Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Utilizzo responsabile dei social media/social network: una panoramica tra promozione dell'identità digitale e protezione della vulnerabilità (di Elena Borsacchi, Avvocata in Pisa – Phd candidate Middlesex University of London)


Il presente contributo persegue l’obiettivo di operare come una sorta di “bussola” per un primo basico orientamento nella trasversalità che contraddistingue il topic dell’utilizzo responsabile dei social network e dei social media. Il punto di partenza è costituito dalla ovvia constatazione che l’avvocato specializzato in materia di diritto di famiglia (penale e civile), dei diritti delle persone e dei minori possa sovente trovarsi al cospetto di criticità di non poco momento legate alle complessità della “genitorialità moderna”, quali: la tutela dei nativi digitali, la loro educazione alla società dell’informazione e del web, il rispetto dell’altrui sfera di diritti soggettivi nell’approc­cio agli strumenti di condivisione e di comunicazione digitale.

 

This article aims at acting as a sort of “thematic compass” in a first general orientation within the topic of the responsible use of social network/social media. The starting point is the obvious assumption that a highly specialized Lawyer in Family Law (from both a civil litigation and a criminal proceedings perspective) and in Youth/Minors Law may often come across some criticism typically related to the “modern parenthood”, namely: the protection of Digital Natives, their education within the communication web society, the respect of other’s dignity and fundamental rights in the use of modern digital communication tools.

Keywords: image – social media – social networks – honour – reputation – digital identity – protection.

SOMMARIO:

1. Introduzione: le “chiavi di accesso” - 2. L’identità reale e digitale propria e altrui in duplice prospettiva - 2.1. La lesione dell’onore e della reputazione ad opera degli “altri mezzi di pubblicità” - 2.1.2. Un rimedio civilistico contro la diffamazione a mezzo social network secondo il Tribunale Civile di Milano - 2.1.3. Una parentesi necessaria sull’utilizzo deviante delle immagini altrui: la nuova disposizione ex art. 612 ter c.p. e il fenomeno del revenge porn - 2.2. La manipolazione dell’identità - 3. La tutela della vulnerabilità e il ruolo degli esercenti la responsabilità genitoriale: cenni - 4. Conclusione - NOTE


1. Introduzione: le “chiavi di accesso”

La straordinaria vastità dell’argomento scelto, dimostrata dal numero di aree e di istituti giuridici potenzialmente coinvolti sia sul terreno civilistico che su quello penalistico, può soltanto essere qui “schematizzata”, ai nostri fini, ricorrendo a due “etichette” tematiche, comprensive delle prospettive di tutela e di quelle di prevenzione del rischio per l’individuo che si muova all’interno del mondo dei social: 1) la compresenza della propria e altrui identità, reale e digitale, e della tutela che le è propria; 2) la valorizzazione e la protezione della vulnerabilità all’inter­no del cyberspazio. Per ognuna di queste due aree si è provveduto a selezionare temi più specifici e ad “ingrandire” sotto la lente alcuni selezionati aspetti che hanno popolato la casistica dei tribunali e delle corti di merito, della giurisprudenza di legittimità, nonché i documenti di linee guida emessi dal Garante per la protezione dei dati personali. Accostarsi al tema dell’utilizzo responsabile dei social media e social network da un’angolazione atecnica, lascia emergere un altro ricorrente tema nella vita dell’Avvocato: acquisire nella propria “cassetta degli attrezzi” i rudimenti di base che consentano di orientarsi in ambiti non esclusivamente giuridici. Una prima indicazione, in prima battuta, ci è data, ad esempio, dalla distinzione tra social media e social network, nozioni che, nonostante la promiscuità nell’uso, si riferiscono a strumenti parzialmente differenti [1]. Riflettendo sulla tutela giuridica dell’identità digitale e reale della persona e sulla protezione della vulnerabilità, entrambi gli “spazi” assumono rilevanza giuridica. Il soggetto utilizzatore/membro/fruitore viene ad agire e ad assumere un ruolo nel contesto della community di riferimento all’interno del social network e/o del social media e la sua condotta si orienta nel contesto della c.d. “piazza virtuale”, che delimita dal punto di vista spazio-temporale il confine digitale (anche potenzialmente illimitato) del suo agire.


