L’Autore esamina la normativa civilistica in tema di Curatore speciale e la sua applicazione nell’ambito dei procedimenti della crisi familiare e di quelli de potestate. Dopo un richiamo alla normativa sull’ascolto del minore, analizza quindi le innovazioni portate dalla legge di riforma n. 206/2021 confrontandole con la disciplina previgente.
The Author examines civil law in the matter of the special Guardian and the application thereof in the matter of family-crisis and de potestate proceedings. After referring to the regulations on the hearing of the child in court, the author analyses the innovations introduced by the reform law no. 206/2021, comparing them with the regulations previously in force.
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1. La disciplina dell’art. 78 c.p.c. - 2. Fattispecie particolari - 3. I procedimenti della crisi familiare - 4. … e quelli de potestate - 5. L’ascolto del minore - 6. Le innovazioni della l. n. 206/2021 - NOTE
Con la locuzione “Curatore speciale”, si intende fare riferimento ad un soggetto, che cura gli interessi di un altro, il quale, per motivi contingenti, ovvero in relazione ad una specifica situazione, non è in grado di provvedervi direttamente, neppure per il tramite di colui che ordinariamente vi attende. Si giustifica in questo modo la “specialità” di quel Curatore [1]. Come noto, la figura del Curatore speciale trova la propria disciplina in ambito processuale. Con previsione di portata generale, l’art. 78 c.p.c. dispone che, se manca la persona cui spetta la rappresentanza o l’assistenza, e vi sono ragioni di urgenza, può essere nominato all’incapace un Curatore speciale con il compito di rappresentarlo o assisterlo finché non subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l’assistenza. Si procede altresì alla nomina di un Curatore speciale al rappresentato, quando vi è conflitto di interessi con il rappresentante. La norma, dunque, non riguarda specificamente il minore, il quale rientra nella più vasta categoria dell’“incapace”, coerentemente con il sistema originario del codice di rito, che ricollegava la capacità processuale a quella d’agire. La dottrina ha osservato che la figura del Curatore speciale, di cui alla norma in esame, non ha natura unitaria, in quanto l’unica prerogativa comune a tutte le forme di curatela speciale è quella di contrapporsi alla curatela ordinaria, disciplinata nelle norme del codice civile [2]. Il conflitto di interessi, secondo la giurisprudenza, presuppone una relazione di incompatibilità di interessi, non integrando detta nozione la mera presenza di interessi fra di loro concorrenti, o comunque non incompatibili; sussiste dunque conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato quando i rispettivi interessi siano antitetici [3]. Il decreto di nomina del Curatore speciale è finalizzato alla migliore tutela della posizione del soggetto rappresentato, al fine di porre rimedio ad una situazione di reale incapacità processuale del soggetto, come regolata dagli artt. 75 c.p.c. ss., che non può dispiegarsi, in ragione della menzionata situazione di difetto del rappresentante o di conflitto di interessi, nel senso precisato, in capo a questi. In questi ultimi anni, peraltro, la valorizzazione dei diritti del minore ha condotto [continua ..]
Oltre alla previsione generale dell’art. 78 c.p.c., l’ordinamento contempla specifiche ipotesi in cui si fa luogo alla nomina del Curatore speciale in favore del soggetto minorenne, nella presunzione juris et de jure di un conflitto di interessi con coloro che ne hanno la rappresentanza (genitori o tutore). Basti pensare in primo luogo alle azioni di stato [4], anche se paiono opportune alcune precisazioni, a seconda della posizione processuale del minore. L’esercizio di un’azione “demolitiva” dello status (disconoscimento della paternità, impugnazione del riconoscimento) se proposta avverso un minore, come tale convenuto in giudizio, deve essere esercitata nei confronti di un Curatore speciale, ex art. 247, 2° comma, c.c. (espressione di un principio generale estensibile anche all’azione ex art. 263 c.c.); nulla è previsto per l’azione di contestazione dello stato, posto che, nel novellato art. 248 c.c., essa è proponibile solo dal figlio. Il minore può essere peraltro attore, senza dover necessariamente attendere il raggiungimento della maggiore età. In questo caso l’azione verrà esercitata da un Curatore speciale, nominato dal tribunale, su istanza del minore stesso se ultraquattordicenne, ovvero dal pubblico ministero, in caso di età inferiore (così gli artt. 244, 6° comma c.c., 263, 3° comma c.c. e 248 ult. comma, c.c.). Merita di essere evidenziato come oggi lo status sia divenuto disponibile per il figlio, tanto che già all’età di quattordici anni (e, quindi, in un momento ancora lontano dalla maggiore età), un minore può chiedere al tribunale la nomina di un Curatore speciale perché lo svincoli da un legame genitoriale che assume non veritiero (fatta salva, ovviamente, ogni miglior determinazione del giudice, quanto al fumus della richiesta del minore e al suo interesse, già in sede di delibazione sulla nomina di un Curatore speciale). Per quanto riguarda, invece, le azioni costitutive dello status (dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, reclamo dello stato), se esperite nell’interesse di un minore, sono proposte da chi ne ha la rappresentanza legale (genitore o tutore); in caso di mancanza di questi soggetti o di conflitto di interessi, si dovrà far luogo alla nomina di un Curatore speciale ai sensi del già richiamato [continua ..]
