Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


L'ordinamento penitenziario minorile (di Francesco Pisano, Avvocato del Foro di Cagliari)


L'autore, dopo aver delineato le linee guida della legge delega in materia di ordinamento penitenziario minorile, ripercorre la disciplina dettata dal d.lgs. n. 121/2018 soffermandosi sulle misure penali di comunità. Lo scopo della normativa è di tipo educativo e, pertanto, la pena detentiva ha una portata meramente residuale. Alla fine della disamina l’autore evidenzia, poi, le problematiche di applicazione pratica e le occasioni mancate.

After outlining the guidelines of the enabling law in the matter of the juvenile penitentiary system, the author discusses the regulation dictated by Legislative Decree no. 121/2018, focusing on community penal measures. The purpose of the regulation is of the educational kind, and therefore detention is merely residual in scope. At the end of the discussion, the author goes on to emphasize the problems of practical application, and the missed opportunities.

SOMMARIO:

1. Premessa: una lunga attesa (in parte tradita) - 2. Gli otto criteri della legge delega [7] - 3. Principi e caratteri generali dell’ordinamento penitenziario minorile - 4. L’esecuzione penale esterna: le misure penali di comunità - 5. La pena detentiva - 6. L’estensione della disciplina esecutiva minorile alle pene concorrenti per reati commessi dal giovane adulto - 7. Gli organi dell’esecuzione penale minorile - 8. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Premessa: una lunga attesa (in parte tradita)

Lo scopo di questo lavoro è di illustrare la disciplina sull’esecuzione delle pene a carico dei minorenni; o, più correttamente, nei confronti di coloro che, condannati da minorenni, sono sottoposti ad esecuzione penale fino ai venticinque anni di età [1]. Una disciplina speciale per l’ese­cuzione penale per i minorenni è mancata per oltre quaranta anni. L’art. 79 della legge sulla riforma penitenziaria (l. n. 354/1975) prevedeva al 1° comma: «le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali, fino a quando non sarà provveduto con apposita legge». L’ordinamento penitenziario minorile, con implicita abrogazione della norma sopra citata, è entrato in vigore con il d.lgs. n. 121/2018, attuativo di delega del Parlamento [2]. Una lunga attesa, nel corso della quale i minorenni sottoposti ad esecuzione penale hanno spesso subito un trattamento discriminatorio rispetto a quelli adulti, derivante dall’uguale trattamento di situazioni differenti, con pregiudizio per la categoria più fragile. Talune di queste discriminazioni furono portate all’attenzione della Corte costituzionale, che ebbe a ribadire come la parificazione tra adulti e minori, conseguente alla mancata introduzione di specifici correttivi ed adattamenti necessari per trattare la specificità della condizione minorile, non era in armonia con i principi della giustizia penale minorile [3]. Con diversi interventi, sia interpretativi di rigetto e sia di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la Consulta aveva nel tempo provveduto a mitigare l’automatica applicazione ai minori delle norme per gli adulti, sempre richiamando il legislatore a intervenire sulla materia [4]. L’ordinamento penitenziario minorile consta di 26 articoli distribuiti in quattro capi. Pochi, come è stato osservato [5], per regolare organicamente un ambito così articolato come l’esecuzione penale. Da ciò deriva, per il giudice dell’esecuzione, la necessità di fare ampio uso al rinvio alle norme dettate per gli adulti, come prescritto dall’art. 1 del d.lgs. n. 121/2018; ciò, a sua volta, determina un parziale svuotamento della finalità di avere una disciplina differenziata per i minori. Ulteriore criticità dell’ordinamento [continua ..]


