Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Consenso al trattamento medico per familiari, consenso ad espianto, sostegni sociali ed infermieristici per persone anziane offerti dal SSN (di Sara Billi, Avvocata in Lucca)


Il presente articolo vuole illustrare la normativa di riferimento in materia di consenso al trattamento medico che, spesso, i pazienti sono chiamati a prestare per sottoporsi ad esami diagnostici, interventi o cure mediche. Particolare attenzione è stata riservata, dall’autrice, al delicato momento della morte di un familiare e della conseguente, ed eventuale, donazione di organi. Oltre alla normativa relativa al consenso per l’espianto di organi da persona defunta, è stata anche analizzata quella in materia di espianto e trapianto di organi tra persone viventi. In ultimo vengono presentati, seppur con brevi cenni, i maggiori aiuti offerti dal Servizio Sanitario Nazionale e dagli enti sociali locali, rivolti alle persone anziane, che siano completamente o parzialmente non autosufficienti o ad altri soggetti che si trovano, in maniera temporanea o permanente, in una condizione di fragilità.

This article aims to illustrate the regulations of reference in the matter of consent to medical treatment which patients are often called upon to grant in order to be subjected to diagnostic examinations, surgeries, or medical therapies. The author devotes particular attention to the delicate moment of a family member’s death and the consequent organ donation, if opted for. In addition to laws on consent to the harvesting of the deceased person’s organs, those relating to the harvesting and transplantation of organs between living persons were also analyzed. Lastly, the author briefly remarks upon the greater aids that the Italian National Health Service and local social agencies offer to elderly people who are completely or partially non-self-sufficient, or to other parties who temporarily or permanently find themselves in a condition of fragility.

SOMMARIO:

1. Il consenso informato: cenni storici - 1.1. Il consenso informato: l. 22 dicembre 2017, n. 219 - 1.2. Il consenso informato: minori e incapaci - 2. Il consenso all’espianto e al trapianto degli organi - 2.1. La donazione da cadavere a soggetto vivente - 2.2. Una fattispecie particolare: la donazione parziale - 2.3. La donazione tra soggetti viventi - 3. Sostegni sociali ed infermieristici per anziani offerti dal Comune e dal Servizio Sanitario Nazionale - 3.1. L’assistenza alle persone fragili e con disabilità: brevi cenni - NOTE


1. Il consenso informato: cenni storici

Il principio del consenso informato giunge alla fine di un percorso storico iniziato secoli fa. Il medico, sin dall’antichità, ha esercitato il proprio mestiere in maniera autonoma e riservata, non rivelando niente al paziente riguardo alle sue condizioni di salute. Il riferire notizie e informazioni veniva, infatti, vissuto come una sorta di perdita di prestigio e di autorità da parte della classe medica [1]. Solo in seguito, con la pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1917, si affermò che ogni essere umano adulto e sano di mente, avesse il diritto di decidere i trattamenti da eseguire sul suo corpo. Venne così stabilito che il medico, che esegue un intervento senza il consenso del paziente, commette un’aggressione verso lo stesso. Il punto di vista inizia quindi a cambiare. In Italia il principio del consenso informato trova il suo fondamento nell’art. 32 Cost. assieme ai correlati artt. 2 e 13 Cost. relativi al principio dell’autodetermina­zione e dell’inviolabilità della libertà personale [2]. Nel 1978 con la l. n. 833, fu istituito il Servizio Sanitario Nazionale: il principio secondo cui non potevano essere eseguiti accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, venne così rafforzato. Successivamente, anche a livello Europeo, venne confermato il principio della preminenza del consenso informato. Nel­l’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati, il consenso informato e libero della persona interessata, secondo le modalità stabilite dalla legge. Tale principio è stato espressamente previsto anche nel Codice di Deontologia Medica [3]. Si può concludere quindi, che la legittimazione ad agire del medico non ha più, oggi, il suo fondamento sul principio del prestigio e dell’autorità della categoria che rappresenta, ma solo ed esclusivamente sul consenso informato del malato.


1.1. Il consenso informato: l. 22 dicembre 2017, n. 219

I trattamenti sanitari sono liberi: il diritto alla salute e all’integrità psico-fisica è rimesso, in linea di principio, all’autodeterminazione del suo titolare. In base all’art. 32 comma 2 della nostra Carta Costituzionale, “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non nei casi stabiliti dalla legge”. Lo strumento attraverso il quale il diritto alla salute si concilia con il diritto alla libertà di autodeterminazione è il consenso informato, così come affermato dal Consiglio di Stato all’adunanza della commissione speciale del 18 luglio 2018 [4]. La legge di riferimento che prevede e disciplina il consenso informato è la n. 219/2017, al cui art. 1 comma 1, prevede espressamente che la stessa, “nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unio­ne Europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. L’articolo in apertura prosegue stabilendo, al suo comma 3, che: “ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei com­prensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze del­l’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico”. Analizzando nel dettaglio, quanto appena esposto, si evince che i momenti fondamentali del consenso informato, possono essere sintetizzati in tre punti: 1) la comunicazione al paziente di informazioni inerenti agli atti [continua ..]


