Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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La funzione perequativa dell'assegno divorzile dopo l'intervento delle sezioni unite (di Arnaldo Morace Pinelli. Ordinario di Diritto privato nell’Università di Roma "Tor Vergata")


La sentenza da Sezioni Unite n. 18287/2018 della Cassazione ha riaffermato il valore della solidarietà post-coniugale, quale conseguenza di un matrimonio eticamente e giuridicamente “forte”, incentrato sulla pari dignità e l’eguaglianza, giuridica e morale, dei coniugi (artt. 2, 3 e 29 Cost.), che impongono di attribuire, al verificarsi della crisi, il giusto rilievo alla vita passata. Il «matrimonio-rapporto» costituisce «fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità …, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari»

The Supreme Court, in its United Sections decision no. 18287/18, reaffirmed the value of post-conjugal solidarity as a consequence of an ethically and legally “sound” marriage centred upon the spouses’equal dignity and their moral and legal equality (artt. 2, 3, and 29 Const.). These elements require – when a crisis occurs – placing the proper emphasis on past life. The «marriage/relationship» is a «source of a plurality of inviolable rights, of binding duties, of responsibilities …, of legitimate expectations and of legitimate commitments of the spouses themselves, and of their chil­dren, both as individuals and in mutual family relationships».

SOMMARIO:

1. La riaffermazione del valore etico e sociale del matrimonio - 2. La funzione perequativa dell'assegno divorzile - 3. I problemi aperti - 4. Il criterio del tenore di vita matrimoniale, giudicato irrilevante in sede di divorzio, ma operante al momento della separazione - NOTE


1. La riaffermazione del valore etico e sociale del matrimonio

Matrimonio e rimedi giuridici finalizzati a disciplinarne la crisi costituiscono le due facce di una medesima medaglia. La concezione del matrimonio, caratteristica di una determinata epoca, condiziona infatti le regole della sua cessazione. La stessa opzione tra divorzio e separazione, quali possibili soluzioni alla crisi della convivenza, nei diversi ordinamenti è storicamente dipesa dalla contemporanea visione del matrimonio. È noto che il diritto romano delle origini, che ravvisava l’essenza dell’istituto nella compresenza di due elementi, la convivenza e l’affectio maritalis, conosceva il divorzio: fintanto che siffatti elementi sussistono, il matrimonio esiste; quan­do uno di essi venga meno, finisce [1]. Le nozze della cristianità, costituendo invece un sacramento indissolubile, non si potevano sciogliere ed il rimedio alla crisi era individuato nella separazione, istituto elaborato dalla dottrina dei Padri della Chiesa, prima che dai giuristi, comprensibile soltanto sul piano storico-teologico [2], giacché, in ossequio ad un dogma religioso (l’indissolubilità delle nozze sacramentali), si pretende la sopravvivenza di un matrimonio ridotto a mera «forma giuridica» [3], svuotato della sua essenza (la vita in comune). Il divorzio è riscoperto nei Paesi protestanti, quale unico rimedio della crisi, contestualmente all’affacciarsi di una nuova concezione del matrimonio, di cui Martin Lutero aveva negato la natura sacramentale, e ritornerà più tardi nella Francia rivoluzionaria e anticlericale della fine del Settecento, che nel matrimonio vedeva soltanto uno dei contratti, nella disponibilità dei privati [4]. L’ammissione (rectius: la tolleranza) della separazione e la negazione del divorzio nel codice Pisanelli e nel codice civile del 1942 dipendono, ancora, da una peculiare concezione del matrimonio, caratterizzato per la sua indissolubilità, sotto l’influenza della concezione pubblicistica del diritto di famiglia all’epoca dominante in Italia, che riteneva la famiglia un organismo etico, alla base dello Stato, il luogo ove si sarebbero formati i futuri cittadini, lavoratori e soldati e, dunque, la ricchezza della Nazione, di cui doveva essere salvaguardata l’unità [5]. Dietro il dibattito sull’assegno divorzile, opportunamente riaperto dal revirement della [continua ..]


2. La funzione perequativa dell'assegno divorzile

Di tale disposizione, le Sezioni Unite offrono, peraltro, una nuova lettura [25] destinata a ripercuotersi sulla funzione dell’assegno divorzile. La sentenza muove dal presupposto che la riforma della legge sul divorzio del 1987 abbia introdotto tre fondamentali innovazioni, attribuendo un peculiare rilievo all’indagine comparativa dei redditi e dei patrimoni dei coniugi, «fondato sull’obbligo di deposito di documenti fiscali delle parti e sull’attribuzione di poteri istruttori officiosi al giudice in precedenza non esistenti in funzione dell’effettivo accertamento delle condizioni economico patrimoniali delle parti nella fase conclusiva della relazione matrimoniale» [26], accorpando nella prima parte della norma, «come fattori di cui si deve “tenere conto” nel disporre sull’assegno di divorzio» tutti gli indicatori che compongono il criterio assistenziale (condizioni dei coniugi e reddito di entrambi), quello compensativo (contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune) e quello risarcitorio (le ragioni della decisione), ed infine introducendo la condizione per il riconoscimento dell’assegno (assente nella precedente formulazione della norma) «dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, in capo all’ex coniuge che richiede l’assegno». Secondo le Sezioni Unite, le superiori modifiche, correttamente intese, da un canto, devono indurre a rigettare la «rigida bipartizione tra criteri attributivi e determinativi», elaborata dalla giurisprudenza «per delineare più specificamente e rigorosamente i parametri sulla base dei quali disporre l’an e il quantumdell’assegno di divorzio», accedendo ad una interpretazione dicotomica della prima e dell’ultima parte del 6° comma dell’art. 5 l. divorzio da scartare [27]; dall’altro, impedirebbero di rinvenire il parametro dell’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi «al di fuori degli indicatori» raggruppati nella prima parte della norma, con il consequenziale rifiuto dei due parametri eteronomi cui sino ad ora è stato ancorato il diritto all’assegno divorzile, ossia il tenore di vita matrimoniale, indicato dalla famosa sentenza delle [continua ..]


