Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Il reclamo avverso i provvedimenti del giudice tutelare (di Maria Teresa Pagano, Avvocata in Roma, Presidente Aiaf Lazio)


L’autrice analizza il tema del reclamo avverso i provvedimenti del giudice tutelare e come questo si configuri come un mezzo di gravame con effetto devolutivo, che per sua natura consente al giudice dell’impugnazione un complessivo riesame, sia di legittimità che di merito del provvedimento impugnato, ma evidenzia in conclusione la interpretazione restrittiva dell’art. 720 bis c.p.c. data dalla Cassazione sulla impugnazione dei provvedimenti della Corte d’Appello in sede di legittimità.

The author analyzes the theme of the complaint against the measures of the supervising judge and how it is a means of burden with devolutionary effect, which by its own nature allows the judge of the appeal an overall review of the appealed measure in terms of constitutionality and on merit, but concludes by stressing the restrictive interpretation of art. 720 bis of the Italian Code of Civil Procedure, provided by the Italian Supreme Court of Cassation (Corte di Cassazione) on appealing the measures of the Court of Appeal on constitutional grounds.

SOMMARIO:

1. Profili generali. Giudice competente - 2. Oggetto e contenuto del reclamo - 3. Legittimazione attiva e passiva - 4. Termine per la proposizione del reclamo - 5. Provvedimenti non reclamabili. Ricorribilità in Cassazione - NOTE


1. Profili generali. Giudice competente

L’art. 739 c.p.c. detta le regole per quella particolare forma di revisio prioris istantiae costituita dal reclamo contro i provvedimenti resi dal giudice tutelare in Camera di Consiglio che, per la dottrina prevalente costituisce un vero e proprio mezzo di gravame (Fazzalari, 1970, p. 346). Ai sensi del 1° comma dell’art. 729 c.p.c. la competenza spetta al tribunale contro i decreti del giudice tutelare e alla Corte d’Appello contro i decreti pronunciati dal tribunale in Camera di Consiglio. Al riguardo deve rilevarsi che, successivamente all’abolizione delle preture, disposta dall’art. 1 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 relativo all’istituzione del giudice unico di primo grado, la Cassazione ha costantemente affermato che spetta alla Corte d’Appello la competenza a decidere il reclamo proposto avverso i decreti pronunciati dal tribunale, anche se in composizione monocratica, in materia diversa da quella riservata al giudice tutelare [1]. È invece competente il tribunale collegiale sulla decisione dei reclami avverso i provvedimenti del giudice tutelare [2]. A mente dell’art. 45, r.d. 30 marzo 1942, n. 318 la competenza a decidere i reclami avverso i decreti del giudice tutelare spetta al Tribunale ordinario quando si tratta nei provvedimenti indicati negli artt. 320, 321, 372, 373, 374, 376, 2° comma, 386, 386 394 e 395 del codice. La competenza spetta al tribunale per i minorenni in tutti gli altri casi. Prima di esaminare nel dettaglio una serie di profili problematici dell’art. 739 c.p.c. deve chiarirsi che la giurisprudenza della Cassazione esclude che possa farsi ricorso alla normativa de qua contro: i)   il decreto emesso ai sensi dell’art. 317 bis c.p.c. con il quale il figlio, riconosciuto da entrambi i genitori, sia affidato in via esclusiva ad uno di essi: il provvedimento ha forma di decreto ma natura sostanziale di sentenza presentando il requisito della decisorietà e quello della definitività con efficacia assimilabile a quella del giudicato [3]; ii)  la sentenza che decida il giudizio di merito relativo alla dichiarazione di paternità o maternità naturale. In questi casi i termini per proporre l’impugnazione non possono essere quelli di dieci giorni previsti dall’art. 739, 2° comma, c.p.c. per i reclami avverso i decreti pronunciati dal [continua ..]


