Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Indissolubilità del matrimonio e laicità dello Stato (di Caterina Mirto (Avvocato in Palermo))


SOMMARIO:

1. Il matrimonio sacramento - 2. Critica alla indissolubilità e primi germi di riforma - 3. Introduzione del divorzio e coeva riaffermazione della sacramentalità del matrimonio - 4. Matrimonio civile e strenua difesa della sacramentalità del vincolo - 5. Il matrimonio civile ed i riferimenti codicistici - 6. Crisi dell’indissolubilità ed ipotesi di scioglimento del vincolo per cause diverse dalla morte - 7. Nascita di uno Stato moderno e laico - 8. Conclusioni - NOTE


1. Il matrimonio sacramento

Contro le riforme eretiche protestanti che con Lutero e Calvino avevano negato la sacramentalità del matrimonio e, conseguentemente, ne avevano sconfessato le “proprietà essenziali” dell’indissolubilità ed unità, il Concilio di Trento [1], affrontò il tema del matrimonio e, riprendendo le fonti cristiane, patristiche e medioevali, si preoccupò di chiarirne la natura e di evitare la clandestinità del vincolo al fine di individuare il momento della somministrazione del sacramento. Già in precedenza si era affermata la sacramentalità del vincolo matrimoniale [2] definendone altresì gli elementi essenziali [3], ma al Concilio di Trento va riconosciuta la solennità della proclamazione del dogma ergendosi a difensore e custode dell’integrità cristiana circa la sacramentalità del matrimonio affermando trattarsi di vincolo indissolubile e monogamico. Attraverso il decreto: De sacramento matrimonii [4] (dottrina e canoni sul sacramento del matrimonio) riportandosi a Gen. 2, 23 ss.; Mt. 19,5; Ef. 5,31 [5] il Concilio affermava, quindi, la divinità del matrimonio; con il decreto “Canones super reformartione circa matrimonium”, i Padri Conciliari stabilivano, invece, la forma canonica ad validitatem del matrimonio al fine di risolvere le problematiche pastorali dei matrimoni clandestini. Nel c.d. decreto Tametsi [6] si stabiliva la forma canonica per la validità del matrimonio tra battezzati da celebrarsi davanti al parroco ed a due o tre testimoni, pena la nullità del contratto matrimoniale. Da tale ultima affermazione circa la inscindibilità tra contratto e sacramento derivava quindi la competenza esclusiva della Chiesa a conoscere ogni problematica relativa al vincolo.


2. Critica alla indissolubilità e primi germi di riforma

Nei secoli successivi essendo l’Italia divisa in numerosi Stati con dominazioni ed influenze diverse, l’istituto matrimoniale venne legislativamente trattato in maniera non uniforme; tutti i paesi cattolici, però, continuavano a trovare il loro punto di riferimento nelle regole dettate dal Concilio di Trento e ritenevano l’introduzione del matrimonio, come atto esclusivamente civile, una ipotesi auspicabile ed un necessario passaggio verso la rivendicazione della competenza giuridica statuale sull’intero istituto. L’indissolubilità del vincolo era un principio non opinabile per i cattolici; la giurisdizione dei tribunali ecclesiastici era l’unica riconosciuta per accusare l’eventuale invalidità del vincolo. La fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo fu, però, caratterizzata da fermenti ideologici che, soprattutto in Francia, inneggiavano alla libertà, uguaglianza e laicità, cominciando, dunque, a farsi strada l’idea della secolarizzazione del matrimonio. Oltralpe, si contestava il predominio della Chiesa, si sottolineava la natura contrattuale del vincolo e pertanto se ne confutava la indissolubilità. Ma i fermenti rivoluzionari dovevano comunque continuare a tenere conto di un tessuto sociale ancora non pronto a riforme così profondamente innovative pertanto, quando in Francia si arrivò alla emanazione del Code Civil Napoleonico (entrato in vigore nel 1804) gli articoli che ne costituivano il contenuto furono il frutto di una forte mediazione.


