Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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“Riforma dei procedimenti de potestate, degli interventi amministrativi relativi ai minori, della disciplina dell´affidamento eterofamiliare e dell´adozione” (di Alberto Figone, Avvocato in Genova)


SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. L’intervento della pubblica autorità ex art. 403 c.c. - 2.2. La novella dell’art. 403 c.c. - 2.3. Criticità operative - 3. I procedimenti de potestate - 4. Affidamento e adozione - NOTE


1. Introduzione

Il gruppo di lavoro da me presieduto ha affrontato tematiche differenziate, di natura processuale, come gli obiettivi previsti dal PNRR imponevano, ma anche sostanziale; esse hanno tutte un elemento che le accomuna: l’adeguata protezione del soggetto minorenne in situazioni a vario titolo per lui pregiudizievoli, al di fuori di un conflitto, attuale ed effettivo, fra i genitori, declinabile nei diversi procedimenti sulla crisi della coppia coniugata o sull’affidamento dei figli non matrimoniali. Muovendo da tale presupposto, ci siamo confrontati sulle criticità dell’art. 403 c.c., nel testo originario, che legittima l’intervento della pubblica autorità per attuare, in difetto di un preventivo ordine di giustizia, l’allontanamento del minore dalla sua famiglia, ma anche sui procedimenti de potestate con la ripartizione della competenza tra tribunale ordinario e tribunale minorile (in attesa dalla costituzione di un unico giudice di primo grado con competenza diffusa nelle differenti problematiche afferenti la genitorialità). L’occasione ha permesso di riflettere sul­l’affidamento eterofamiliare e sulle frequenti discrasie tra le finalità della disciplina normativa e le sue applicazioni pratiche. Il passo successivo, per ripensare ad una riforma dell’adozione dei minorenni, è stato poi breve. Il lavoro à stato condotto e condiviso in perfetta sintonia con le Colleghe che si sono volute addentrare con il sottoscritto in questa stimolante esperienza e che ricordo, in rigoroso ordine alfabetico, per non creare discriminazioni: Remigia D’Agata, Grazia Giaratana, Anna Pacciarini, Paola Panini, Lorenza Razzi, Marta Rovacchi.


2. L’intervento della pubblica autorità ex art. 403 c.c.

2.1. Ratio della normativa Il testo originario dell’attuale codice civile (fino alla l. n. 206/2021, cui sui ci tornerà infra), disciplinando, all’art. 403 c.c., l’intervento della pubblica autorità a favore dell’infanzia abbandonata, era funzionale alla tutela della sanità fisica e morale della “stirpe”, realizzata con l’allonta­namento del minore da un contesto abitativo inadeguato ed un conseguente collocamento in luogo sicuro. La norma trovava la medesima formulazione dell’art. 21 del Testo unico sulla protezione e l’assistenza alla maternità e all’infanzia, approvato con r.d. 24 dicembre 1934, n. 2316, che, nel contesto politico dell’epoca, era finalizzato principalmente alla protezione dei fanciulli abbandonati, degli orfani a causa della guerra o di calamità naturali [1]. Pur modificatosi il contesto politico e sociale, l’urgenza sottesa alle peculiari situazioni normativamente configurate avrebbe dovuto attribuire alla disposizione in esame un carattere meramente residuale, nelle fattispecie in cui non fosse possibile un tempestivo preliminare provvedimento del giudice, in base alle previsioni di cui agli artt. 330 e 330 c.c., 4° e 10° comma, l. n. 184/1983. L’eccezionalità della norma aveva fatto sì che nessuna regola di carattere processuale disciplinasse modalità e termini dell’allontanamento del minore, né prevedesse le conseguenze successive a detto allontanamento. Nella pratica era comunque invalsa la prassi per cui, dopo l’intervento della pubblica autorità, gli atti fossero trasmessi alla Procura presso il Tribunale minorile (unico soggetto istituzionalmente deputato), per i conseguenziali provvedimenti (richiesta di misure ablative o limitative della responsabilità, già potestà, genitoriale, ovvero apertura di un procedimento di affidamento eterofamiliare, piuttosto che di declaratoria dello stato di abbandono) [2]. Mancava peraltro qualsiasi disciplina di coordinamento (anche solo quanto alla tempistica) tra attività amministrativa e giurisdizionale. Di fatto, quello che, nelle intenzioni del legislatore, doveva essere un intervento marginale, siccome eccezionale, è più di una volta degenerato, dando luogo, in questi ultimi anni, a situazioni drammatiche, talune ancora al vaglio dell’Autorità [continua ..]