2. Oggetto e contenuto del reclamo

In giurisprudenza si è affermato che il giudizio di secondo grado nascente dal reclamo costituisce un mezzo di impugnazione avente carattere devolutivo e, dunque ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del devolutum e delle censure formulate ed in correlazione alle domande formulate in quella sede. Ne consegue che il reclamo ex art. 739 c.p.c. non può risolversi nella mera riproposizione delle questioni già affrontate e risolte dal primo giudice ma deve contenere specifiche critiche al provvedimento impugnato ed esporre le ragioni per le quali se ne chiede la riforma [4]. Pertanto alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, con un grado di specificità dei motivi che, pur non potendo essere stabilito in via generale ed assoluta, esige che alle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato vengano contrapposte quelle del reclamante volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. La mancanza di specificità dei motivi determina la nullità dell’atto di impugnazione, non sanabile neppure con la costituzione dell’altra parte ed è rilevabile d’ufficio dal giudice per il collegamento con la formazione del giudicato interno e si traduce in inammissibilità del gravame at­teso che il giudizio di secondo grado non può giungere alla sua naturale conclusione [5]. Nei limiti del sindacato di legittimità che il giudice del contenzioso può esercitare in ordine ad un provvedimento di volontaria giurisdizione al fine di disapplicarlo e, quindi di negarne l’effi­cacia, rientra la verifica di un presupposto di legge per l’emanazione del provvedimento, in quanto esso condiziona l’esercizio del potere del giudice nel caso concreto. Rientra in tali limiti anche l’ipotesi in cui il provvedimento sia stato emesso sul falso ed errato presupposto della sussistenza di una situazione di fatto. Secondo la dottrina prevalente tuttavia poiché il reclamo costituisce un’impugnazione speciale «il giudice non è vincolato ai motivi espressi dalla parte ricorrente il provvedimento che su di esse decide sostituisce sempre e comunque quello impugnato». Va altresì segnalato che secondo la Cassazione la norma di cui all’art. 334, 1° [continua ..]


3. Legittimazione attiva e passiva

La Giurisprudenza della Suprema Corte afferma che anche nel procedimento camerale così co­me nel giudizio contenzioso ordinario, la qualità di parte e quindi di soggetto legittimato al reclamo ex art. 739 c.p.c. si determina nei gradi di procedimento successivi al primo, esclusivamente per relationem rispetto alla qualità di parte formalmente assunta in primo grado, mentre coloro che sono indebitamente rimasti estranei al procedimento possono denunciare solo in sede contenziosa ordinaria la nullità del provvedimento camerale emesso inter alios [7]. Di contrario avviso parte della dottrina che afferma che il reclamo può essere proposto anche da chi non abbia partecipato al procedimento di primo grado «ma sempre che il soggetto abbia interesse ad ottenere una nuova pronuncia che sostituisca quella emessa dal giudice di primo grado in quanto incide direttamente sulla sua sfera giuridica» (Micheli 1959). Secondo i principi generali resta fermo che debba ritenersi inibito il reclamo al soggetto la cui domanda abbia fatto scattare il dovere del giudice di prime cure, quando il provvedimento sia sia conforme alla domanda (Fazzalari). Sempre in dottrina (Di Florio) si è affermato che l’impostazione giurisprudenziale cui si è fatto riferimento, ha l’aspetto positivo di conferire stabilità al provvedimento che può essere revocato o modificato “soltanto attraverso la richiesta di chi sia stato coinvolto nel procedimento di primo grado». Non può peraltro negarsi che la natura del procedimento camerale e gli interessi oggetto di tutela spesso travalicano le singole parti in causa e possono avere ricadute su terzi i quali, dunque, devono avere la possibilità di tutelarsi in via diretta e quindi nell’ambito dello stesso procedimento, dal provvedimento che assumono essere lesivo nei loro confronti.