2. L’identità reale e digitale propria e altrui in duplice prospettiva

All’interno della prima etichetta, relativa alla tutela/promozione della identità reale e digitale propria e altrui, l’elaborazione penalistica ci offre almeno due distinti piani di osservazione critica, entrambi relativi alle conseguenze giuridicamente rilevanti di un utilizzo distorto dei mezzi di condivisione e comunicazione: a) la lesione dell’onore e della reputazione (unitamente alla violazione dei profili di riservatezza); b) il fenomeno della manipolazione dell’identità.


2.1. La lesione dell’onore e della reputazione ad opera degli “altri mezzi di pubblicità”

2.1.1. La diffamazione mediante altro mezzo di pubblicità: la giurisprudenza penale traccia definizioni e confini Per quanto concerne i profili penalistici, la lesione dell’onore e della reputazione mediante social network/social media trova il proprio faro di riferimento nella disposizione codicistica dell’art. 595, 3° comma, c.p. che punisce la diffamazione aggravata perché realizzata a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità. La Suprema Corte ha avuto modo di specificare, ribadendolo an­che da ultimo, con sentenza 22 luglio 2021, n. 28634, che la diffamazione tramite internet è attratta nella disposizione del 3° comma in quanto ricompresa nella locuzione “ogni altro mezzo di pubblicità” [2]. Interessante, altresì, la distinzione che proprio su questo terreno la Cassazione penale opera con riferimento alla legittimità del sequestro preventivo posto a carico di questi “altri mezzi di pubblicità”. L’ultima pronuncia sul punto, risalente proprio all’anno 2021, sembrerebbe legittimare il sequestro a carico di un sito/blog di informazione, non potendo i più recenti strumenti di informazione, in cui rientrerebbero anche social media e social network, godere sempre e a pieno delle garanzie costituzionali previste per gli strumenti di stampa [3]. Nonostante la giurisprudenza sembri aprire la strada a questa opportunità di tutela aggiuntiva, si tende comunque a specificare l’assoluta necessità di cautela nell’esperire lo strumento del sequestro in tale materia [4]. Altro aspetto interessante che emerge dall’approfondimento del tema della lesione dell’onore e della reputazione è il rapporto in chiave di distinzione tra la fattispecie di reato della diffamazione a mezzo web e l’illecito civile dell’ingiuria. La Corte di Cassazione, Sezione V penale, sentenza 31 marzo 2020, n. 10905, si occupa di tale distinzione affrontando anche le apprezzabili differenze dal punto di vista tecnico-giuridico in conseguenza dell’utilizzo di uno strumento social o di un altro (chat vocale, Google Hangouts, Whatsapp, ecc.) [5]. Un punto cruciale nella prospettiva di un’analisi più possibile completa quando si tratta della materia della tutela/lesione dell’onore e della reputazione a mezzo social media/social network concerne la trasposizione del diritto [continua ..]


2.1.2. Un rimedio civilistico contro la diffamazione a mezzo social network secondo il Tribunale Civile di Milano

Data in premessa la trasversalità della tematica, interessante è parsa, poi, benché in ambito processualcivilistico, la posizione assunta da una della Corti di merito, sia consentito di dire, maggiormente “influenti” al momento, ovvero il Tribunale di Milano, Sezione civile, in materia di rimedi esperibili in sede civile proprio avverso un’ipotesi di diffamazione a mezzo social network. Parliamo dell’ordinanza del 17 giugno 2020, pronunciata dal Tribunale di Milano, Sezione I civile, che riporta alla mente del lettore la trasversalità delle questioni poste dal tema dell’utiliz­zo dei social media/social network a scopo diffamatorio, la rilevanza a livello sovranazionale del tema della lesione dell’onore e della reputazione via social, nonché la tematica relativa all’ambi­to territoriale di riferimento quando parliamo di rimedi esperibili avverso social [8]. La pronuncia contiene, infatti, il richiamo alla direttiva E Commerce – attuata nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 70/2003 (su cui questo contributo non si sofferma) [9]. Il caso, di squisita attualità per l’avvocato/a di famiglia, civilista o penalista che sia, vede la doglianza di un marito denigrato su facebook dalla moglie trasposta in una richiesta in sede cautelare civile utilizzando i fondamenti della direttiva e-commerce che prevede come gravanti sul­l’Internet Service Provider il rimedio della rimozione o della disabilitazione (come strumenti alternativi) dell’accesso a informazioni lesive. Mentre la rimozione dei contenuti (il take down totale) consisterebbe in una completa e definitiva cancellazione delle informazioni immesse nella rete (rimedio che si presenta ben più drastico rispetto a quello della rettifica, che conosciamo con riferimento alle ipotesi di diffamazione a mezzo stampa), la disabilitazione dell’ac­cesso alle informazioni si qualificherebbe come misura interdittiva, meglio nota come geo-block­ing, atta ad inibire l’accesso alle informazioni su base geografica. Un rimedio non previsto né preso in concreta considerazione è quello della chiusura degli account, costituendo quest’ulti­mo un’incisione su un rapporto contrattuale inter alios. Nel caso di specie, il Giudice monocratico accoglie la richiesta di rimozione dei contenuti individuati come diffamatori e il Tribunale in sede di reclamo, [continua ..]