1.2. Il consenso informato: minori e incapaci

La l. n. 219/2017 espressamente si occupa di individuare i soggetti autorizzati ad esprimere il consenso informato al trattamento sanitario per i pazienti minori, interdetti o inabilitati. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale, o dal tutore, tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità. La tutela preminente, in questo caso, sarà quella della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità [8]. Per il compimento dei trattamenti medici comuni (es. visite, medicazioni ecc.) sarà sufficiente il consenso di un solo genitore, al pari del compimento degli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti di maggiore importanza, come ad esempio un intervento chirurgico, sarà necessario il consenso di entrambi i genitori. In caso di disaccordo tra gli stessi, è previsto il ricorso al Giudice ex art. 316 c.c., salvo ricorra una delle ipotesi dettate dallo stato di necessità ex art. 54 c.p. Il Comitato Nazionale per la Bioetica sullo sviluppo cognitivo del bambino ha affermato che, prima dei 6/7 anni di età, sia impossibile raccogliere un consenso autonomo; mentre tra i 7 e i 10/12 anni il consenso del minore deve essere considerato assieme a quello dei genitori. Solo dai 12 anni il paziente minorenne potrebbe essere in grado di avere opinioni concretamente consapevoli e responsabili verso i trattamenti sanitari da attuarsi e dai 14 anni, è possibile ricevere il consenso effettivo del minore adolescente [9]. In caso il minore venga ritenuto “maturo” si vedrà riconosciuto un vero e proprio diritto ad esprimere liberamente il suo pensiero sul trattamento sanitario a lui destinato: dovrà quindi essere ascoltato e il medico dovrà tener conto della sua opinione. In questo caso il sanitario dovrà ricevere il consenso cercando di utilizzare modi adeguati per comprendere se effettivamente sussiste, o non sussiste, la sua adesione al trattamento da intraprendersi. In caso di suo dissenso (con consenso degli esercenti la potestà genitoriale), il medico dovrà in primis valutare la necessità del trattamento proposto, oltre a considerare l’opinione del minorenne stesso come un fattore determinante, in funzione anche alla sua [continua ..]


2. Il consenso all’espianto e al trapianto degli organi

La donazione di organi può avvenire sia tra soggetti viventi, sia tra un donatore cadavere e un soggetto vivente. Nel primo caso, dopo un consulto medico e psicologico, se il prelievo non compromette la salute, la sopravvivenza e la qualità della vita del donatore, si possono donare, o in parte o per intero, alcuni organi e tessuti cerebrali. Il secondo caso, invece, si verifica a seguito di una lesione cerebrale irreversibile, accertata da un’apposita commissione medica, dopo aver esaminato tutta la documentazione clinica e strumentale del soggetto interessato.


2.1. La donazione da cadavere a soggetto vivente

La l. n. 91/1999 regolamenta le disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti. L’art. 4 comma 1 di detta normativa prevede che “ad ogni cittadino sia notificata la richiesta di manifestare la propria volontà sulle donazioni degli organi dopo la morte in base al principio del silenzio – assenso informato”. In realtà il principio del silenzio-assenso non ha mai trovato attuazione nel nostro ordinamento dove, ad oggi, viene adottato il principio del consenso o dissenso esplicito, come previsto dall’art. 23 della l. n. 91/1999 e dal Decreto del Ministero della Salute 8 aprile 2000 (Gazzetta Ufficiale 15 aprile 2000, n. 89). In base all’articolo richiamato, se il potenziale donatore non ha espresso alcun parere in merito, i familiari hanno la possibilità di opporsi al prelievo di organi. In breve: è donatore colui che ha espresso esplicitamente la volontà positiva in merito ad un’eventuale donazione; mentre il non donatore è colui che ha espresso un parere negativo in merito. Nel nostro Paese la dichiarazione di volontà sulla donazione di organi e tessuti non è obbligatoria. La normativa vigente prevede che l’autorizzazione sia ritenuta valida, se effettuata con alcune modalità: la dichiarazione presso il distretto ASL di appartenenza dove oltre al consenso esplicito si può formalizzare anche il dissenso esplicito; la dichiarazione al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità presso il proprio Comune di residenza; la dichiarazione di volontà scritta, datata e sottoscritta. La volontà, in qualsiasi forma manifestata, può sempre essere oggetto di ripensamento da parte di chi l’ha effettuata, e sarà considerata valida l’ultima temporalmente prestata [13]. La l. n.91/1999 prevede che possa essere donatore qualsiasi cittadino che abbia raggiunto la maggiore età e sia in grado d’intendere e volere. Esprimere il consenso in vita fa sì che, in caso di morte, il soggetto veda rispettata la sua volontà, senza che la stessa venga rimessa al volere dei familiari. Secondo la normativa in esame, nel caso che una persona non esprima il suo consenso o dissenso in vita, i familiari hanno diritto di opporsi al prelievo durante il periodo di osservazione dello stato di morte. L’ordine dei familiari, che possono dare il consenso od [continua ..]