4. Termine per la proposizione del reclamo

Ai sensi del 2°comma dell’art. 739 c.p.c., il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato nei confronti di una sola parte o dalla notificazione, se è dato nei confronti di più parti. In considerazione del tenore lettale di tale norma, il Supremo Collegio ha sempre ritenuto che nei procedimenti in Camera di Consiglio che si svolgono, proprio nei confronti di più parti, la notificazione del provvedimento che abbia definito il relativo procedimento è idonea a far decorrere il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo solo quando sia stata effettuata ad istanza di una delle parti e non se sia stata eseguita a ministero del cancelliere del giudice a quo o su istanza di quell’ausiliare [8]. Deve poi essere segnalato che la notificazione de qua fa decorrere, tanto per il destinatario della notifica quanto per il notificante, il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo solo se sia eseguita nei confronti del procuratore costituito ovvero della parte nel domicilio eletto presso il procuratore costituito secondo i principi elaborati in relazione alla norma generale in materia di decorrenza dei termini per le impugnazioni posta dall’art. 326 nel suo coordinamento con gli artt. 285 e 170 c.p.c. Da tale principio discende che «la notifica del decreto alla parte personalmente nel suo domicilio, essendo inidonea a far decorrere il termine breve per il reclamo, rende per entrambe applicabile il termine di un anno dalla pubblicazione del provvedimento stabilito dall’art. 327 CC» [9]. La semplice conoscenza di un provvedimento di volontaria giurisdizione non costituisce equipollente della comunicazione o notificazione tassativamente prescritta dall’art. 739 c.p.c. per la decorrenza del termine perentorio di dieci giorni per proporre reclamo. In ogni caso, poiché il reclamo contro i provvedimenti pronunciati in Camera di Consiglio ha carattere di impugnazione, a tale rimedio è applicabile la regola dell’acquiescenza per la quale l’accettazione espressa o desumibile da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse


5. Provvedimenti non reclamabili. Ricorribilità in Cassazione

Salvo che la legge non disponga altrimenti non è ammesso reclamo contro i decreti del tribunale e della Corte d’Appello pronunciati in sede di reclamo. In tema di provvedimenti di volontaria giurisdizione del giudice tutelare, sempre revocabili o modificabili a norma dell’art. 742 c.p.c. non è ipotizzabile una richiesta di riesame avanzata, anziché al giudice tutelare, al giudice investito della competenza ad esaminare il reclamo il quale abbia già consumato tale potere respingendo il reclamo in precedenza proposto dal richiedente avverso il predetto procedimento del giudice monocratico [10]. La possibilità, data anche a chi non sia stato parte del procedimento di volontaria giurisdizione, di impugnare il provvedimento emesso in tale sede, con azione in sede contenziosa, per ragioni di legittimità importa che giurisdizione volontaria e giurisdizione contenziosa non costituiscono due territori rigidamente separati e che, quando si impugna in sede contenziosa un decreto camerale, non si profila necessariamente un problema di giurisdizione ma si pone l’esigenza di procedere all’individuazione delle cause di impugnazione ammesse e dei poteri di sindacato del giudice adito [11]. Per quanto riguarda l’esperibilità del ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost., vi è un’ampia casistica giurisprudenziale legata all’ampio campo di applicazione del rito camerale. In linea generale può affermarsi che secondo il giudice di legittimità l il ricorso per Cassazione può ammettersi nei confronti dei provvedimenti, emessi in secondo grado, che presentino i caratteri della decisorietà, intesa come risoluzione di una controversia su diritti soggettivi o status e della definitività intesa come mancanza di rimedi diversi e nell’attitudine del provvedimento a pregiudicare, con l’efficacia propria del giudicato quei diritti e quegli status. Le due condizioni devono coesistere, in quanto la decisorietà è irrilevante se il provvedimento è sempre modificabile e revocabile tanto per una nuova e diversa valutazione delle circostanze precedenti, quanto per il sopravvenire di nuove circostanze nonché per motivi di legittimità: in questi casi infatti, il provvedimento non contiene una statuizione definitiva ed un pregiudizio irreparabile ai diritti che vi [continua ..]


NOTE