2.1.3. Una parentesi necessaria sull’utilizzo deviante delle immagini altrui: la nuova disposizione ex art. 612 ter c.p. e il fenomeno del revenge porn

Benché afferente ad altro distinto e altrimenti regolato contesto rispetto a quello delle disposizioni sull’onore e sulla reputazione, nel quadro di una disamina relativa alla tutela/protezione dell’identità digitale e reale dell’individuo, appare necessario, per completezza, operare un riferimento all’utilizzo indebito di immagini altrui e della loro pubblicazione/diffusione sul web (in particolare, specifici tipi di immagini, dai contenuti sessualmente espliciti). Attraverso la normativa di nuovo conio, introdotta dal legislatore penale nel pacchetto di riforme etichettate come Codice Rosso, contenute nella l. n. 69/2019, si è, infatti, provveduto ad introdurre una nuova fattispecie, particolarmente rilevante se pensiamo all’utilizzo capillare dei social network e dei social media e all’impatto di quest’ultimo sull’identità digitale e reale degli individui, atta a disciplinare anche il fenomeno del c.d. revenge porn: l’art. 612 ter c.p., rubricato “Diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti” [12]. Dal punto di vista dell’interesse tutelato, come più compiutamente ed esaustivamente detto in dottrina, il delitto si colloca in uno spettro un po’ più ampio del c.d. fenomeno del revenge porn, poiché punisce, come reato comune, chiunque diffonda, non soltanto il partecipante o l’autore del video. La locuzione che, come spesso accade in fattispecie di questo genere, ci parla di “video/immagini a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati” verrà certamente e opportunamente riempita di significato da parte della giurisprudenza, avendo già i commentatori acceso un faro di richiamo di attenzione in punto di indeterminatezza o incertezza sulla definizione effettiva della locuzione [13]. La disposizione sembra ricomprendere al suo interno diverse ipotesi in merito alla realizzazione della condotta, punite più o meno severamente: la prima modalità sembra riferirsi ad un contatto diretto tra i soggetti, mentre le ultime due modalità della condotta sembrano riferirsi ad una diffusione per così dire virale (quale è quella tipicamente assicurata dalla diffusione social). Trattandosi di disposizione di nuovo conio, sarà necessario attendere qualche anno prima di poter registrare una consistente lettura di matrice [continua ..]