3. Introduzione del divorzio e coeva riaffermazione della sacramentalità del matrimonio

I territori italiani conquistati [7] beneficiarono della introduzione della normativa sul divorzio [8] anche se, la sua applicazione, era prevista per casi limitati e quello, per mutuo consenso, era sottoposto ad una serie di presupposti legittimanti, talmente farraginosi, da renderlo poco attuabile. Alla caduta del regime napoleonico si sopì anche la ventata di laicizzazione del matrimonio ed il diritto canonico e le regole del Concilio di Trento tornarono ad essere la normativa di riferimento per l’istituto matrimoniale. Ogni Stato aveva le sue regole ma tutti seguivano un principio ispiratore, riconoscendo alla Chiesa giurisdizione piena su tutto quello che riguardava l’istituto matrimoniale. Anche le normative statuali, pertanto, continuavano ad essere ispirate a tale principio. Il Codice Albertino del 1837, recependo la teoria sacramento-contratto, faceva discendere gli effetti civili del matrimonio dalla celebrazione del matrimonio religioso [9], mentre il Codice del Regno delle due Sicilie del 1819 aveva già attribuito effetti civili al matrimonio canonico laddove i nubendi avessero effettuato, prima e dopo, una serie di formalità civili. In entrambi i codici l’idea del matrimonio civile veniva del tutto abbandonata ed il divorzio lasciava il passo alla separazione, unico rimedio alla impossibilità di proseguire la convivenza.


4. Matrimonio civile e strenua difesa della sacramentalità del vincolo

Le idee risorgimentali, il fermento politico tendente ad affrancare lo Stato dal potere della Chiesa, riaprirono il dibattito circa l’opportunità di introdurre il matrimonio civile e la possibilità del venir meno del vincolo per cause diverse dalla morte. Erano gli anni in cui (1848 e seguenti) si votava il riordinamento scolastico marginalizzando il potere ecclesiastico in materia di istruzione pubblica e privata; le leggi Siccardi accentuavano la separazione tra Stato e Chiesa [10] ottenendo la soppressione della immunità ecclesiastica e venivano soppressi gli ordini religiosi non dediti all’assistenza ed all’istruzione. Erano gli anni delle campagne giornalistiche pro e contro il potere temporale del Papa e l’anti­clericalismo si mostrava in tutte le forme possibili anche attraverso l’apertura delle botteghe nel giorno della domenica al fine di impegnare i lavoratori ed allontanarli dalla Chiesa. In questo clima, in data 12 giugno 1852, veniva presentato, alla Camera Piemontese, il progetto di legge sul matrimonio e sulla riforma dello stato civile a firma del Ministro Guardasigilli Carlo Boncompagni di Monbello [11]. Il progetto di legge, riaffermando la teoria contrattualistica del vincolo all’art. 1 sosteneva che: «il matrimonio è un contratto, esso quindi prescrive le forme della sua celebrazione; dispone sulle qualità e condizioni di chi lo contrae, sulla sua validità e sugli effetti civili che ne derivano». Il progetto disciplinava, inoltre, la separazione personale e l’annullamento del vincolo ritenendo che lo scioglimento fosse possibile solo per morte di uno dei coniugi. Anche in questa occasione, però, si riaffermava la indissolubilità del vincolo ritenendo che, tale elemento essenziale, servisse ad assicurare quella «benefica influenza che il matrimonio deve esercitare nella nostra condizione sociale». Il progetto fu ritirato dal governo per la forte opposizione della società cattolica che fece sentire la propria voce attraverso uno scambio epistolare tra Pio IX e Vittorio Emanuele II. Pio IX, infatti, dopo avere letto il decreto e la presentazione del Guardasigilli scrisse, il 2 luglio 1852, a Vittorio Emanuele sottolineando che la nuova legge non era “cattolica” ed affermando che «in uno Stato cattolico quale è il Piemonte il Ministro, sembra, si [continua ..]