2.2. Una fattispecie particolare: la donazione parziale

Il Tribunale di Firenze, II Sezione Civile, con la sentenza del 25 febbraio 2015, n. 630, ha esaminato un caso particolare di donazione da cadavere: la donazione parziale. I fatti di causa erano i seguenti: presso la struttura ospedaliera decedeva una donna, con lesioni cerebrali irreversibili. Nel rispetto dell’art. 23, l. n. 91/1999 i medici informavano il coniuge e il figlio della defunta della possibilità di donare gli organi e i tessuti a scopo di trapianto, oltre al loro diritto di presentare opposizione scritta all’espianto. I familiari redigevano il verbale di informazione ricevuto, inserendo, sotto la voce “note” la dicitura “no consenso al prelievo di cute”. L’equipe medica procedeva all’espianto prelevando dalla defunta anche la cute, motivo per cui i prossimi congiunti adivano l’autorità giudiziaria per chiedere il risarcimento del danno e vedere condannata l’Azienda Ospedaliera, per non aver rispettato il divieto espresso. L’Ospedale convenuto affermava che, essendo il divieto stato inserito tra le “note”, fosse illegittimo, perché non formulato con apposito modulo scritto. Inoltre sosteneva che, non prevedendo la legge la possibilità di eseguire un prelievo parziale – in parte acconsentito e in parte vietato dai familiari– fosse conseguentemente vietata questa facoltà anche ai prossimi congiunti. Al contempo, contestava l’esistenza di un possibile danno, considerando che il prelievo di cute era avvenuto su un soggetto già deceduto, non potendosi ravvisare così alcun danno alla persona che lo aveva subito. Il Giudice adito è stato però di visione opposta rispetto all’Azienda Ospedaliera, ed ha espresso i principi che andiamo ad analizzare. In primo luogo, la legge di riferimento, non prevede ma allo stesso tempo non vieta, l’opposizione parziale: la stessa si ritiene quindi legittima e possibile, in quanto “sarebbe surrettizio introdurre un divieto che la legge non prevede”. Inoltre il Giudice di prime cure ha analizzato anche la ratio legis della norma sull’espianto, sostenendo che introdurre un divieto di opposizione parziale, là dove non è espressamente sancito, potrebbe portare i cittadini a rinunciare alla donazione. Ciò contrasterebbe palesemente con l’in­teresse della comunità, volto ad incentivare gli espianti [continua ..]


2.3. La donazione tra soggetti viventi

L’art. 5 c.c., com’è noto, prevede il divieto di compiere atti di disposizione sul proprio corpo, volti a cagionare una diminuzione permanente dell’integrità fisica o, se contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Ad oggi in Italia, tra soggetti viventi, è ammessa la donazione a scopo di trapianto, del rene e parzialmente di fegato, polmone, pancreas e intestino. La legge di riferimento è la n. 458/1967 che si è occupata del trapianto del rene tra persone viventi, mentre le successive norme [16] si sono limitate a richiamare integralmente la l. n. 458/1967. Il trapianto del rene tra persone viventi è consentito tra genitori, figli, fratelli germani e non germani del paziente che siano maggiorenni. Solo nel caso che il paziente non abbia i consanguinei o non siano idonei o disponibili, può essere autorizzato anche per altri parenti e per donatori estranei. L’atto di disposizione è sempre revocabile sino al giorno dell’intervento chirurgico, senza che scaturisca alcun diritto per il soggetto ricevente. L’atto di disposizione e destinazione del rene in favore di un determinato soggetto è ricevuto dal Tribunale del luogo in cui risiede il donatore, o ha sede l’Istituto autorizzato al trapianto. I requisiti ex lege che il donatore deve avere, sono: la maggiore età, la capacità d’intendere e di volere, la conoscenza dei limiti della terapia del trapianto di rene tra viventi e, in ultimo, la consapevolezza delle conseguenze personali che il suo sacrificio comporterà. Il Giudice competente dovrà accertare la sussistenza dei requisiti, verificare che la scelta di donare sia libera e spontanea, si dovrà occupare della redazione per iscritto della relativa dichiarazione, oltre a dover verificare la sussistenza di un giudizio favorevole al prelievo emanato da un collegio di medici. Accertati tutti questi elementi concederà, con decreto, il nulla osta per l’esecuzione del trapianto o, in caso contrario, motiverà il relativo diniego. Il decreto del Giudice è reclamabile con ricorso al Tribunale collegiale che si pronuncerà in camera di consiglio [17].


