Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Riforma Cartabia: violenza di genere, consulenza e servizi sociali (di Gabriella De Strobel, Avvocata in Verona)


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La Convenzione di Istanbul e il rapporto Grevio - 3. Affidamento condiviso e violenza - 4. Consulenza – Indagini dei servizi sociali – Pas - 5. Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere - 6. Manifesto AIAF per la riforma della giustizia familiare e la legge delega - NOTE


1. Premessa

La violenza di genere è un’emergenza sociale fra le più gravi del nostro Paese. Quotidianamente siamo costretti a leggere nella cronaca storie drammatiche di femminicidi, spesso accompagnati dall’uccisione di figli minori, da parte di mariti, ex compagni, parenti, amici, persone legate con la vittima da un vincolo affettivo. La drammaticità del fenomeno è proprio legata a questo aspetto fortemente emotivo che poi condiziona le vittime fino a portarle a non denunciare, o a ritirare le denunce. Dietro ogni femminicidio c’è una “storia” di violenza, di soprusi, di maltrattamenti che nonostante le mancate denunce o il ritiro delle stesse, non hanno fermato la mano dell’assassino. È impensabile per le vittime arrivare a credere che, veramente la persona con la quale si ha avuto o si ha un rapporto affettivo, possa arrivare al gesto estremo, magari anche nei confronti dei figli [1]. È su questo terreno che l’assassino gioca e si sente sempre più sicuro di portare a termine il proprio progetto. Ma se questo è quello che succede sul piano del rapporto vittima/carnefice, bisogna anche aggiungere che altri elementi giocano un ruolo determinante in questo contesto: la certezza nel­l’assassino di una risposta istituzionale lenta, poco efficace, improntata al perdonismo, la assenza di una severa prevenzione, che metta in sicurezza le vittime, che le protegga realmente e la mancanza di una punizione, immediata, efficace e realmente risarcitoria. I dati [2] sono ancora così alti e costanti da far ritenere che ancora oggi siamo di fronte ha un problema drammatico per le donne e i bambini di questo paese vittime di violenza di genere.


2. La Convenzione di Istanbul e il rapporto Grevio

L’art. 3 della Convenzione di Istanbul afferma che con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” basata sul genere, si designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale e che colpisce le donne in modo sproporzionato [3]. Non si tratta di un problema di debolezza o di fragilità delle donne, ma di una discriminazione di cui le donne sono vittime e che provoca danni e sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica ed economica. Le norme più significative contenute nella Convenzione di Istanbul e che hanno delle ricadute immediate sul processo civile possono indicarsi in quelle di cui all’articolo 15 che prevede una adeguata formazione specialistica delle figure professionali che si occupano delle vittime e degli autori di violenza. La convenzione impone – altresì – agli Stati obblighi generali, affinché vengano individuati ade­guati meccanismi di cooperazione tra tutti gli organismi statali competenti, comprese le autorità giudiziarie e i pubblici ministeri. Le misure adottate devono basarsi sulla comprensione della violenza di genere e concentrarsi sui diritti umani, e sulla sicurezza della vittima ed evitare la c.d. vittimizzazione secondaria [4]. Di particolare importanza l’art. 31 che riguarda la custodia dei figli e i diritti di visita e di sicurezza, invitando le parti ad adottare misure legislative per garantire che, nel prendere le decisioni sui diritti di visita e di custodia, siano presi in considerazione gli episodi di violenza e nel decidere i diritti di visita questi non debbono compromettere i diritti e la sicurezza delle vittime e dei bambini [5]. Infine, l’art. 48 che impone espressamente il divieto, nei casi di violenza, di risoluzione dei conflitti con metodi obbligatori di mediazione e di conciliazione tra le parti, in tutti quei casi in cui sono assunte le forme di violenza previste dalla convenzione [6]. Il Rapporto Grevio redatto “da un gruppo di esperti/e” sulla lotta contro la violenza, che monitora l’efficacia della Convenzione di Istanbul nello Stato, pubblicato il 13 gennaio 2020, ha denunciato gravi criticità nei Tribunali italiani circa l’applicazione della Convenzione di Istanbul [7]. Da un lato riconosce una accresciuta sensibilizzazione da parte degli organi istituzionali, ma dall’altro denuncia deficit e criticità molto [continua ..]