Ritornando allo specifico argomento della tutela processuale della posizione del minore, preme rammentare come già diversi anni or sono fosse stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma della legge di divorzio, nella parte in cui non prevede la nomina di un Curatore speciale che rappresenti nel giudizio di divorzio il figlio minore delle parti, in ordine alla pronuncia sull’affidamento e su ogni altro problema di rilievo che lo riguardi [6]. La Consulta ebbe a suo tempo a respingere la questione, nel presupposto che adeguata tutela potesse essere approntata dal pubblico ministero, interventore necessario in quei procedimenti; nel contempo si era evidenziato come il legislatore non avesse ravvisato, nella specie, l’opportunità d’istituzionalizzare un conflitto tra genitori e figli, cosa che si sarebbe verificata con l’attribuzione della qualità di parte ai figli minori [7]. Col tempo si è affinata la sensibilità verso i diritti della persona di età minore e la relativa tutela processuale. La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa il 25 gennaio 1996 e ratificata dall’Italia con la l. n. 77/2003, si riferisce ai procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale che coinvolgono i minori. In particolare, allorché sussista un conflitto di interessi tra il minorenne ed i suoi genitori, o comunque tra il minorenne e chi esercita la responsabilità genitoriale sullo stesso, si prevede, agli art. 5 lett. b) e 9, che il giudice possa nominargli un rappresentante, il quale, se del caso, potrà anche essere un avvocato. Peraltro, già l’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (ratificata dall’Italia con l. n. 176/1991) aveva previsto il diritto del minore ad essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo riguarda, o personalmente o tramite un rappresentante o un organo appropriato. È stata così riproposta la questione di costituzionalità in ordine alla mancata presenza processuale del minore, vieppiù nell’ambito di un procedimento del tutto destrutturato come quello di volontaria giurisdizione [8]. La Consulta, con una decisione ben nota [9], aveva a respingere ulteriormente la questione, [continua ..]
In questi ultimi tempi, numerosi sono stati gli interventi della Corte di Cassazione, nell’ambito di procedimenti de potestate, ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, che hanno dichiarato la nullità del procedimento, per mancata nomina di un Curatore speciale al minore. Ciò nel presupposto di un intrinseco confitto di interessi tra il minore ed il genitore, ancorché il ricorso ex artt. 330 o 333 c.c. venga proposto nei confronti di uno solo di questi ultimi. La peculiarità della situazione osta a che vi possa essere una perdurante rappresentanza in capo agli stessi, ovvero a quello non coinvolto direttamente dalla domanda [10]. Del resto, nella direzione di considerare il minore una vera e propria parte del giudizio – in quanto titolare di diritti personalissimi di rilievo costituzionale – come tale avente, al pari dei genitori, diritto ad una difesa tecnica, si pone la disciplina di cui all’art. 336 c.c., 4° comma, che costituisce un’innovazione introdotta dal legislatore proprio al fine di valorizzare la natura di parte, oltre che in senso sostanziale, anche in senso formale, che il minore assume in quei procedimenti che abbiano come specifico oggetto la decadenza o limitazioni della responsabilità genitoriale, ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. L’art. 336 c.c. infatti, per quanto qui rileva, dispone che «Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori ed il minore sono assistiti da un difensore», laddove uno dei commi richiamati, e segnatamente il primo, fa espressamente riferimento ai «provvedimenti indicati negli articoli precedenti», ossia ai provvedimenti in materia di decadenza o di limitazioni della responsabilità genitoriale, disciplinati dagli artt. 330-335 c.c. La portata ed il significato della norma risultano, allora, di chiara evidenza, ove si consideri che tanto la perdita, quanto le limitazioni significative della responsabilità genitoriale pongono il minore in una situazione nella quale, in maniera più o meno incisiva, vengono a mancargli proprio quelle figure di riferimento, istituzionalmente deputate a garantirgli il soddisfacimento del diritto «ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni», ai sensi del combinato disposto degli artt. 315 bis e 316 [continua ..]