2. Gli otto criteri della legge delega [7]

Le linee guida stabilite dalla legge delega erano le seguenti: 1. giurisdizione specializzata affidata al TM, fatte salve le disposizioni sulla incompatibilità del giudice di sorveglianza che abbia svolto funzioni giudicanti in fase di cognizione; 2. previsione di disposizioni sull’organizzazione degli istituti penali minorili nell’ottica della responsabilizzazione, socializzazione e promozione della persona; 3. estensione delle norme ai giovani adulti nel rispetto dei processi educativi in atto; 4. previsione di misure alternative alla detenzione conformi alle istanze educative del condannato minorenne; 5. ampliamento dei criteri per l’accesso alle misure alternative alla detenzione, con particolare riferimento all’affidamento in prova al servizio sociale ed alla semilibertà; 6. eliminazione di ogni automatismo e preclusione per la revoca o concessione dei benefici penitenziari, in contrasto con la funzione rieducativa della pena e con il principio dell’indivi­duazione del trattamento; 7. rafforzamento dell’istruzione e formazione professionale quali elementi centrali del trattamento dei detenuti minorenni; 8. rafforzamento dei contatti verso l’esterno quale criterio guida del trattamento, in funzione del reinserimento sociale. L’iter legislativo dell’attuazione della delega fu molto tormentato [8]. Il Governo scelse di attuare con estrema moderazione la delega relativa alla facilitazione dell’accesso alle misure alternative e di non attuare quella volta ad eliminare gli automatismi preclusivi. Uno di questi venne meno un anno dopo l’entrata in vigore della disciplina ad opera della Corte costituzionale, che, con sentenza n. 263/2019, dichiarava l’illegittimità costituzionale del­l’art. 2, 3° comma, del d.lgs. n. 121/2018 che assoggettava anche ai condannati minorenni il noto meccanismo preclusivo di cui all’art. 4-bis O.P. Si legge nella sentenza: «Una volta riconosciuta come costituzionalmente imposta la necessità di prognosi individualizzate e di flessibilità del trattamento [9], si tratta, dunque, di restituire al tribunale di sorveglianza quel medesimo potere di apprezzamento delle specificità di ciascun caso che è già stato riconosciuto al pubblico ministero, in sede di sospensione dell’esecuzione delle pene detentive nei confronti dei condannati minorenni. Dal [continua ..]


3. Principi e caratteri generali dell’ordinamento penitenziario minorile

Due le espressioni chiave che si colgono immediatamente nella lettura delle norme sull’ordina­mento penitenziario minorile: misure penali di comunità e intervento educativo (e non rieducativo). Le misure penali di comunità, che esamineremo nel prossimo paragrafo, sono le misure alternative alla detenzione, che vengono, con questa nuova denominazione, caratterizzate in positivo, chiamando in causa la comunità nell’intervento di recupero ed inserimento sociale del ragazzo sottoposto a misura penale. La penalità non si identifica più col carcere; si prosegue verso quella decarcerizzazione che già la riforma del processo penale minorile, con le sue misure di diversione, aveva perseguito. Ogni misura penale, di comunità o detentiva, è informata dall’istanza educativa e non rieducativa: sottolineando in tal modo una specifica attenzione alle esigenze evolutive della persona minorenne, alla globalità della sua persona e non solo rispetto al fatto di reato. Le finalità dell’esecuzione penitenziaria minorile sono descritte all’art. 1, 2° comma, del d.lgs. n. 121/2018: –    promuovere percorsi di giustizia riparativa e mediazione reo vittima; –    favorire la responsabilizzazione, l’educazione ed il pieno sviluppo psico fisico del minorenne; –    preparare alla vita libera, facilitare l’inclusione sociale e prevenire la recidiva.


4. L’esecuzione penale esterna: le misure penali di comunità

Le misure penali di comunità sono significativamente illustrate nel Capo II del d.lgs. n. 121/2018, cioè in apertura [11], mentre solo dopo si disciplina l’esecuzione della pena detentiva e l’organizzazione degli IPM, a sottolineare ulteriormente la residualità del carcere. Residualità che non è soltanto proclamata, ma confermata dai numeri: con appena 317 detenuti nei 17 IPM italiani al gennaio 2022, il nostro paese dà il buon esempio a tutti i partner europei [12]. Le misure penali di comunità sono le seguenti, in ordine di afflittività crescente come presentati dal testo in commento: a) affidamento in prova al SS; b) affidamento in prova in casi particolari (alcol/tossicodipendenza); c) detenzione domiciliare; d) semilibertà. Tali misure differiscono, rispetto a quelle omologhe per gli adulti, per la richiesta al minore di assumere una condotta attiva, non solo di astensione da condotte illecite, ma di adesione ad un intervento di sostegno al suo processo formativo ed alla sua inclusione sociale. Le misure sono concedibili se idonee a favorire l’evoluzione positiva della personalità, oltre che, ovviamente, se non si ritiene sussistente il rischio che il condannato si sottragga all’esecu­zione. Va precisato che a queste misure si accede sia da liberi che in uscita dalla detenzione. L’art. 11 del d.lgs. n. 121/2018 disciplina la procedura di accesso dettando una norma speciale rispetto all’art. 656 c.p.p. e disegnando la sequenza procedimentale che va dalla sospensione dell’ordine di esecuzione all’udienza davanti al tribunale di sorveglianza, che vede ancora l’USSM tra i soggetti necessari. Prima di una rapida disamina delle singole misure deve essere ricordato che il soggetto sottoposto a misura penale di comunità è sempre affidato all’USSM. a) L’affidamento in prova al SS Vi si può ricorrere quando la pena non è superiore ai quattro anni, come per gli adulti [13]. Il servizio sociale in questione è quello della giustizia minorile [14], il quale redige un programma di intervento educativo i cui contenuti formano quelli del provvedimento di affidamento. Questa forma di probation penitenziaria è in tutto simile nella sua architettura e nella progettualità educativa alla messa alla prova, meccanismo di probation processuale ed istituto [continua ..]


