore trasparenza, evitando, per quanto possibile, il ricorso al metodo diplomatico tradizionale, basato su trattative a porte chiuse, alla ricerca di una soluzione accettabile per tutti i paesi membri, con i conseguenti «compromessi al ribasso». Il Trattato di Lisbona ha anche inciso sui lunghi tempi delle negoziazioni, introducendo procedure più snelle, le c.d. procedure semplificate [4], da utilizzare in tutte quelle situazioni che non comportano un aumento delle competenze dell’Unione. Nell’ipotesi in cui si voglia invece ampliare le materie di competenza UE è possibile modificare i Trattati solo facendo ricorso alla procedura ordinaria di cui all’art. 48, par. 2-5 TUE. In tal caso è necessario il coinvolgimento in via preventiva delle istituzioni comunitarie [5], la convocazione di una «convenzione» [6] e solo successivamente della Conferenza intergovernativa. La procedura di revisione ordinaria rimane comunque lunga e complessa, essendo necessario il co­involgimento anche dei parlamenti nazionali, ai quali, in base al par. 2, vengono notificati i progetti di modifica, al fine di un bilanciamento corretto degli interessi delle parti coinvolte. Tra gli strumenti previsti dai Trattati per un “allentamento” del principio di attribuzione rientra la clausola di flessibilità. La ragione della sua previsione consiste, infatti, nell’evitare che l’azione della Comunità, prima, e dell’Unione, oggi, sia preclusa dall’assenza di una specifica competenza in un determinato settore [continua ..]


3. L’inserimento del diritto di famiglia con implicazioni transfrontaliere nei Trattati

Col tempo le modifiche via via apportate ai Trattati hanno arricchito il novero delle competenze dell’Unione, anche, seppur con non poche difficoltà, nel campo del diritto di famiglia. Avendo il Trattato di Amsterdam “comunitarizzato” [13] una parte della cooperazione giudiziaria, e specificamente quella in materia civile, ciò ha comportato la possibilità che venissero adottati con maggior facilità anche in tale settore atti vincolanti sottoposti al vaglio della Corte di Giustizia. Il Trattato di Lisbona ha quindi definitivamente razionalizzato la competenza dell’Unio­ne in materia di famiglia, inserendola nell’àmbito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG), di cui al Titolo V del Trattato sul funzionamento, al Capo III, dedicato alla cooperazione giudiziaria civile [14] ed ancorandone il fondamento alla realizzazione dei diritti fondamentali degli individui. Lo SLSG – che figura alla lett. j) dell’art. 4 TFUE tra le competenze concorrenti – è infatti divenuto «uno degli assi portanti dell’Unione», non solo in termini quantitativi per la produzione legislativa in materia, ma in particolare per la garanzia dei diritti in esso assicurati [15], senza, tuttavia, escludere gli Stati membri dall’attività dell’Unione. L’art. 81 [16] attribuisce all’Unione la competenza ad adottare, secondo la procedura legislativa ordinaria, atti in materia volti anche a «ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentati degli Stati membri» (par. 1), elencando al par. 2 l’oggetto di tali misure, tutte riguardanti il diritto internazionale privato e processuale [17]. In quest’ambito il diritto di famiglia, che pure rientra nella cooperazione giudiziaria in materia civile, viene menzionato esclusivamente al par. 3 per differenziare le decisioni adottare in tale settore da tutte le altre rientranti nella cooperazione. In deroga alla regola generale del ricorso alla procedura legislativa ordinaria di cui all’art. 294 TFUE, per il diritto di famiglia con implicazioni transnazionali si richiede infatti che le istituzioni deliberino secondo una procedura legislativa speciale, che prevede la mera consultazione del Parlamento europeo ed il voto all’unanimità del Consiglio, lasciando così in mano agli Stati il controllo finale [18]. La norma [continua ..]