5. Il matrimonio civile ed i riferimenti codicistici

Negli anni che seguirono, il dibattito politico fu sempre più volto verso l’affermazione della necessaria competenza dello Stato a dare una legge “al cittadino” a prescindere dal credo religioso, ma i tempi per l’introduzione del matrimonio civile come istituto distinto dal matrimonio canonico maturarono soltanto con la emanazione del codice del 1865. Il nuovo codice civile del Regno d’Italia, dopo un annoso ed acceso dibattito, introdusse il matrimonio civile [12], come unica forma di matrimonio riconosciuta dallo Stato, avocando a sé la competenza sull’istituto, ma non intervenendo sul concetto di indissolubilità del matrimonio. Il vincolo continuò ad essere indissolubile per rispetto ai principi cattolici che permeavano la società e di conseguenza, l’ordinamento civile non riconosceva ancora alcuna forma di scioglimento del matrimonio diverso dalla morte di uno dei coniugi. L’idea della introduzione del divorzio era considerata «del tutto ripugnante ai nostri costumi» così come l’aveva definita chi continuava a sostenere la indissolubilità del vincolo [13]. Il principio della indissolubilità, non era soltanto un elemento essenziale del vincolo per tridentina imposizione, lo era anche per scelta sociale. Ma per di più, l’introduzione del matrimonio civile, come fu ben presto statisticamente provato, non fu ritenuta dalla società un elemento innovativo e portatore di vantaggi negli assetti familiari anzi, fu, in un certo senso, elemento destabilizzante che introdusse non poche conseguenze inaspettate. Il popolo, fortemente intriso del sentimento cattolico, continuò a preferire il matrimonio canonico e non comprendendo, talvolta, l’importanza della doppia celebrazione, diede adito ad una serie di problematiche del tutto imprevedibili come, per esempio, la non legittimità dei figli nati da vincolo esclusivamente sacramentale. Durante i lavori di preparazione per la stesura del codice i sostenitori della dissolubilità del vincolo furono minoritari e comunque immediatamente contestati da chi, la maggior parte, continuava a sostenere la necessità umana di avere stabili e durature relazioni.


6. Crisi dell’indissolubilità ed ipotesi di scioglimento del vincolo per cause diverse dalla morte

Il XIX secolo vide nascere uno Stato che, man mano che si andava formando, cercava una propria identità anche attraverso la ricerca di una laicità che non doveva necessariamente affermarsi in opposizione alla Chiesa. Si prediligevano, quindi, forzati equilibri pur di non disconoscere il contributo della religione nella formazione dell’uomo ed il mantenimento di una società fondata sul culto della famiglia e protesa verso il rispetto dei diritti umani. Il matrimonio nell’Italia postunitaria continuava ad essere quello consacrato e benedetto dalla Chiesa; la famiglia era “sana” solo ed in quanto nata da una unione canonisticamente riconosciuta. Il pensiero Mazziniano permeava ancora il binomio Famiglia-Patria. «La Famiglia ha in sé un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la durata ... abbiate dunque, o miei fratelli, sì come santa la famiglia. Abbiatela come condizione inseparabile della vita, e respingete ogni assalto che potesse venirle mosso da uomini imbevuti di false e brutali filosofie o da incauti che, irritati nel vederla sovente nido d’egoismo e di spirito di casta, credono come il barbaro, che il rimedio al male stia per sopprimerla. La Famiglia è concetto di Dio, non vostro. La potenza umana non può sopprimerla. Come la Patria, più assai che la Patria, la Famiglia è un elemento di vita» [14]. In una società permeata da siffatti valori cercò di far sentire la sua voce l’on. Salvatore Morelli [15], deputato del Salento, propugnatore della emancipazione della donna e della cremazione dei cadaveri presentando, nel 1878, il primo progetto di legge sul divorzio [16]. Immediatamente si levarono le voci del dissenso che tacciarono come “inutile” la proposta argomentando che nessuno, a qualsiasi livello sociale, sentiva l’esigenza di approvare siffatta nor­mativa. Bastarono, quindi, argomenti così semplici per rigettarla. Due anni dopo il Morelli ripresentò la proposta di legge, inserendo anche l’abolizione del reato di adulterio nell’ottica, dallo stesso favorita, della emancipazione della donna. Contro l’approvazione della legge si levarono tutte le voci del mondo cattolico e lo stesso Papa Leone XIII che, a difesa della famiglie e contro il divorzio, emanò l’Enciclica Arcanum Divinae Sapientiae  [17]ove il Sommo [continua ..]