5. La pena detentiva

L’art. 14 del provvedimento legislativo in commento apre la disciplina dell’esecuzione penale in carcere. Mentre l’art. 13 O.P. parla di «programma di trattamento» la locuzione utilizzata nella norma in esame è «programma di intervento educativo». Il periodo di permanenza in IPM viene in questo modo ridefinito mettendo in primo piano la dimensione educativa e circoscrivendo quella custodiale [15]. In effetti la norma prevede che la permanenza in IPM si svolga in conformità ad un progetto educativo, che viene predisposto dall’equipe di osservazione e trattamento [16], sotto la supervisione del magistrato di sorveglianza, entro tre mesi dall’ingresso del condannato e che deve essere costantemente aggiornato in base all’evoluzione psico fisica maturata. L’assegnazione in istituto avviene secondo il principio di territorialità (art. 22) assicurando al condannato di restare il più possibile vicino al luogo di residenza abituale per mantenere e rafforzare le relazioni significative e valide dal punto di vista educativo. Quanto all’organizzazione della vita in istituto, l’art. 16 prevede in quattro il numero massimo dei posti letto per camera [17]. Per i detenuti non pericolosi sono previste sezioni a custodia attenuata, dedicate in particolare a coloro i quali sono prossimi alla dimissione e possono cominciare a sperimentare spazi di autonomia nella gestione della vita quotidiana insieme al lavoro o alle attività formative all’esterno. Deve essere garantita la separazione degli spazi dedicati ai minori ed ai giovani adulti [18]. L’art. 17 disciplina specificamente l’organizzazione di quella che nel gergo penitenziario è chiamata “l’aria”, cioè la permanenza all’aperto, prescrivendo che la stessa avvenga in modo organizzato e con la presenza degli operatori penitenziari e dei volontari, in spazi attrezzati per lo svolgimento di attività fisica e ricreativa. Per quanto riguarda il lavoro, l’istruzione e la formazione professionale, si prevedono sia attività intra murarie che all’esterno, con applicazione dell’art. 21 O.P. sul lavoro all’esterno. Di particolare interesse l’art. 19 su colloqui e tutela dell’affettività: i ragazzi possono godere di otto colloqui mensili con congiunti o persone con cui hanno una [continua ..]


6. L’estensione della disciplina esecutiva minorile alle pene concorrenti per reati commessi dal giovane adulto

L’art. 10 disciplina in modo fortemente innovativo la situazione in cui nei confronti del maggiorenne (infra venticinquenne) sottoposto a misura penale minorile debba essere messo in esecuzione un nuovo titolo, emesso dal giudice ordinario, per reati commessi dopo il compimento della maggiore età. Senza questo intervento del legislatore in questi casi si sarebbe generato in automatico un doppio binario nell’esecuzione dei due titoli; la norma in commento prevede invece che in questi casi il Pubblico Ministero emetta l’ordine di esecuzione e contestualmente lo sospenda, secondo quanto previsto dall’art. 656 c.p.p., trasmettendo gli atti al magistrato di sorveglianza per i minorenni. Se questi ritiene che vi siano le condizioni per la prosecuzione dell’esecuzione secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni, tenuto conto del percorso educativo in atto e della gravità dei fatti oggetto di cumulo [19], ne dispone con ordinanza l’estensione al nuovo titolo, altrimenti dispone la cessazione della sospensione e restituisce gli atti al Pubblico Ministero per l’ulteriore corso dell’esecuzione. La norma mira ad attutire il brusco cambio di passo tra la giustizia penale per i minori e quella per gli adulti, evitando che in fase esecutiva si perda l’eventuale proficua attività educativa e di socializzazione a cui era orientata l’esecuzione della pena imposta dal giudice minorile. L’ultimo comma dell’art. 10 prevede che, non si faccia luogo all’esecuzione secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni se il condannato per reati commessi da minorenne abbia già fatto ingresso in un istituto per adulti, anche in custodia cautelare, per reati commessi dopo il compimento del diciottesimo anno di età.