3. I problemi aperti

L’affermazione della natura composita dell’assegno non costituisce un ritorno al passato. Secondo l’impostazione delle Sezioni Unite non è, infatti, possibile la considerazione atomistica dei tre criteri (assistenziale, compensativo e risarcitorio), tra loro equiordinati, come si riteneva prima della novella dell’art. 5, 6° comma, l. divorzio del 1987, lasciando al giudice del divorzio margini di eccessiva discrezionalità [36]. La funzione assistenziale-compensativa, che l’assegno divorzile è chiamato ad assolvere, si realizza attraverso la loro contestuale applicazione. Non è, peraltro, chiaro come, in questa valutazione globale, possa operare il criterio risarcitorio, alla stregua dell’ombra di Banco incombente nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite, che riconosce pari dignità ai tre criteri indicati dall’art. 5, 6° comma, l. divorzio, ma mai espressamente considerato [37]. Quando entrano più nello specifico, i giudici di legittimità reputano, infatti, sufficiente, nel giudizio sull’assegno, accertare se sussiste lo squilibrio economico (criterio assistenziale) e se esso sia eziologicamente riconducibile al contributo alla vita matrimoniale prestato dal coniuge debole (criterio compensativo). In verità il criterio “delle ragioni della decisione” è sempre stato equivoco, in virtù del modello di divorzio accolto nel nostro ordinamento, cui si accede attraverso la fase prodromica della separazione. L’accertamento della responsabilità della crisi, ossia della violazione dei doveri matrimoniali, attiene esclusivamente alla fase della separazione, la quale sospende/estingue siffatti doveri che, di conseguenza, non possono più essere violati dopo la sua pronuncia, nel­l’attesa del divorzio [38]. Rientrando il diritto di divorziare tra quelli fondamentali della persona, neppure può ritenersi – come fece una pronuncia della Corte di Cassazione [39] – che il criterio delle ragioni della decisione consenta di sanzionare quello dei coniugi cui sia imputabile l’ir­reversibilità della disgregazione della comunione materiale e spirituale, ossia, in definitiva, la mancata riconciliazione. Ci si deve poi chiedere se la preminenza riconosciuta alla funzione compensativa-perequativa dell’assegno non comporti la [continua ..]


4. Il criterio del tenore di vita matrimoniale, giudicato irrilevante in sede di divorzio, ma operante al momento della separazione

La nuova funzione assistenziale-compensativa (e risarcitoria) riconosciuta all’assegno modificherà, inevitabilmente, l’oggetto dell’istruttoria del giudizio di divorzio, rendendola più articolata e complessa, non essendo sufficiente provare lo squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi ma dovendosi anche accertare la radice causale di tale disparità, ossia la sua rigorosa riconduzione alle determinazioni comuni e ai ruoli endofamiliari convenuti durante il matrimonio [42], con un possibile sguardo alle cause della crisi. Di ciò sono consapevoli le Sezioni Unite che, non a caso, pongono in luce la possibilità di avvalersi, in questa difficile indagine, anche delle presunzioni. Viene, invece, espressamente affermata l’irrilevanza del parametro del tenore di vita matrimoniale, ritenuto all’origine delle posizioni di pura rendita di cui si avvantaggiano talune mogli divorziate, aborrite dalla coscienza sociale. La funzione dell’assegno – rilevano le Sezioni Unite – non è quella di ripristinare il tenore di vita matrimoniale ma di riconoscere il ruolo ed il contributo fornito dall’ex coniuge economicamente debole «alla realizzazione della situazione comparativa attuale». In realtà, la demonizzazione del parametro del tenore di vita appare eccessiva, essendo esso sempre stato assunto, nel giudizio sull’assegno, come un mero punto di partenza. La stessa sentenza delle Sezioni Unite del 1990, che pure ad esso aveva ancorato il riconoscimento del diritto all’assegno [43], dava ampio spazio ai criteri legali dell’art. 5 l. divorzio novellato, rimarcando la loro idoneità a diminuirlo o, addirittura, azzerarlo, onde evitare l’insorgenza di illegittime locupletazioni. In particolare, richiamava la breve durata del matrimonio [44], la capacità lavorativa del coniuge debole (in funzione della sua posizione sociale, personale (età e condizioni di salute) e ambientale, per le concrete possibilità offerte dal mercato del lavoro), il ridimensionamento del tenore di vita che la crisi frequentemente comporta per entrambi i coniugi [45], i nuovi bisogni del coniuge tenuto al pagamento, che – tra l’altro – lascia la casa familiare e deve trovare un nuovo alloggio per sé [46]. Tuttavia – come è stato acutamente osservato – il [continua ..]


NOTE