7. Nascita di uno Stato moderno e laico

Con la sottoscrizione da parte dell’Italia dei Patti Lateranensi [24], l’idea del divorzio venne del tutto abbandonata e sporadiche proposte di legge non trovarono mai terreno favorevole, quasi a volere sottolineare, ancora una volta, il rispetto dei principi della Chiesa ed una sottesa volontà di non suscitare motivi di contrasto tra lo Stato italiano e la Santa Sede. Conseguenza del­l’accordo Concordatario fu la celebrazione di un unico rito che, in presenza di determinate for­malità, spiega immediati effetti sia religiosi che civili. Lo stessa formulazione dell’art. 7 [25] della Costituzione della Repubblica Italiana che, nella sua prima parte afferma il principio della laicità dello Stato, a seguito del compromesso raggiunto dai membri dell’Assemblea Costituente, venne integrato con la previsione della regolamentazione dei rapporti tra Stato e Chiesa, secondo quanto previsto dai Patti Lateranensi. Ancora una volta la Chiesa fece sentire la sua voce imponendosi, con il richiamo al Concordato, nella Carta costituzionale, continuando, poi, anche attraverso il sostegno ad un preciso schieramento politico, a partecipare in maniera attiva alle scelte legislative italiane. L’Italia postbellica si avviò alla ricostruzione del paese anche attraverso l’industrializzazione ed il riconoscimento del lavoro della donna anche fuori dalle mura domestiche. La ricostruzione della nazione avvenne non soltanto attraverso l’inurbamento, ma anche attraverso la necessità di una laicizzazione che si manifestò con i primi movimenti atti ad imprimere una svolta sociale ad un popolo desideroso di affermare alcuni diritti che non necessariamente dovevano trovare l’approvazione della Chiesa. La battaglia politica, sociale, culturale portata avanti negli anni ’60 si concluse con l’approvazio­ne, della legge sul divorzio [26] e con la sconfitta della Chiesa e del gruppo politico di riferimento al successivo referendum del 1974 [27]. In quel momento storico l’approvazione della legge sul divorzio sembrò fare da apripista ad una serie di importanti e successivi interventi legislativi che concorsero a creare la spina dorsale di uno Stato moderno e laico; si pensi alla riforma del diritto di famiglia [28], alla legge sulla interruzione della gravidanza [29] ed alla sua conferma pervenuta dal dato [continua ..]


8. Conclusioni

L’Italia post unitaria, attraverso i vari interventi normativi in materia matrimoniale, ha cercato di affermare la propria sovranità e laicità, cercando, in tutti modi di affrancarsi dall’innegabile influenza che lo Stato-Chiesa, aveva sempre esercitato sul territorio italiano. Anche i lavori preparatori e l’ampio dibattito che precedettero la promulgazione della Carta costituzionale, furono improntati verso una visione laica della materia matrimoniale. Ma il cammino non era ancora concluso. I principi inseriti nella Carta costituzionale risultavano, difficilmente compatibili con la normativa concordataria vigente al momento della emanazione e, pertanto, si rese necessaria una revisione dei Patti Lateranensi per attutire, ancor di più, la riserva di giurisdizione ecclesiastica sulla nullità del matrimonio canonico trascritto. La revisione del Concordato del 1984 [32] certamente contribuì al processo di laicizzazione, in al­cuni campi [33] ma, lasciò insolute alcune importanti questioni, soprattutto in materia matrimoniale. Ancora oggi, a distanza di circa 30 anni, rimane, infatti, aperto il dibattito circa l’effettivo venir meno della giurisdizione esclusiva dei Tribunali Ecclesiastici per i matrimoni canonici trascritti che, i sostenitori della riforma concordataria, avevano garantito. Nei decenni precedenti gli accordi di Palazzo Madama, le sentenze pronunciate dai Tribunali Ecclesistici, relative ai matrimoni canonici trascritti, in virtù del precedente Concordato, e per uniforme orientamento dottrinale e giurisprudenziale, conseguivano, con sostanziale automaticità, gli effetti civili nello Stato italiano, attraverso la procedura di exequatur da parte della Corte d’Appello. Tale automatismo mortificava, ancora una volta lo Stato italiano, ponendolo in una posizione di asservimento nei confronti dello Stato-Chiesa. Coevamente alle più importanti innovazioni legislative che avevano influito in maniera preponderante sul tessuto sociale, iniziò, quindi, a manifestarsi progressivo intervento, anche da parte della giurisprudenza di legittimità, volto ad incidere sulle decisioni dei Tribunali Ecclesiastici e tendente a dare dignità, in maniera significativa, all’intervento dello Stato, anche attraverso un controllo più incisivo. In tale contesto si inserì la sentenza della Corte [continua ..]


NOTE