7. Gli organi dell’esecuzione penale minorile

L’art. 68, 4° comma, O.P. sancisce il principio dell’esclusività delle funzioni di sorveglianza: i magistrati che esercitano funzioni di sorveglianza non debbono essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie. Tale regola viene derogata per coloro che commettono il reato da minorenni e fino al venticinquesimo anno di età [20]. Per costoro le funzioni di sorveglianza sono esercitate dal tribunale per i minorenni e dal magistrato di sorveglianza presso lo stesso tribunale [21]. La scelta si giustifica da un lato con l’esigenza di mantenere anche in fase esecutiva la specializzazione del giudice, ma anche e soprattutto col fatto che i numeri non giustificherebbero un’esclusività nell’esercizio delle funzioni. Nessuna norma del d.lgs. n. 121/2018 fornisce indicazioni sulla competenza territoriale e sulla procedura, per cui si deve fare riferimento alle norme generali del codice di procedura penale e dell’Ordinamento Penitenziario. Per la competenza territoriale la norma di riferimento è l’art. 677 c.p.p.; per la procedura l’art. 678 c.p.p. [22].


8. Osservazioni conclusive

Questo lavoro viene redatto subito dopo una vicenda che ha portato il carcere minorile alla ribalta della cronaca, altrimenti ben poco attenta alla realtà carceraria in generale; si tratta della fuga di sette detenuti dall’IPM Beccaria di Milano. La notizia ha fornito l’occasione per reiterare la richiesta di maggiore controllo e maggiore severità, quali sinonimi di sicurezza, o addirittura di chiedere profondi cambiamenti del sistema [23]. In realtà il sistema dovrebbe semplicemente essere messo a regime: con norme che realizzino compiutamente i principi a cui dichiarano di rifarsi e con impegni economici adeguati alla concreta ed effettiva applicazione di queste norme. Tornando all’esempio dell’IPM Beccaria, risulta dal citato rapporto dell’associazione Antigone [24] sulla situazione degli IPM nel 2022, che l’istituto aveva 36 ospiti su 31 posti disponibili; ampie aree dell’istituto erano e sono ancora un cantiere aperto da ben 15 anni per lavori di ristrutturazione; la direzione era vacante da molti anni e nel 2022 la direttrice, a scavalco con altri istituti, era presente per due giorni alla settimana. Questi dati forniscono la riprova che si tratta non di inadeguatezza di un sistema, ma di sua mancata realizzazione. In realtà non si è perseguita la strada della sicurezza attraverso la costruzione di condizioni di vita buone e ricche di vere opportunità di riscatto. Paradossalmente, la mancata applicazione delle norme, con violazione dei diritti delle persone sottoposte a misura detentiva, nella misura in cui ha il naturale effetto di produrre tensioni e mettere a rischio la sicurezza sociale, va a legittimare le richieste di maggiore rigore e severità, riportando in auge l’ossessione custodiale [25], spesso trovando facili consensi nell’opinione pubblica. Abbiamo, dunque, un processo penale per i minorenni ampiamente ispirato all’esigenza di rapida fuoriuscita dal circuito penale [26]; abbiamo altresì, dopo una lunga attesa, un ordinamento penitenziario speciale per le persone sottoposte ad esecuzione penale minorile. Quest’ultimo, però, ha in parte tradito le aspettative, o, più correttamente, le indicazioni inequivoche della legge delega. A ciò si aggiunge una scarsa attenzione dei responsabili delle politiche pubbliche alla effettività dell’art. 27 Cost. ed alle [continua ..]


NOTE