L’ascolto del minore, imposto, come noto, dalla normativa interna, al pari di quella convenzionale ed eurounitaria, costituisce uno strumento attraverso il quale il minore fa sentire la propria voce all’interno di ogni procedimento che lo riguardi. L’ascolto non è alternativo alla nomina del Curatore speciale, ma con esso può coesistere, come ben ha precisato il novellato art. 80 c.p.c., delineando l’ambito dei poteri del Curatore (su cui infra). L’ascolto infatti prescinde da una situazione di mancanza temporanea del legale rappresentante, ovvero di conflitto di interessi, configurandosi come una fonte di informazioni per il giudice, senza che possa qualificarsi come mezzo istruttorio. Il Curatore speciale svolge invece la diversa funzione di garantire la rappresentanza processuale del minore; quest’ultimo ben potrà essere ascoltato dal giudice, anche rivestendo il ruolo di “parte”, senza che l’incombente possa essere assimilato all’interrogatorio, anche libero. Scopo dell’ascolto non è certo quello di avvalorare, ovvero confutare le contrapposte domande giudiziali dei genitori. Ha all’uopo affermato la Suprema Corte che, mentre nei procedimenti de potestate la nomina del Curatore speciale si impone a pena di nullità, come si è visto, negli altri giudizi che riguardano i minori, la loro tutela si realizza mediante l’ascolto, senza necessità di nomina di un Curatore speciale e/o di un difensore; costituisce violazione del principio del contraddittorio e dei diritti del minore il suo mancato ascolto, quando non sia sorretto da un’espressa motivazione sull’assenza di discernimento, tale da giustificarne l’omissione, a meno che la nomina di un Curatore speciale e/o di un difensore non sia espressamente prevista dalla legge [11].
Il legislatore, come già anticipato e più ampiamente verrà sviluppato nei contributi di questo Fascicolo, ha anche ritenuto di introdurre norme precettive, immediatamente operative nei procedimenti instaurandi con il 22 giugno prossimo, che ufficializzano la nomina e la funzione del Curatore speciale del minore. Basti pensare in primis al novellato art. 403 c.c., che riconduce nell’ambito della giurisdizione l’intervento con cui la pubblica amministrazione, a mezzo degli organi a ciò preposti, attua l’allontanamento di un minore da un contesto familiare a lui nocivo. Si prevede infatti la necessità di un procedimento di convalida del provvedimento, su tempestiva richiesta del pubblico ministero, con la presenza di un Curatore speciale del minore. Nello stesso tempo, il già esaminato art. 78 c.p.c. viene arricchito di ulteriori due commi, in base al quale “il giudice provvede alla nomina del Curatore speciale del minore, anche d’ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento” in una serie specifica di ipotesi. La formulazione della norma, e la peculiarità della casistica, lasciano fondatamente presupporre che la nomina non rappresenti una mera facoltà, ma un vero e proprio obbligo del giudice, tanto da prevedersi la nullità non solo della pronuncia resa all’esito del giudizio, ma dell’intero procedimento. Si fa riferimento: a) ai casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell’altro (ossia proprio a quelle fattispecie nelle quali già la Corte di cassazione aveva affermato la necessità del Curatore); b) all’adozione di provvedimenti ai sensi dell’articolo 403 c.c. (già oggetto di esplicita delega, come si è visto), ovvero di affidamento del minore ex artt. 2 ss. l. n. 184/1983; c) ai casi in cui, dai fatti emersi nel procedimento, venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore, tale da precluderne l’adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori: si tratta a ben vedere di un’esplicitazione della più generale situazione contemplata nel 1° comma dell’art. 78 c.p.c.: d) quando ne faccia richiesta il minore, che abbia compiuto quattordici anni. L’ultimo comma del nuovo art. 78 [continua ..]