3. Sostegni sociali ed infermieristici per anziani offerti dal Comune e dal Servizio Sanitario Nazionale

Il SSN garantisce, alle persone non autosufficienti dal punto di vista psicologico o fisico, l’erogazione di prestazioni sanitarie o di servizi infermieristici e riabilitativi, al fine di garantire una certa qualità della vita dei soggetti fragili coinvolti. La l. quadro n. 328/2000 ha come obiettivo ultimo la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali, volti a prevedere e disciplinare gli aiuti necessari, per garantire la qualità della vita, le pari opportunità e la non discriminazione di tutti i soggetti. L’intento normativo è quello di cercare di ridurre le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale, familiare e sociale. Proprio a tale scopo, a livello nazionale, la l. 27 dicembre 2006, n. 296, ha istituito il Fondo Nazionale per le non autosufficienze, al fine di garantire i LEPS (livelli essenziali delle prestazioni sociali per le persone non autosufficienti). I LEPS rappresentano l’insieme degli interventi, dei servizi, delle attività e delle prestazioni integrate, finalizzati a garantire, in maniera universale su tutto il territorio nazionale, la qualità della vita, le pari opportunità e tutto quanto possa essere necessario per prevenire o eliminare situazioni di svantaggio e di vulnerabilità. Secondo la normativa richiamata, si considerano non autosufficienti le persone che hanno subito una perdita permanente, parziale o totale, dell’autonomia, delle abilità fisiche, sensoriali, cognitive e relazionali, da qualsiasi causa determinata, con conseguente incapacità di compiere gli atti essenziali della vita quotidiana senza l’aiuto rilevante di altre persone [18]. Le condizioni di non autosufficienza possono quindi presentarsi sotto forma di disabilità psicofisica e mentale.


3.1. L’assistenza alle persone fragili e con disabilità: brevi cenni

Il d.p.c.m. del 12 gennaio 2017 prevede una serie di aiuti socio – sanitari per le persone con disabilità. Viene infatti previsto che il SSN garantisca, alle persone con disabilità complesse, o non autosufficienti, o in condizioni di fragilità, prestazioni riabilitative attraverso un progetto individualizzato da svolgersi al proprio domicilio. La ratio è quella di evitare il più possibile il ricovero in strutture ospedaliere per cercare di far mantenere le abilità residue al soggetto. Le cure domiciliari sono integrate da prestazioni di aiuto infermieristico e di assistenza alla persona (cura, igiene ecc.), che per il primo periodo, sono a carico del SSN e, successivamente, a carico del Comune e in parte del soggetto beneficiario, secondo il proprio ISEE, e in relazione a quanto stabilito dalla normativa regionale e comunale di riferimento. Il SSN garantisce alle persone non autosufficienti, affette da malattie croniche o in condizioni di fragilità, che non possono curarsi al domicilio, la possibilità di essere ospitate in strutture residenziali extra ospedaliere [19]. Per le cure domiciliari, è necessario infatti disporre di un alloggio adeguato, e soprattutto, è essenziale avere il supporto di persone che possano aiutare il soggetto interessato anche per gli adempimenti basilari, come la preparazione di un pasto, le pulizie personali e dell’alloggio, l’acquisto di beni indispensabili ecc. Quando sorge questa esigenza, è il medico di medicina generale che richiede alla ASL, previa valutazione complessiva delle condizioni fisiche, psichiche e sociali dell’UVM –unità valutativa multidisciplinare-, il ricovero in una struttura residenziale per fornire l’assistenza adeguata. Le strutture residenziali possono garantire livelli diversi di intensità assistenziale e quindi ospitare soggetti con problemi sanitari di diversa complessità: potrà essere quindi presente sia chi ha bisogno di aiuto per le esigenze vitali (respiratorie, di nutrizione artificiale ecc.), sia chi ha necessità di un sostegno meno assiduo (visita solo periodica del medico o mera somministrazione di farmaci). Il SSN si fa carico del costo delle prestazioni sanitarie mentre l’assistito si farà carico della quota non sanitaria e di natura alberghiera. In caso di disagio economico sarà il Comune di residenza, a farsi [continua ..]


NOTE