2.2. La novella dell’art. 403 c.c.

Il nuovo testo dell’art. 403 c.c., al pari del precedente, individua nella «pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia», il soggetto legittimato a disporre l’allontana­mento del minore della famiglia. Essa coincide con l’autorità di pubblica sicurezza, ovvero con i servizi sociali locali (ossia lo stesso organo competente per l’affidamento familiare in caso di assenso della coppia genitoriale). Sono invece mutati i presupposti dell’allontanamento, inizialmente individuati in un abbandono materiale e morale del minore (situazione che, se non dipendente da causa di forza maggiore, può dar luogo alla declaratoria di stato di adottabilità, prodromico ad una futura adozione), nell’abitare in locali insalubri o pericolosi, o da persone incapaci di provvedere all’educazione del minore stesso «per negligenza, immoralità, ignoranza o altri motivi». Se l’abbandono morale e materiale continua a permanere come situazione giuridicamente strutturata, si fa invece oggi più opportunamente riferimento al pregiudizio o al pericolo per l’integrità psicofisica del minore dal vivere in un dato contesto ambientale. Non è più una condizione soggettiva, ritenuto negativa dei genitori, che può legittimare l’allontana­mento del minore, né la tipologia del luogo di abitazione, ma il pregiudizio che il minore potrebbe risentire (magari anche in una famiglia acculturata e benestante, priva peraltro di risorse accuditive adeguate o nella quale il minore è vittima di violenza, anche solo assistita). Opportunamente la norma prevede oggi espressamente la necessità di un intervento urgente, che la disciplina pregressa assumeva solo come presupposto implicito. L’elemento più significativo della nuova disciplina, che rispecchia comunque i desiderata della nostra Associazione, è rappresentato dalla giurisdizionalizzazione dell’istituto dell’allontanamento del minore; è infatti: i) imposto un tempestivo controllo del giudice sull’operato dell’autorità amministrativa, con tanto di garanzie del diritto di difesa e del contraddittorio: ii) prevista espressamente la perentorietà dei termini contemplati nel nuovo art. 403 c.c.; iii) stabilito che il provvedimento di allontanamento, emesso dalla pubblica autorità, [continua ..]


2.3. Criticità operative

Come la dottrina non ha mancato di rilevare, un ulteriore aspetto da esaminare riguarda il momento nel quale adottare un provvedimento di allontanamento ai sensi dell’art. 403 c.c. [3]. Le poche pronunce sul punto in passato hanno sempre sottolineato come un intervento del genere sia ammissibile sono in fase pre-procedimentale e precontenziosa [4], trattandosi altrimenti di un provvedimento amministrativo assunto al di fuori del suo schema legale tipico. Per quanto tale lettura sia ragionevole, la prassi è andata sovente di diverso avviso; si è assistito talvolta ad allontanamenti avvenuti anche nella pendenza di un procedimento (davanti al tribunale ordinario ovvero minorile). Si è osservato che negare la possibilità di procedere ex art. 403 c.c. in casi del genere equivarrebbe a lasciare sfornito di effettiva tutela un minorenne esposto a grave pregiudizio o pericolo per la sua incolumità, giustificandone così l’ammissi­bilità. In oggi, quelle conclusioni ben difficilmente possono confermarsi, avendo il legislatore inteso limitare il campo operativo dell’autorità amministrativa in situazioni così delicate, per sussumerle nell’ambito della giurisdizione e, dunque, delle garanzie processuali offerte a tutte le parti coinvolte.