3. Affidamento condiviso e violenza

L’applicazione dell’affidamento condiviso nei nostri tribunali civili e minorili è la regola, generalmente applicata e che orienta la regolamentazione dei rapporti genitori/figli, per i giudici, i periti, gli avvocati. L’affidamento condiviso è adottato nel 96%. L’affido condiviso pone i genitori sullo stesso piano, impone scelte condivise, impone un dialogo obbligatorio, che nelle situazioni di violenza, si trasforma di fatto in un controllo sistematico nei confronti del partner che subisce violenza e che è obbligato a mantenere un colloquio col partner violento. Con l’affidamento condiviso, nei casi di violenza di genere e domestica, il partner violento mette in atto una sistematica strategia di occultamento dei propri comportamenti, attraverso la mistificazione dei dati, la colpevolizzazione dell’altro partner (in genere la madre collocataria dei figli) derubricando la violenza in semplice litigio e conflitto genitoriale, che ben può essere superato dal dialogo, dal confronto e dalla comunicazione tra i genitori. Complice di tale situazione sono le istituzioni, che sono portate a non credere alla vittima, a colpevolizzare la vittima che denuncia, o perché ritiene le denunce infondate o di tenue gravità o perché le ritiene strumentali ad ottenere vantaggi nelle cause di separazione, divorzio e di affidamento dei figli. La sistematica prassi di non considerare – nei processi civili – la violenza e di trasformarla invece in conflitto, sposta necessariamente l’attenzione dal partner violento alla coppia genitoriale, imponendo la mediazione familiare, ovvero estenuanti percorsi di sostegno alla genitorialità. Infine, il partner pur riconosciuto violento, in tale contesto, viene spesso distinto dal buon padre che, seppur violento, può continuare ad esercitare le sue funzioni genitoriali. In tale contesto i minori vittime di violenza o che hanno assistito alla violenza perpetrata nei confronti della madre non sono creduti, spesso vengono puniti con visite imposte e se rifiutano le visite con il genitore violento (padre) rischiano il cambio di collocamento e l’allontanamen­to dal genitore collocatario (madre). Il contesto giudiziario permette al partner violento di continuare, quindi, ad esercitare il controllo attraverso un uso distorto dell’affidamento condiviso, un’enfasi sulla genitorialità perpetrato da [continua ..]


4. Consulenza – Indagini dei servizi sociali – Pas

Nell’attuale sistema giudiziario la consulenza o l’indagine dei Servizi Sociali rappresentano l’u­nico strumento– quasi unico– di valutazione del caso e della genitorialità delle parti. La prassi è quella di recepire –in toto– le conclusioni delle consulenze tecniche d’ufficio o delle relazioni dei Servizi Sociali (che peraltro non soggiogano al principio dell’immediato contradditorio con la nomina di un proprio consulente) omettendo l’analisi di altri elementi, omettendo una istruttoria, omettendo valutazioni e/o motivazioni più approfondite anche con riferimento ai consulenti di parte, quando presenti, e in assenza di un’attività istruttoria adeguata [13]. Spesso in situazioni di violenza di genere e/o domestica ci si trova di fronte a minori che non accettano la visita con il padre violento, determinando così negli operatori e nei consulenti l’errata convinzione che siano le madri le ostacolanti al rapporto minore/padre. Si è così sempre di più fatta strada la teoria della cosiddetta PAS ovvero sindrome di alienazione parentale, definita dal fondatore A. Gardner «come un disturbo che insorge principalmente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli e la cui manifestazione principale è la campagna di denigrazione rivolta contro un genitore» [14]. Tale teoria colpevolizza il genitore (madre) che si oppone alle visite padre/figli pur in presenza di gravi comportamenti violenti del partner, che può portare addirittura al cambio di collocamento. La generale adesione di operatori, consulenti e magistrati a questa teoria è stata nel tempo criticata dalla Cassazione, con decisioni che dal 2013 ad oggi, sono sempre state più incisive e significative. Così con una prima decisione del 2013 n. 7041 la Cassazione da un lato ha censurato l’operato del Giudice che ha recepito integralmente le conclusioni di una CTU senza aver esaminato in concreto le censure mosse alla stessa, dall’altro, per la prima volta, ha esplicitamente criticato la teoria della PAS applicata dalla CTU, nel caso di specie, perché trattasi di teoria non supportata da alcun conforto scientifico [15]. Anche nel 2016 [16] la Cassazione è tornata sul tema affermando che il Giudice di merito è tenuto ad accertare «le ragioni del rifiuto del [continua ..]


5. Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere

A completamento della disamina sopra effettuata in relazione alla problematica della violenza di genere, è necessario porre l’attenzione alla Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta del 28 febbraio 2022, che ha rilevato nei Tribunali civili ordinari e per i minorenni di questo paese, gravissime carenze e criticità di cui si è detto sopra. Ne è emerso un quadro avvilente in relazione all’analisi dei procedimenti analizzati dalla Com­missione, da cui è emerso che «non vi è nessuna attenzione al tema della violenza domestica “anche in presenza di allegazioni di parte in merito all’esistenza di condotte violente”». È emerso che nei procedimenti analizzati – ben 1.500 fascicoli – non vengono eseguite istruttorie adeguate, non vi è alcuna forma di coordinamento tra autorità giudiziarie civili e penali, nessuna attenzione è posta al divieto di conciliazione e mediazione tra genitore violento e l’altro genitore e l’affidamento condiviso risulta comunque essere la prassi anche in presenza di allegazioni di violenza. L’ascolto del minore viene disposto in casi molto limitati e spesso è delegato al consulente tecnico d’ufficio o ai responsabili del servizio socioassistenziale, le attività istruttorie sono fortemente delegate ai consulenti, mentre nessuna cautela è adottata per evitare la contemporanea presenza in udienza dell’autore della violenza e della vittima [19]. Viene confermato, nei fascicoli esaminati, il ricorso alla c.d. PAS e di contro la mancata percezione dei fatti di violenza che non rientrano nelle relazioni o nelle consulenze. La commissione afferma che l’analisi dei fascicoli relativi ai procedimenti minorili, conferma che la «violenza è invisibile agli occhi degli operatori» e che questi ultimi non sono in grado di progettare interventi che la contrastino. La violenza, seppur fonte di pregiudizio, viene considerata “accidentale”, “superabile” … «la rilevata tendenza degli operatori di negare la violenza in nome della bigenitorialità, espone le vittime ad ulteriori sofferenze e pregiudizi» [20].


6. Manifesto AIAF per la riforma della giustizia familiare e la legge delega

L’AIAF, recependo le criticità sopra evidenziate, ha posto l’attenzione sugli aspetti critici del diritto di famiglia che riguardano l’espletamento della CTU, le modalità di redazione delle relazioni dei Servizi Sociali e la totale assenza di attenzione nel processo civile alla violenza di genere e domestica. Tali criticità si accentuano quando all’interno del processo vengono allegati fatti di violenza domestica e di genere che portano la vittima di violenza a continuare a subire, nella paura che un giudizio possa risolversi nella sua colpevolizzazione. Invero, come sopra evidenziato, le risultanze della CTU e le relazioni dei Servizi Sociali (in cui peraltro l’assenza di contradditorio è evidente) sono diventate nella prassi decisive e determinanti per i provvedimenti che riguardano l’affidamento e i diritti di visita e purtroppo gli unici strumenti cui ricorre il Giudice con delega ai professionisti per la risoluzione dei vari casi portati alla sua attenzione. Nel manifesto per la riforma AIAF si richiama quindi la necessità di garantire nella consulenza e nelle operazioni dei Servizi Sociali il giusto processo e il necessario contradditorio fra le parti nonché a riconoscere la violenza di genere e proteggere le vittime suggerendo: –    la necessità di escludere i Servizi Sociali da ogni attività di valutazione delle capacità genitoriali per la mancanza di effettivo contradditorio fra le parti, e per l’assenza di un consulente che possa partecipare alle operazioni peritali dei servizi; –    il divieto di delegare al CTU le decisioni in materia di responsabilità genitoriale e tempi di permanenza, con incarichi ai professionisti affinché forniscano al Giudice gli elementi per giungere ad una decisione, non certo per fornire la soluzione del caso che non può essere, svincolata da tutti gli altri elementi istruttori emersi o che potrebbero emergere nel processo; –    l’istituzione di elenchi di CTU specializzati ed esperti in relazioni familiari e di violenza di genere, con divieto per il CTU di assumere l’incarico di CTP all’interno della stessa circoscrizione (al fine di evitare eventuali conflitti di interesse, come previsto per gli avvocati che intendono esercitare funzioni giudicanti); –    l’obbligo, a pena di [continua ..]


NOTE