Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Introduzione ai principi generali della giustizia minorile (di Glauco Giostra, Professore ordinario di procedura penale presso l'Università la Sapienza di Roma)


Affermare che la finalità cognitiva propria della giurisdizione debba connotare anche il processo a carico di minorenni non significa certo che questo non possa, anzi non debba farsi carico dell'esigenza di tutelare il più possibile la personalità in fieri e le esigenze del percorso formativo del minorenne. Questa speciale attenzione per una realtà in progress così delicata e vulnerabile dovrebbe esprimersi – e nel nostro sistema sostanzialmente si esprime – attraverso taluni principi in grado di connotare indefettibilmente la giurisdizione minorile per così dire in positivo e in negativo. Dal primo punto di vista bisogna fare in modo che l’esperienza processuale rappresenti per il minorenne un'occasione, sia pur dolorosa e traumatica, per acquisire una consapevolezza dei propri doveri e dei propri diritti; per collocare correttamente la sua individualità nei rapporti interpersonali e nel contesto sociale; per promuovere insomma una sorta di corretta “propriocezione” giuridico-sociale. Il minorenne si deve percepire non come passivo destinatario di preoccupazioni e di provvidenze, ma come soggetto cui competono facoltà da esercitare nel processo per difendersi da un’accusa, procurando altresì che in questo difficile compito non si senta solo, ma sostenuto da figure affettivamente e professionalmente significative. In negativo, bisogna operare per una riduzione del “danno da processo”, cercando fin dove è possibile, di non compromettere lo sviluppo psicologico in atto. Per farlo, bisogna intervenire su due piani contigui, ma distinti: quello delle norme e quello della loro modalità di applicazione.

To assert that the cognizance-taking purpose of jurisdiction ought also to characterize juvenile trials does not at all mean that the trial cannot – indeed, must not – take account of the need to protect the child’s developing personhood and the needs of his or her educational path. This special attention to so delicate and vulnerable a reality in progress ought to be expressed (and in our system is essentially expressed) through some principles capable of unfailingly characterizing the juvenile jurisdiction – in both positive and negative terms, so to speak. From the positive standpoint, action must be taken for the juvenile’s trial experience to present an opportunity – albeit a painful and traumatic one – to acquire an awareness of his or her own rights and duties, in order to properly place his or her own individuality within interpersonal relationships and the social context, and indeed to foster a kind of well-calibrated juridical and social “proprioception.” The child must perceive him or herself not as a passive recipient of concerns and windfalls, but as a person entitled to rights to be exercised at trial in order to raise a defence against a charge, also ensuring that he or she does not feel alone in this difficult task, but supported by professionally and emotionally significant figures. In negative terms, pains must be taken to reduce “trial damage,” seeking to the extent possible not to compromise the psychological development in progress. To achieve this, action must be taken on two adjacent but distinct levels: that of regulations and that of their modes of application.

SOMMARIO:

1. Funzione istituzionale della giustizia penale minorile - 2. Una giurisdizione specializzata - 3. I principi generali enunciati dall’art. 1, d.p.r. n. 448/1988


1. Funzione istituzionale della giustizia penale minorile

Prima di provare a tratteggiare i principi generali che dovrebbero connotare, e quelli che oggi connotano, la giustizia penale minorile nel nostro ordinamento, è indispensabile precisare la funzione istituzionale che le si assegna, giacché questa rappresenta il diapason teleologico a cui quelli dovrebbero armonizzarsi. Individuare la funzione istituzionale è compito in genere molto agevole per gli altri settori della giurisdizione, arduo per quella minorile, da sempre oscillante tra finalità cognitiva e finalità (ri)educativa, con ciò compromettendo spesso la prima, senza garantire la seconda. La condivisibile attenzione per la peculiare condizione dell’imputato minorenne, infatti, ha spesso indotto a trascurare l’obbiettivo dell’accertamento delle sue responsabilità, per farsi carico delle necessità rieducative che quelle responsabilità (ancora, si badi, da accertare) denuncerebbero. Un tralignamento funzionale che non serpeggia soltanto nel nostro sistema normativo, ma che affiora, insidioso, anche nelle fonti sovrannazionali. Nelle c.d. Regole di Pechino (Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile, New York, 29 novembre 1985) si legge che «un minore autore di reato è un giovane colto nell’atto di commettere un reato o accusato di averlo commesso» (sic!) (art. 2, 2° comma, lett. c); nonché, in inquietante “coerenza”, che «gli obbiettivi delle giustizia minorile» debbono essere «la tutela del giovane ed assicurare che la misura adottata sia proporzionale alle circostanze del reato e all’autore dello stesso» (art. 5). La direttiva 800/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio «Sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali», accanto a sacrosante garanzie previste a tutela dell’imputato minorenne, letta per così dire in filigrana, tradisce qua e là una propensione pedagogico-correzionalistica. Basti pensare, a titolo di esempio, che la direttiva medesima precisa in esordio che tra i suoi obbiettivi c’è quello di evitare la recidiva del minore indagato o imputato e favorirne il reinserimento sociale (considerando 1). Locuzioni, queste, che rischiano di dare contenuto all’ambigua espressione che, a mo’ di basso continuo, ricorre sovente nella direttiva: «l’interesse del [continua ..]


2. Una giurisdizione specializzata

Rispondere a questo interrogativo significa entrare finalmente in medias res, cioè chiedersi quali peculiarità debbano informare tale delicatissimo settore della giurisdizione, senza che di questa smarrisca funzione e scopo. Affermare che la finalità cognitiva propria della giurisdizione debba connotare anche il processo a carico di minorenni non significa certo che questo non possa, anzi non debba farsi carico dell’esigenza di tutelare più possibile la personalità in fieri e le esigenze del percorso formativo del minorenne. Questa speciale attenzione per una realtà in progress così delicata e vulnerabile dovrebbe esprimersi – e nel nostro sistema sostanzialmente si esprime – attraverso taluni principi in grado di connotare indefettibilmente la giurisdizione minorile per così dire in positivo e in negativo. Dal primo punto di vista, bisogna fare in modo che l’esperienza processuale rappresenti per il minorenne un’occasione, sia pur dolorosa e traumatica, per acquisire una consapevolezza dei propri doveri e dei propri diritti; per collocare correttamente la sua individualità nei rapporti interpersonali e nel contesto sociale; per promuovere insomma una sorta di corretta “propriocezione” giuridico-sociale. Il minorenne si deve percepire non come passivo destinatario di preoccupazioni e di provvidenze, ma come soggetto cui competono facoltà da esercitare nel processo per difendersi da un’accusa, procurando altresì che in questo difficile compito non si senta solo, ma sostenuto da figure affettivamente e professionalmente significative. In negativo, bisogna operare per una riduzione del “danno da processo”, cercando fin dove è possibile, di non compromettere lo sviluppo psicologico in atto. Per farlo, bisogna intervenire su due piani contigui, ma distinti: quello delle norme e quello della loro modalità di applicazione. Si tratta, anzitutto, di forgiare norme che, senza pregiudicare la loro funzionalità processuale, tengano conto delle peculiarità della situazione psicofisica dei soggetti coinvolti per ridurre al massimo il pregiudizio che ogni processo non può non produrre su quella vulnerabile realtà. Una volta sagomate a livello legislativo norme ritenute le più congeniali possibili alla peculiare condizione del minorenne, bisognerebbe aver cura – spostandosi sul [continua ..]


3. I principi generali enunciati dall’art. 1, d.p.r. n. 448/1988