3. I procedimenti de potestate

Come è noto, gli artt. 330 e 333 c.c. disciplinano forme di intervento giudiziale sulla genitorialità, più o meno invasive, a seconda della condotta, più o meno grave dei genitori. Si distingue così tra provvedimenti ablativi, ovvero limitativi della responsabilità. Ci si è chiesti inizialmente se una formulazione tanto ampia quale quella dell’art. 333 c.c., che legittima il giudice ad assumere “i provvedimenti convenienti”, in situazioni di minor gravità per il figlio non dovesse richiedere una maggiore specificazione (e, dunque, una tipizzazione) onde evitare un’eccessiva discrezionalità del giudice. Si è peraltro ritenuto che la complessità delle situazioni, che si possono presentare nella realtà quotidiana, suggerisca di evitare una “perimetrazione”, che potrebbe lasciare prive di tutela determinate fattispecie. Le sempre più sentite esigenze di tutela del minore e di contestuale omogeneità di trattamento sono state del resto recepite dal legislatore con la novella degli artt. 78 e 80 c.p.c., che ha esteso l’operatività della nomina del curatore speciale, rendendola necessaria quando il procedimento de potestate sia instaurato contro entrambi i genitori, ovvero nei confronti di uno su istanza del­l’altro (stante l’indubbio conflitto di interessi), ovvero facoltativa, quando il procedimento riguardi solo uno dei genitori. L’attribuzione al minore del ruolo di “parte” processuale (e non solo sostanziale), con una connessa difesa tecnica fa presumere che i suoi diritti siano adeguatamente tutelati, anche a fronte di eventuali accessi di discrezionalità del giudice. La stessa riforma, operativa già dal 22 giugno 2022, dell’art. 38 disp. c.c., con l’eliminazione del criterio della prevenzione temporale, quale strumento per la ripartizione delle competenze tra giudice ordinario e minorile, ad intervenire ex art. 330 ss. fa ritenere una maggior uniformità di decisione da parte del T.O. Del resto, tra i criteri guida della riforma, la l. n. 206/2021 contempla anche un intervento sull’art. 336 c.c., legittimando alla proposizione di un ricorso de potestate anche l’eventuale curatore speciale del minore, se già designato.


4. Affidamento e adozione

Il gruppo di lavoro ha evidenziato come, accanto alle imprescindibili riforme processuali ed ordinamentali, sia necessario un adeguamento degli istituti a tutela dei minori, ed in particolare dell’affidamento eterofamiliare e dell’adozione, per adeguarli ai diversificati modelli di famiglia, che la società conosce. Certamente l’affidamento eterofamiliare ha beneficiato di una nuova linfa con la l. n. 173/2015, in nome del diritto alla continuità delle relazioni affettive dei bambini. Occorre peraltro riflettere sugli inserimenti troppo lunghi di minori presso strutture di accoglienza, senza che gli stessi possano trovare una nuova sistemazione in una famiglia di affetti, per non versare in stato di abbandono, stante la presenza di genitori o parenti che, se pur non in modo assiduo, se ne fanno carico. Importante sarebbe nel contempo una riforma dell’adozione di minori che, tenendo conto della nuova realtà sociale, superasse l’aforisma romanistico, che vuole l’adozione come imitatio naturae, accessibile pertanto solo in favore di coppie eterosessuali, con un adeguato periodo di pregressa convivenza matrimoniale (o more uxorio, purché sfociata nelle nozze). Mentre si discute della possibilità che pure l’Italia, al pari di numerosi Paesi europei ed extraeuropei, introduca il matrimonio ugualitario, la l. n. 76/2016, al 20° comma dell’unico articolo impedisce alle persone dello stesso sesso, pure se unite da un legame di unione civile, di accedere all’adozione di minore. Eppure è la stessa Convenzione di Strasburgo del 1996 che legittima l’estensione dell’adozione anche alle persone singole (e, a fortiori, alle coppie same sex). È certamente vero che in oggi la giurisprudenza italiana ammette la costituzione di un rapporto paragenitoriale con il c.d. “terzo genitore”, in forza dell’art. 44, lett. d), l. n. 184/1983, riconoscendo così la rilevanza giuridica a rapporti, costituiti di fatto tra il genitore e chi ha condiviso con lui (o lei) la gravidanza e la maternità. Si tratta peraltro di una tutela minima, in quanto, da un lato, l’adozione in casi particolari presuppone il consenso del genitore biologico, dall’altro non garantisce al minore un rapporto giuridico, equivalente a quello con il genitore biologico, tanto da indurre la Corte costituzionale ad un recente forte motivo al legislatore [continua ..]


NOTE