4. Il corpus normativo europeo in materia di diritto di famiglia

L’intervento dell’Unione ha avuto, come anticipato, a fondamento la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione europea, quale diritto connesso alla cittadinanza europea, oltre che come mezzo per la realizzazione del mercato unico [23]. Esso, infatti, costituisce ancora oggi il caposaldo delle politiche europee in materia di famiglia, grazie in particolare alla interpretazione della Corte di Giustizia [24]. Consentire, infatti, la circolazione delle persone all’interno del­l’Unione ha come conseguenza la possibilità che anche i rapporti interpersonali si svolgano al di là dei confini statali rendendo necessario un intervento a livello europeo al fine di evitare, o, quanto meno, ridurre, i rischi di discontinuità nella vita giuridica dei soggetti dovuti alla mancanza di omogeneità delle norme relative alla competenza giurisdizionale e al riconoscimento delle decisioni provenienti da paesi diversi [25]. In presenza, nei vari paesi, di leggi materiali anche estremamente diverse, la soluzione è stata ricercata sul piano degli aspetti propri del diritto internazionale privato e processuale [26], vale a dire giurisdizione, legge applicabile e riconoscimento delle decisioni provenienti da paesi UE [27], come previsto dall’art. 81 TFUE, mentre le competenze di diritto sostanziale sono rimaste in capo agli Stati membri. Gli atti finora [28] oggetto di normazione sono caratterizzati dalla natura settoriale, con non poche difficoltà nella loro applicazione pratica, a causa della conseguente frammentazione delle fonti che regolano la materia [29]. Il Reg. n. 1347/2000 [30] è stato il primo atto adottato in materia di diritto di famiglia, in particolare separazione e divorzio e potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, riguardando aspetti propriamente processuali, quali la giurisdizione ed il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze. Tale Regolamento, a distanza di pochi anni è stato recepito nel più ampio Reg. n. 2201/2003 – pietra angolare, per utilizzare le parole della Commissione [31], del diritto di famiglia – avente ad oggetto sempre la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, ma, con riferimento a quest’ultimo aspetto, nei confronti dei figli anche di un [continua ..]


5. Cenni conclusivi

Tratto qualificante della disciplina dell’Unione europea è la possibilità per i giudici nazionali, chiamati ad applicare i summenzionati regolamenti in una controversia in materia di diritto di famiglia con carattere transnazionale, di rivolgere alla Corte di Giustizia una richiesta di interpretazione qualora abbiano dei dubbi sul significato da attribuire alle nozioni contenute nelle norme di detti regolamenti o nel Protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 [48] sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, in virtù dell’art. 15 del Reg. n. 4/2009 [49]. Ed in effetti la giurisprudenza della Corte ha integrato gli atti in parola, fornendo un ausilio imprescindibile nella lettura delle norme e guidando l’attività dei giudici nazionali, non solo di quelli che hanno sollecitato il parere. Tale impulso giurisprudenziale ha suscitato preoccupazioni, in particolare da parte di quei paesi più attenti al rispetto delle prerogative nazionali, per evitare che l’interpreta­zione della Corte possa costituire lo strumento per restringere l’ambito delle competenze statali. È quanto è accaduto alla Gran Bretagna che, all’inizio dei negoziati per l’uscita dall’Unione [50], si era detta in via generale disponibile ad essere vincolata dai regolamenti, ma non dall’interpre­tazione delle sue norme da parte della Corte di Giustizia. Non a caso tale condizione non è stata accolta. Rinunciando all’intervento interpretativo della Corte di Giustizia si perde infatti quell’elemento qualificante che garantisce all’interno del territorio degli Stati membri l’unifor­me applicazione degli atti UE. Inoltre la Corte di Giustizia sta, tuttavia, seppur lentamente, erodendo il baluardo delle competenze statali esclusive, con un effetto simile a quello della goccia d’acqua sulla roccia, in particolare con riguardo agli status personali [51]. I giudici di Lussemburgo, infatti, sempre in nome dell’esercizio della libertà fondamentale di circolazione e della cittadinanza UE, hanno aperto una breccia nelle singole normative nazionali dei paesi membri, che non ammettono il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso o il riconoscimento della filiazione avvenuta in altro Stato membro. Proprio con riferimento alla filiazione, il legislatore UE, traendo spunto dalla giurisprudenza della [continua ..]


NOTE