2.2. La manipolazione dell’identità

Il secondo angolo prospettico parlando di tutela e promozione dell’identità reale e digitale nel contesto dell’uso dei social network/social media è costituito dal profilo inerente la manipolazione di detta identità. Anche in questo caso, seguendo la traccia della disamina in punto di lesione dell’onore e della reputazione, è la casistica penale a fare da apripista portando alla ribalta una casistica diffusa, ovvero quella legata alla creazione di falsi profili su social network e social media: una delle fattispecie di riferimento è quella di cui all’art. 494 c.p., ovvero la sostituzione di persona. La giurisprudenza di legittimità affronta la tematica anche accostando più fattispecie di reato nella disamina del fenomeno del c.d. “passamontagna telematico” [16]. Il primo caso in esame coinvolge, come spesso rinvenibile nella casistica penale, entrambe le fattispecie di diffamazione con altro mezzo di pubblicità (via social) ex art. 595 c.p. e sostituzione di persona ex art. 494 c.p., rilevanti in materia [17]. Sotto il profilo dell’integrazione della fattispecie diffamatoria, risulterebbe pacifico, a parere della Corte, che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca facebook integri un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi del 3° comma, in ragione della diffusione e della effettiva capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone. Nel caso di specie, l’imputato nei suoi motivi di ricorso eccepiva altresì che i messaggi offensivi erano stati inviati in chat private, ma la Corte ribatteva che il processo aveva accertato che detti messaggi erano stati fatti oggetto di screenshots e diffusi attraverso falsi profili facebook mediante la pubblicazione di post visibili agli amici. Per quanto, invece, attiene all’integrazione del reato di sostituzione di persona, la creazione e l’utilizzazione del profilo sul social, tramite l’utilizzo di immagini e dati di persona del tutto inconsapevole, associati ad un nickname di fantasia, integrerebbe il delitto previsto e punito dal­l’art. 494 c.p., trattandosi infatti di condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che la utilizza. L’aggiunta, poi, al profilo social di caratteristiche personali considerabili “negative” e/o di [continua ..]


3. La tutela della vulnerabilità e il ruolo degli esercenti la responsabilità genitoriale: cenni

Esaurito il giro di “bussola” sulla tematica della protezione/promozione dell’identità digitale, sia consentito un cenno in pillole all’utilizzo dei social media/social network e al suo impatto sulla tutela della vulnerabilità, sia essa da intendersi tanto come interventi necessari messi in campo dall’ordinamento a tutela dei soggetti meritevoli di una protezione “speciale”, quanto come specifici obblighi gravanti in capo ai soggetti/individui/consociati chiamati ad una sorveglianza specifica. Nella vasta gamma di criticità offerte alla riflessione dal concetto di vulnerabilità, viene in evidenza, seguendo questo focus specifico, la protezione del minore sia dai soggetti che popolano la c.d. piazza virtuale che, in un certo qual modo, da se stesso/se stessa. Alcuni dei concetti chiave che compongono la “cassetta degli attrezzi” per orientare alla conoscenza del fenomeno della lesione/tutela della vulnerabilità nel mondo digitale possono essere di seguito individuati. Ogni disquisizione in merito alla tutela e all’educazione del minore nell’utilizzo degli strumenti di contatto telematico e di accesso alle informazioni è ormai necessariamente subordinata, secondo la letteratura, alla considerazione delle caratteristiche proprie della cosiddetta generazione dei nativi digitali, rispetto ai quali dimostrano tutta la loro inefficacia i sistemi messi in campo con riferimento, ad esempio, al parental control nell’utilizzo degli strumenti di informazione per così dire “tradizionali”, ovvero radiotelevisivi [21]. La preoccupazione dell’ordinamento di proteggere il minore da se stesso e dagli altri si direziona in questo momento storico, tra le altre insidie, verso quella del cyberbullismo. Il legislatore italiano è intervenuto a legiferare questo fenomeno con la l. n. 71/2017, dandone la seguente definizione: “qualsiasi forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto di identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione trattamento illecito dei dati personali di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, attacco [continua ..]


4. Conclusione

Il “tour panoramico” sin qui condotto soltanto allo scopo di immortalare a distanza alcuni dei possibili piani di criticità legati ad un utilizzo non responsabile dei social media e social network consente di approcciarsi al tema, da qualunque prospettiva lo si faccia – civilistica e/o penalistica – richiamando l’urgenza di alcuni generali punti cardine comuni ad ogni riflessione: a) la prossimità delle due dimensioni, civilistica e penalistica, sotto il profilo dell’analisi del fenomeno «utilizzo social media e social network»; b) la necessità di aggiornare, rivisitare e rileggere gli istituti giuridici «tradizionali» alla luce dell’evoluzione e della pervasività della società e della comunità digitale; c) la portata globale del tema e la dimensione sovranazionale della questione giuridica; d) l’urgenza dell’opera di sensibilizzazione in merito alla consapevolezza delle conseguenze dell’utilizzo dei social network e dei social media [28].


NOTE